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Dio, Arte, Scienza e il bene e il male

I saggi e il dialogo di Giulio Giorello e Vittorio Sgarbi: Il bene e il male. Dio, Arte, Scienza, La Nave di Teseo, 2020

Dai monologhi al dialogo

Il libro, corredato da un apparato iconografico che ne è parte integrante,  consta di tre momenti.  Due saggi e un dialogo. Titolo del  saggio di Vittorio Sgarbi: “L’Arte è la prova dell’esistenza di Dio”. Titolo del  saggio di Giulio Giorello: “La più inebriante libertà”. Titolo del dialogo: “Il bene e  il male. Dialogo sul nostro tempo”. Sono argomenti cruciali. Si esprimono e si confrontano su di essi il docente di filosofia della scienza e  lo storico dell’arte.

Una personalità trasgressiva

Chi abbia visto la scena di Vittorio Sgarbi trasportato di peso a braccia dai commessi fuori dall’aula parlamentare si sarà fatto una certa idea del soggetto. Persona dal carattere esagitato e trasgressivo. Qui non si smentisce. Nell’esordire, rammenta di essere un cristiano che si trova ad essere stato scomunicato da un vescovo. Il perché della scomunica? Per aver proclamato pubblicamente che Cristo e il presepe  non avrebbero niente a che vedere con il catechismo e il clericalismo. Si comprende ancor meglio perché il soggetto possa risultare sgradito alle gerarchie ecclesiastiche e lasciare sconcertati o far indignare i credenti cattolici, dal momento che definisce l’attuale Papa “un gesuita ateo”, immaginandolo destinato all’inferno come  il Bonifacio VIII di Dante.

Scienza, arte, religione

Dopo questo accenno autobiografico Sgarbi affronta il problema della fede. Non crede ai miracoli, però nutre fiducia nella scienza, che potrebbe  un giorno trovare rimedio per malattie considerate oggi incurabili, anche se non riuscirà a sconfiggere la morte. Non crede in un Dio trascendente, però crede nel Dio di Spinoza, che risiede nella mente come aspirazione all’immortalità. Questa aspirazione non si realizza se non nell’arte:

“L’artista è l’unico che usa uno strumento che, sul piano del metodo, riproduce quello di Dio; ecco perché l’arte va sia oltre la scienza sia oltre la fede”.

Sgarbi passa poi in rassegna varie raffigurazioni di Cristo in dipinti e sculture. Qui mette da parte le sue bizze e dà sfogo a una sicura professionalità. Da critico d’arte esperto e sensibile mette in rilievo la tecnica e il sentimento di artisti illustri quali Cimabue, Giotto, Masaccio, Filippo Brunelleschi, Beato Angelico, Piero della Francesca, Giovanni Bellini, Antonello da Messina, Andrea Mantegna, Nicolò dell’Arca, Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio, Giuseppe Sanmartino. Il soggetto di questi artisti è quasi esclusivamente il Christus patiens. Considerato nella sua corporeità, il Dio incarnato suscita con le sue piaghe sofferenza atroce e straziante dolore, spingendo a meditare sulla misteriosa requie della morte.

L’idea e la materia

Giulio Giorello a sua volta prende spunto da un’opera d’arte: il Dio Padre benedicente di Biagio D’Antonio. Sottolinea che all’epoca, come del resto in una secolare tradizione iconografica, Dio, per essere riconosciuto, si  manifesta in sembianze umane, secondo quanto discende dalla Bibbia.  Nell’esaminare poi i dipinti di Piero della Francesca e Lorenzo Lotto dedicati al tema dell’Annunciazione e il dipinto di Andrea Mantegna che raffigura la Madonna col Bambino, nonché la Pietà Martinengo di Giovanni Bellini, l’intenzione di Giorello è avallare quanto asserisce Umberto Galimberti, ossia che il Cristianesimo è “una religione corporea, non mentale”. La Trinità di Masaccio  è una delle tante ulteriori conferme.

