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Educazione civica e educazione politica

Educazione civica in frammenti e mancata educazione politica. L’insegnamento dell’educazione civica come materia a pieno titolo e la sua pretesa trasversalità.

Diventare cittadini per legge

C’è voluto più di mezzo secolo. Per l’esattezza 71 anni. Dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 alla promulgazione della Legge 92/2019. Viene introdotto l’insegnamento dell’educazione civica come materia a pieno titolo. Materia che  “contribuisce a formare cittadini  responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri” (articolo 1, comma 1). E che “sviluppa nelle istituzioni scolastiche la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni dell’Unione europea per sostanziare, in particolare, la condivisione e la promozione dei principi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale e diritto alla salute e al benessere della persona” (articolo 1, comma 2). Ma siamo sicuri che si tratti di un insegnamento inserito in modo giusto ed efficace?

La pretesa di  trasversalità  dell’educazione civica

Viene istituito “l’insegnamento trasversale dell’educazione civica, che sviluppa la conoscenza e la comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società” a partire   dalla scuola dell’infanzia (articolo 2, comma 1). Nel medesimo articolo si fissa l’orario “non inferiore a 33 ore annue, da svolgersi nell’ambito del monte orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti”. Per il primo ciclo “l’insegnamento trasversale dell’educazione civica è affidato, in contitolarità, a docenti sulla base del curricolo”. Per il secondo ciclo “l’insegnamento è affidato ai docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, ove disponibili nell’ambito dell’organico dell’autonomia”. È previsto “un docente con  compiti di coordinamento” che “formula la proposta di voto espresso in decimi, acquisendo elementi conoscitivi dai docenti a cui è affidato l’insegnamento dell’educazione civica”. Eccoci dunque di fronte alle solite complicazioni. Sembra che ci si compiaccia di garbugli e ghiribizzi.

L’educazione civica andrebbe intesa come “valenza di matrice valoriale trasversale che va coniugata con le discipline di studio”. Pertanto il Collegio dei Docenti dovrebbe “integrare nel curricolo di Istituto gli obiettivi specifici di apprendimento/risultati di apprendimento delle singole discipline con gli obiettivi/risultati e traguardi specifici per l’educazione civica”.

Ma l’educazione civica è già nelle discipline. Lo  è da sempre.

Di legiferare per introdurla non c’era bisogno. Claudio Giunta è Professore di Letteratura italiana all’Università di Trento. Dirige la rassegna La buona battaglia. Nell’intervento Educazione civica a scuola. Che cosa insegnare? ripercorre brevemente le vicende dell’educazione civica a scuola a partire dal 1958.  Allora era affidata al solo insegnante di storia. Oggi  a causa  di una “complicazione di tutte le cose” l’argomento comincia a dar luogo a una proliferazione di direttive. Si procede per accumulazione.

È come una “nevrosi” ministeriale. Scrive fra l’altro Claudio Giunta:

“La legge 92 indica una serie infinita di potenziali obiettivi di apprendimento, ma dedica un intero articolo soltanto a ‘Costituzione e cittadinanza’ e ‘Educazione e cittadinanza digitale’. Le linee-guida […] indicano invece tre ‘nuclei concettuali che costituiscono i pilastri della legge’: ai sue suddetti si affianca e si somma un terzo nucleo descritto come ‘sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio’ …”

E aggiunge:

“Mi pare insomma che questo proliferare di discipline e di obiettivi rifletta una più generale e, a mio avviso, immotivata sfiducia nella forza educativa, civilizzatrice se si vuole, che posseggono le discipline scolastiche ben insegnate […]

Aggiungiamo che in curricolo ben congegnato, invece di tante superfetazioni, la didattica potrebbe avvalersi di risorse tanto pregnanti quanto efficaci. Papa Francesco, ad esempio, ci indica lapidariamente il valore di un’educazione umana. Questa la si può sintetizzare con un’efficacia spirituale che ha bisogno di poche parole. Non contrapporre l’io al noi. Uscire dall’indifferenza. Ripudiare la pseudocultura dello scarto di altri esseri umani. Proviamo anche noi a formulare in breve un vademecum del  buon cittadino. Una sorta di decalogo. Basterebbe quello.

