Sconcertante l’ostinazione dell’Invalsi, altrettanto l’acquiescenza ministeriale. Caro ministro Bianchi, ho rifiutato le prove Invalsi. Ma docenti e studenti contano poco.
“Caro ministro Bianchi, ho rifiutato le prove Invalsi”.
È il titolo redazionale della lettera di uno studente maturando pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 4 maggio 2021.
Chiede lo studente: “Come si può mai separare una valutazione dal contesto da cui viene estrapolata?”
E aggiunge:
“Ed è proprio in questo periodo che le Invalsi perdono ancor più valore: perché dover misurare ed ottenere una valutazione quando la stessa è stata strettamente influenzata dalla pandemia e dalla DAD?”
Le due domande sono perentorie. Altrettanto lo sono le risposte. Una valutazione avulsa dal contesto è insignificante. Figurarsi poi che valore possa avere in un contesto di emergenza pandemica e didattica.
Lo studente ha molto da insegnare.
Sul medesimo quotidiano in pari data nella rubrica delle lettere è chiamato ancora in causa l’Invalsi. Una docente esprime il suo disagio per essere costretta a somministrare le prove del contestato istituto. Prove che giudica antiquate e inquietanti.
Al disagio si aggiungono delle perplessità:
“Tuttavia ciò che mi ha suscitato delle perplessità è stata la domanda, rivolta ai ragazzi, alla fine del test: sei maschio o femmina? Che utilità può avere ai fini statistici di che sesso sia l’alunno che ha svolto la prova?”
Si vuole forse stabilire se la capacità di rispondere ai quesiti, scambiata per intelligenza scientificamente intesa, sia più spiccata nei ragazzi o nelle ragazze?
Si dirà che si tratta delle opinioni di un solo studente e di una sola docente. Attenzione. Non sono opinioni aleatorie, ma giudizi fondati, ancorché sottintesi negli interrogativi. Giudizi condivisi non da pochi, ma da un numero non irrilevante di studenti e docenti. Anche nel caso che tale rilevanza non si evinca da questionari burocratici di gradimento.
Ci sono capi d’istituto più propensi agli adempimenti burocratici ancorché fonti di pericolo. Così si giunge all’assurdo. Gli organi di informazione non danno il dovuto rilievo a notizie sconcertanti. Sconcertante è di per sé l’ostinazione dell’Invalsi nel voler somministrare prove in piena emergenza pandemica.
Sconcertante l’acquiescenza ministeriale e governativa a tale pretesa.
Ma ancor più sconcertante quanto ora si riferisce, deplorando la mancata risonanza mediatica dell’accaduto.
In un istituto scolastico statale di primo grado si è sviluppato un focolaio pandemico. Ben sappiamo quanto abbiano condizionato la normale attività didattica le misure prese a tutela della salute. Ebbene, la dirigenza scolastica ha deciso e ha menato vanto di tener aperta la scuola al solo e unico scopo di somministrare le prove Invalsi!
Nonostante tutto non mancano sedicenti docimologi devoti all’Invalsi. Accusano chi li critica di non capire funzioni e scopi delle prove. Anelano a un crisma di scientificità in base a vieti e triti dettami. Intonano la solita cantilena di rimasticature stantie di vaghe nozioni. Ritengono importante somministrare questionari ai docenti per sondarne le opinioni sui test. Svicolano di fronte alla sfida a confrontarsi nel merito con l’autentica pedagogia.
Proviamo ad ammettere che i test per gli alunni siano utili. Perché non dovrebbero essere i docenti a idearli, somministrarli, rendicontarli? Si obietta che in tal modo diventerebbe impossibile la valutazione nazionale di sistema. Obiezione pretestuosa nell’era informatica. Inutile stare ora a spiegare come organizzare una seria raccolta dati su piattaforma ministeriale.
L’Invalsi resta un istituto autoreferenziale. Pretende di sondare fantomatiche competenze avulse dalla scuola vissuta. In realtà si limita a cercare di accertare in che misura gli studenti siano capaci di risolvere i suoi test. Ammesso e non concesso che gli studenti non si limitino a rispondere a casaccio.
Nello specchio dell’Invalsi non si riflette la scuola.
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Il sessismo della matematica
Sulla richiesta dell’Invalsi di conoscere il sesso degli alunni impegnati nei test si è espressa su “la Repubblica” del 7 maggio 2021 la dirigente scolastica Cristina Marta con una nota intitolata Il sessismo della matematica. Ecco il testo dell’intervento:
“Il 4 maggio una professoressa domandava perché Invalsi chiedesse il sesso dell’alunno. Scorporando i dati tra maschi e femmine il test ha mostrato la differenza nei punteggi in matematica fra gli alunni e le alunne, a vantaggio dei primi. La differenza di genere negli esiti delle materie scientifiche è nota a chi opera nella scuola, ora bisogna sensibilizzare le famiglie. Molti crescono le figlie con l’idea che la scienza sia un settore nel quale non sono predisposte, facendo loro sviluppare la cosiddetta impotenza appresa.”
L’intervento sarà oggetto di una successiva replica.