Dai testi sacri alla ricerca scientifica

A questo punto Giorello si rifà alla galileiana Lettera a Padre Benedetto Castelli (1613). È come un colpo di scena. Galilei non nega la verità della Bibbia, osserva però che possono essere fallaci le interpretazioni del testo sacro. La Bibbia non va intesa letteralmente. Sul suo significato letterale prevalgono le “sensate esperienze”  e le “necessarie dimostrazioni”.  Più della Scrittura è degna di fede la natura studiata col metodo scientifico, “poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi come ogn’effetto di natura”. Per Galilei non è accettabile la rappresentazione di un Dio antropomorfo. A questo punto Giorello avrebbe potuto ricordare che questa posizione di Galilei era già stata presa a suo tempo  da Dante, che a sua volta si rifaceva a Tommaso d’Aquino.

Tommaso d’Aquino e Dante Alighieri interpreti della Bibbia

Nel Paradiso Beatrice risolve un dubbio di Dante, derivante dall’affermazione platonica che le anime tornano alle stelle: il pellegrino celeste sarebbe portato a credere che le anime apparse nel cielo della luna abbiano la loro sede proprio in questo cielo, senza sapere che in realtà si trovano tutte nell’Empireo. Gli sono apparse nel cielo della luna soltanto per indicare il loro minor grado di beatitudine: ciò perché gli esseri umani hanno bisogno dell’esperienza sensibile per comprendere poi con l’intelletto. Proprio per questo, spiega l’amata donna teologa, il testo sacro raffigura  Dio e gli arcangeli in sembianze umane:

Creazione di Adamo

Così parlar conviensi al vostro ingegno,
però che solo da sensato apprende
ciò che fa poscia d’intelletto degno.
Per questo la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio e altro intende;
e Santa Chiesa con aspetto umano
Gabrïel e Michel vi rappresenta,
e l’altro che Tobia rifece sano. (Paradiso, IV, 40-48)

In ciò Dante si attiene a quanto scrive Tommaso d’Aquino nella Summa theologiae:

“Conveniens est Sacrae Scripturae divina et spiritualia sub similitudinem corporalium tradere”.

Il corpo come autentico oggetto della filosofia

Giorello ricorda come Baruch Spinoza, filosofo del Deus sive natura  ovvero natura sive Deus, concepisca il corpo:
“Per corpo intendo un modo che esprime in maniera certa  e determinata l’essenza di Dio in quanto si  considera come cosa estesa”.
Ricollegandosi  a Andrea Emo e Emilia Giancotti, Giorello vede in Spinoza il filosofo che ha saputo trarre dal determinismo la libertà, intesa come “azione consapevolmente inserita nel sistema della necessità”. Si dichiara d’accordo con Carlo Sini là dove questi sostiene che è stato Spinoza  piuttosto che Kant a operare una rivoluzione copernicana in  filosofia. Si sofferma sulle differenti vedute di Isaac Newton e George Berkeley circa  lo spazio assoluto, contrasto destinato a riproporsi tra Federigo Enriques e Giovanni Gentile. Viene ricordata anche la posizione di Friedrich Nietzsche, secondo il quale nient’altro hanno trattato i filosofi se non ciò che riguarda il corpo. Lo stesso Nietzsche decreta la morte di Dio dovuta alla fine di ogni teologia. Emanuele Severino riprende questa posizione osservando che il divenire delle cose mette in crisi l’eterno: alla religione subentra ormai la tecnica.

L’esordio del confronto fra Sgarbi e Giorello

Sgarbi, nel confrontarsi con Giorello, tende a prevaricare, nel senso che le sue argomentazioni tendono a svolgersi più a lungo.  Questione, ancora una volta, di carattere. È lui che propone l’argomento di partenza: la pandemia.  Giorello si dice perplesso sul “mettersi nelle mani dello Stato”. Sgarbi se la prende con l’informazione che amplifica le situazioni e con la sedicente scienza di tanti  virologi in contrasto fra loro. Intanto con l’imposizione della distanza rischiano di venir meno il confronto parlamentare in aula e la presenza alle funzioni religiose in chiesa. Non si fa cenno delle problematiche legate alla didattica a distanza. Il dialogo prosegue col chiamare in causa una politica sanitaria giudicata non a torto fallimentare. Ancora una volta il problema è quello della nostra corporeità. Le polemiche attuali riguardano le modalità di gestirla di fronte ai pericoli per la salute. Da una parte i timori di una sempre più stretta sorveglianza della sfera privata da parte del potere, dall’altra la scienza medica impegnata nell’emergenza pandemica a trovare rimedi per cercare di debellare ogni insidia.