Un fiorire di esperimenti a danno degli statuti disciplinari

Il Collegio dei docenti nel rispetto delle linee guida degli allegati A, B, C e relativi traguardi dovrebbe integrare nel curricolo gli obiettivi/risultati di apprendimento delle singole discipline con gli obiettivi/risultati nonché traguardi specifici per l’educazione civica. Fioriscono corsi, modelli, esempi di scuole che hanno elaborato le loro proposte operative anche con propositi di partecipazione ai programmi europei. Ciò sulla scia delle Competences for Democratic Culture. Living Together as Equals in Culturally Diverse Democratic Societies  del Consiglio d’Europa:

“The Council of Europe Reference Framework of Competences for Democratic Culture (RFCDC) […] is a set of materials that can be used by education systems to equip young people with all of the competences that are needed to take action to defend and promote human rights, democracy and the rule of law, to participate effectively in a culture of democracy, and to live peacefully together with others in culturally diverse societies.

It is intended for use by education policy makers, especially those working within ministries of education, and by education practitioners in all sectors of education systems, from pre-school through primary and secondary schooling to higher education, including adult education and vocational education. The RFCDC provides a systematic approach to designing the teaching, learning and assessment of competences for democratic culture, and introducing them into education systems in ways that are coherent, comprehensive and transparent.”

Si noti come nel finale di questo abstract si sottolinei che le competenze per una cultura democratica dovrebbero essere introdotte nei sistemi educativi in forme coerenti, complete e trasparenti. Forme che nella Legge 92/2019 non appaiono tali.

La trasversalità autentica

La trasversalità autentica competerebbe all’insegnamento della storia.  Dovrebbe essere il docente di storia, non quello di diritto e economia,  ad avere la titolarità della disciplina denominata educazione civica. Ciò era avvenuto in passato e si ripropone come esigenza del presente. Una precettistica statica travestita da slancio al futuro non basta a formare il cittadino. Occorre il senso autentico del divenire storico. La semplice obbedienza è improduttiva. Essere pronti alla trasformazione del reale, ove necessario: questo si deve richiedere ai giovani. Per questo la storia è indispensabile. Invece a livello ministeriale si tendeva a snobbarla. Si era giunti all’eliminazione della traccia di storia alla maturità. Contro la tendenza politica a sminuire lo studio della storia presero posizione lo storico Andrea Giardina, la senatrice Liliana Segre, lo scrittore Andrea Camilleri, lanciando questo appello:

«La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione. Ci appelliamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali per la difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grave pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro Paese.»

L’impostazione storica delle discipline

Al convegno nazionale Quale futuro senza la storia? in occasione della Giornata mondiale dell’insegnante nel 2019 furono presentati dati statistici dai quali risultava che docenti e studenti convinti della trasversalità della storia come disciplina costituivano percentualmente una significativa maggioranza. Stranamente quei docenti e quegli studenti che erano in forte minoranza non si rendevano conto della dimensione storica degli statuti disciplinari.  Le discipline umanistiche sono già impostate storicamente di per sé stesse. Anche le discipline scientifiche dovrebbero esserlo. Pensiamo al valore formativo dell’insegnare matematica, fisica, scienze non solo come sono oggi consolidate, ma anche in una prospettiva storica aperta al futuro. Ricordiamo i Principi di una scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni  di Giambattista Vico. Ricordiamo l’appassionata esortazione di Ugo Foscolo estendendola alla più ampia educazione culturale:

O Italiani, io vi esorto alle storie, perché niun popolo più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare, né più grandi anime degne di essere liberate dalla obblivione da chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà pace e memoria alle nostre ceneri. Io vi esorto alle storie, perché angusta è l’arena degli oratori; e chi omai può contendervi la poetica palma? Ma nelle  storie, tutta si spiega la nobiltà dello stile, tutti gli affetti delle virtù, tutto l’incanto della poesia, tutti i precetti della sapienza, tutti i progressi e i benemeriti dell’ italiano sapere.”

Vero è che Friedrich Nietzsche scrisse Sull’utilità e il danno della storia per la vita; ma, come ci ricorda Giorgio Colli, lo stesso autore era inquieto e insoddisfatto del suo scritto. Con Giorgio Colli non siamo però d’accordo quando scrive nella Nota introduttiva all’edizione italiana dell’opera per i tipi di Adelphi:

“Canone dell’antistoricismo, questa Considerazione merita, se non altro, di non essere sottoposta a una critica storica […]”

Infatti anche la sfera intima dell’individuo è immersa nella storia.

L’educazione civica come contenitore traboccante

In base all’articolo 3 della Legge 92/2019 l’allora Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca era tenuto a definire delle linee guida relative a una serie invero cospicua di tematiche.  Costituzione della Repubblica italiana. Istituzioni dello Stato italiano, dell’Unione europea, degli organismi internazionali. Storia della bandiera e dell’inno nazionale. Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Educazione alla cittadinanza digitale. Elementi fondamentali di diritto. Diritto del lavoro. Educazione ambientale. Sviluppo eco-sostenibile. Tutela del patrimonio ambientale. Tutela delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari. Educazione alla legalità. Educazione al contrasto delle mafie. Educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni  pubblici comuni. Formazione di base in materia di protezione civile. Educazione stradale. Educazione alla salute e al benessere. Educazione al volontariato. Educazione  alla cittadinanza attiva. Rispetto delle persone. Rispetto degli animali. Rispetto della natura.

Il deleterio riferimento all’alternanza scuola-lavoro

L’articolo 4, comma 4 contempla questa possibilità:

“Con particolare riferimento agli articoli 1 e 4 della Costituzione possono essere promosse attività per sostenere l’avvicinamento responsabile e consapevole degli studenti al mondo del lavoro”.

A dire il vero, il riferimento è piuttosto all’alternanza scuola-lavoro della legge della cosiddetta “buona scuola”, che tanti danni ha arrecato e continua ad arrecare. La Costituzione tutela non tale alternanza, ma il diritto allo studio di cui all’articolo34:

“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.

L’alternanza scuola-lavoro, imposta surrettiziamente dalle legge della cosiddetta “buona scuola”, confligge con il diritto alla studio costituzionalmente protetto. Non solo. La stampa quotidiana ha ampiamente documentato nel tempo le condizioni di sfruttamento che gli studenti sono venuti a subire in nome di detta alternanza.

L’educazione alla cittadinanza digitale

La cosiddetta educazione alla cittadinanza digitale, di cui all’articolo 5, è prevista nell’ambito dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica. Le lettere dalla a) alla g), dunque ben sette, prevedono un’offerta graduale di conoscenze e abilità in ambito informatico. Denso, nutrito, esorbitante l’elenco.

Saper esaminare criticamente fonti e contenuti digitali. Saper usare tecnologie e forme di comunicazione in ambito virtuale. Saper intervenire nel dibattito pubblico mediante servizi digitali pubblici o privati. Saper crescere come persone e come cittadini usando le tecnologie digitali. Saper comportarsi e interagire con l’uso di strategie comunicative appropriate rispetto a un determinato pubblico. Saper creare e gestire la propria identità digitale nel rispetto delle identità digitali altrui. Saper tutelare la riservatezza con riguardo ai dati personali. Saper tutelare la propria e l’altrui salute in ambiente digitale. Saper come le tecnologie digitali possono influire sull’inclusione sociale.

Tutto ciò risulta esorbitante nel contesto dell’educazione civica,  laddove  sarebbe invece opportuno introdurre nel curricolo una nuova materia a sé stante da denominare Educazione informatica.

Ulteriore proliferazione di adempimenti

L’articolo 6 è dedicato alla formazione dei docenti, il 7 alla collaborazione scuola-famiglia, l’8 al rapporto scuola-territorio con la previsione di esperienze extra-scolastiche in collaborazione con altri soggetti istituzionali e il mondo del volontariato e del terzo settore nonché con la possibilità di collaborazione dei comuni con le scuole.

L’articolo 9 riguarda l’istituzione a cura dell’allora MIUR delle buone pratiche di educazione civica. Il 10 contempla la valorizzazione delle migliori esperienze in materia di educazione civica con l’indizione annuale di un concorso nazionale aperto a ogni ordine e grado di istruzione. In base all’articolo 11 l’allora MIUR è tenuto a relazionare biennalmente alle Camere sull’attuazione della legge 92/2019 “anche nella prospettiva dell’eventuale modifica dei quadri orari che aggiunga l’ora di insegnamento di educazione civica”. Una giustapposizione tale da comportare ovviamente la diminuzione del tempo da dedicare alle altre discipline.

Innovazione senza risorse

Infine gli articoli 12 e 13 sono dedicati rispettivamente alla clausola di salvaguardia e alla clausola di invarianza finanziaria, che consiste, quest’ultima, nel divieto di “nuovi o maggiori oneri di finanza pubblica”.