Giorello-Sgarbi visti da B.Scognamiglio

Ancora su scienza, arte, religione

Giorello e Sgarbi concordano nel ritenere che l’uomo “moltiplica la creazione” con la scienza e con l’arte, “che hanno in comune di correggere la natura”, vale a dire che “l’uomo prolunga l’opera di Dio”. Scienza ed arte, sostiene Sgarbi, rendono immortali scienziati e artisti: sarebbe questa la vera immortalità, non quella dei dogmi religiosi. Scienziati e artisti sono creatori che infrangono le regole, come, ad esempio,  Giordano  Bruno e Caravaggio nei loro rispettivi campi. Ci si chiede poi se scienza ed arte possano andare al di là del bene e del male e  se siano motivate dalla paura o dal coraggio. Problemi stimolanti, sui quali il lettore è spinto a riflettere alla luce delle argomentazioni esposte nel dialogo.

Mecenatismo, mercato, “democrazia social”

Scienza ed arte, osserva Giorello, hanno bisogno di essere incoraggiate e nello stesso tempo di essere esenti da ogni forma di censura. Sgarbi obietta che la scienza continua ad avere bisogno del supporto del potere, mentre nel campo artistico ormai il mecenatismo è alle spalle, perché il mercato ha affrancato l’artista al punto di farlo diventare “un mecenate di se stesso”. Per quanto riguarda la scienza, si riferisce in particolare alla medicina: la ricerca medica  necessita di essere finanziata dallo Stato, il quale purtroppo ha abdicato a questa sua funzione. Il discorso si sposta sempre più sul piano politico. Oggi la desolante realtà è quella di una democrazia degenerata. Il potere dei social, quindi degli influencer, si traduce in una forma di “persuasione occulta”. Ormai sono le masse a influire sulle minoranze.

Dal genio dei singoli agli incontri di civiltà

Contro le aberrazioni della civiltà, anzi inciviltà,  di massa si staglia il genio di scienziati e artisti. Il rapporto fra scienza e arte trova una sua brillante espressione in Escher. I grandi scienziati e i grandi artisti sono rivoluzionari. Solo che, come osserva Sgarbi, la scienza procede per incertezze, a differenza dell’arte, che “non ha mai incertezza”. Al relativismo scientifico si contrappone la tensione artistica verso l’assoluto. Per quanto riguarda la scienza, è sbagliato pensare che l’Occidente abbia il monopolio della genialità. Giorello ci ricorda che aritmetica, geometria, fisica si sviluppano anche presso altre civiltà. Sgarbi concorda: non si possono mettere confini alla cultura. Ciò vale ovviamente anche per l’arte.

I linguaggi di scienza e arte

Secondo Giorello la differenza fra il linguaggio scientifico e il linguaggio è una questione di “messa a fuoco”,  nel senso che l’arte, a differenza della scienza, ha sempre  bisogno di un contesto:

“Il fatto che l’arte abbia bisogno dell’inserimento in un contesto molto marcato, mentre non c’è problema per nessuno – adesso, perlomeno – nel riconoscere le dieci cifre del sistema decimale, ecco, credo, che metta bene in luce proprio il grande impegno di chi opera in campo artistico”.

Sgarbi non raccoglie lo spunto: gli preme riconoscere un mutamento netto rispetto alle arti figurative tradizionali ed è il mutamento epocale introdotto dall’arte fotografica:

“La fotografia è un’arte superiore rispetto alle  altre, perché richiede meno impegno fisico e più impegno intellettuale”.

Il libro si chiude con questa tesi che può sembrare provocatoria e forse lo è.

 

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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