Equivoci contenutistici ed errori formali nei documenti

Si impongono rilievi relativi non solo al contenuto, ma anche alla forma di certi documenti ministeriali. Un esempio. L’attuale MI – Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione – Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione –  emana uno schema di decreto, recante “collaborazioni scuola-territorio per l’attuazione di esperienze extra-scolastiche di educazione civica” (come da articolo 8 della legge 92/2019), che nel richiesto parere va incontro alle correzioni del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, quasi che il MI fosse uno studente distratto:

“Il CSPI evidenzia che dovrebbe essere chiarito il rapporto tra attività extra-scolastiche e il curricolo di educazione civica previsto in almeno 33 ore, posta l’apparente obbligatorietà di tali esperienze, che emergerebbe dall’uso dell’indicativo nel testo dell’articolo 8, comma 1, della legge 92/2019 […] Il CSPI segnala inoltre che alcuni articoli del decreto in esame potrebbero essere intesi come limitanti sia l’autonomia scolastica sia norme già in vigore […]  Si chiede, infine, di rinumerare l’articolato: nel testo infatti compare, per mero errore, due volte la dizione articolo 3”.

La visione di Luciano Corradini

Diversamente Luciano Corradini, benemerito per aver caldeggiato nel tempo l’introduzione dell’educazione civica a scuola, “ha sottolineato che la stessa organicità che lega gli articoli della Costituzione si rivela tra le discipline in cui sono organizzati i curricoli scolastici: nessuna separata dalle altre può garantire una solida formazione alla cittadinanza,  quindi l’educazione civica non è che l’occasione per esplicitare compiutamente la saldezza di quel legame”, come riferisce Eleonora Fortunato nell’articolo “Si era scuola come dei soldatini”: un’ora di Educazione Civica con Luciano Corradini   su orizzontescuola.it. A dire il vero, non è dato comprendere come il legame fra gli articoli della Costituzione possa corrispondere a un legame fra le discipline curricolari, la cui visione sembra semmai da attribuire all’entusiasmo di Luciano Corradini.

La concezione meritocratica del cittadino in formazione

La legge 92/2019 al comma 6 dell’articolo 2 stabilisce per il secondo ciclo:

“L’insegnamento trasversale dell’educazione civica è oggetto delle valutazioni periodiche e finali previste dal decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, e del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122. Il docente coordinatore di cui al comma 5 formula la proposta di voto espresso in decimi, acquisendo elementi conoscitivi dai docenti a cui è affidato l’insegnamento dell’educazione civica.” (articolo 2, comma 6).

Per il primo ciclo sono contemplati quattro livelli di definizione della maggiore o minore qualifica di cittadino: avanzato, intermedio, di base, in via di prima acquisizione. Come se si trattasse di cittadini di serie A, B, C, D alla stregua di calciatori in campionato.

Il requisito dell’esempio e la scuola al di là della scuola

Qualsiasi progetto di educazione civica necessita di un requisito essenziale. Questo requisito è l’esempio. Esempio che deve provenire dalla società intera e soprattutto dalla realtà politica. Non lo si deve chiedere soltanto alla scuola. E poi bisogna riflettere attentamente sul rapporto fra educazione e scuola. Ci sono processi educativi che si svolgono all’interno dell’istituzione denominata scuola. Ciò non significa che i processi educativi siano tali in quanto istituzionalizzati. Anzi essi possono entrare in contrasto con l’istituzione. Ivan Illich ha parlato di descolarizzazione. Ma la scuola è di per se stessa descolarizzata nella misura in cui in essa hanno luogo autentici processi educativi.

L’educazione civica planetaria

Il  rapporto fra docenti e discenti, se in esso si va realizzando una reciproca crescita culturale e umana, trascende la scuola. Va al di là di cattedra, banchi, lavagna, aula e quant’altro. È un’esperienza di liberazione. Può assumere forme antagonistiche. In democrazia l’antagonismo si esprime mediante le scelte elettorali. Di qui la necessità di una riflessione sul potere, che teme questa riflessione come requisito di una formazione disciplinare anche indisciplinata. L’indisciplina va qui intesa come incoraggiamento alla critica. Così l’educazione civica si amplia nell’educazione politica e l’educazione politica assurge a educazione umana.  L’educazione politica mira a fare del discente un κοσμοπολίτης. L’essere umano diventa così cittadino del mondo. Si dirà che queste sono prospettive utopistiche.

Ma l’utopia è la sublimazione dell’umanità.

 

 

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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