La vita di Emilio Segrè, un fisico poco ricordato. Un ragazzo di via Panisperna che ha vinto il premio Nobel del 1959.
Nei tanti giorni passati in casa per il Corona Virus ho avuto l’opportunità di rileggere vari libri che giacevano ormai da anni, quasi dimenticati, negli scaffali della mia biblioteca. Ho riletto con vero piacere il libro “Atomi in famiglia” scritto da Laura Capon, la moglie di Fermi. Nella parte iniziale del libro lei si sofferma molto e in modo simpatico sull’attività di ricerca scientifica di Fermi e del suo gruppo di collaboratori, laureandi o appena laureati, che sono ricordati, anche in un film, come i “ragazzi di via Panisperna”. I primi a collaborare con Fermi furono Franco Rasetti, Emilio Segrè ed Edoardo Amaldi, ai quali si aggiunsero poi Bruno Pontecorvo e il chimico Oscar D’Agostino. Collaborò con il gruppo, ma in maniera discontinua a causa del suo difficile temperamento, anche Ettore Majorana che, quasi certamente, morì suicida durante un viaggio in nave da Palermo a Napoli.
Di tutti questi fisici soltanto Edoardo Amaldi restò all’Università di Roma ed io ebbi la fortuna di averlo come docente nel mio primo anno d’Università.
Rimane nella mia memoria la sua figura serena e paterna.
Una mattina stavo seguendo una sua lezione seduto in prima fila nella grande aula a gradinata. Amaldi scriveva alla lavagna ed io ero impegnato a prendere appunti su un quaderno. Ad un certo punto mi cadde per terra la penna biro e non potevo raccoglierla senza disturbare i miei vicini di banco. Amaldi si rese conto della situazione. Smise di scrivere alla lavagna e venne verso di me chinandosi per raccogliere la penna e consegnandomela poi in mano con un sorriso.
Su Fermi e i suoi collaboratori sono state prodotte numerose pubblicazioni e le loro figure sono ben conosciute anche fuori dall’ambito scolastico e universitario. Ho notato però una limitata conoscenza, soprattutto tra i giovani, riguardo alla figura di Emilio Segrè. Perciò ho pensato di dedicare parte del mio tempo per ricostruire, almeno in parte, i periodi più importanti della sua vita e della sua carriera.
Emilio Segrè nacque a Tivoli, vicino Roma, nel 1905.
La sua era una famiglia ebrea originaria di Bozzolo, in provincia di Mantova. Suo padre, Giuseppe Abramo Segrè, dopo aver finito l’Istituto Tecnico, verso il 1880 lasciò Bozzolo e dopo diversi impegni di lavoro in varie città italiane divenne proprietario delle cartiere di Tivoli, attività industriale che conservò per tutta la vita. A Tivoli fu anche amministratore della Villa d’Este, proprietà dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, e questa seconda attività dette occasione al figlio Emilio, nel periodo della fanciullezza, di conoscere diversi importanti personaggi che ebbero influenza sui suoi futuri interessi culturali. Sua mamma, Amelia Susanna Treves, era figlia di un noto architetto fiorentino.
Grande influenza sulla sua vita futura ebbero i due fratelli del padre, gli zii Claudio e Gino Segrè.
Il primo ingegnere e il secondo docente universitario di diritto romano. Essi erano molto noti negli ambienti culturali italiani ed erano entrambi soci dell’Accademia dei Lincei. Da ragazzo Emilio si sentiva amato da sua mamma Amelia, mentre percepiva come lontana la figura del padre, impegnato a tempo pieno nella sua attività industriale. A causa della grande differenza d’età, non aveva un buon rapporto anche con i suoi due fratelli Angelo e Marco. Crescendo, pur essendo di famiglia ebrea, non coltivava sentimenti religiosi e si sentiva sempre più vicino alla posizione di Einstein il quale affermava che per uno scienziato gli avvenimenti futuri non possono essere influenzati da una preghiera. La nostra conoscenza delle leggi naturali è incompleta ed è un atto di fede la convinzione che esistano leggi assolute. La ricerca di queste leggi porta a un sentimento religioso di natura speciale che è diverso dalla religiosità della maggior parte delle persone.
Intanto, l’attività del padre si spostava sempre di più da Tivoli a Roma.
Nel 1917, durante la prima guerra mondiale, la famiglia Segrè vi si trasferì passando, però, lunghi periodi a Tivoli in autunno e in primavera. Lì, Emilio poteva incontrare i suoi vecchi amici ed eseguire i primi esperimenti di fisica studiati sui libri regalati dallo zio Claudio. Il suo interesse per la fisica forse nacque quando lo zio lo portò a visitare l’Istituto Sperimentale delle Ferrovie, dove vide per la prima volta un vero laboratorio con molti apparecchi. Tra i regali dello zio anche un vecchio trattato di fisica del 1863, dove erano descritti gli esperimenti di Faraday.
A Roma frequentò il Ginnasio Mamiani, che allora si trovava in corso Vittorio Emanuele, nel palazzo accanto a quello in cui abitava la sua famiglia. Durante le lezioni di latino e greco per vincere la noia si portava qualche volta un libro da leggere di nascosto.
A quei tempi si poteva uscire dal Liceo senza esami se si aveva almeno sette in ogni materia.
Ma in greco egli non raggiungeva nemmeno la sufficienza. Un giorno, però, fu invitato a pranzo a casa Segrè un famoso grecista amico di famiglia che lo conosceva da quando era bambino. Questo, venuto a conoscenza delle sue carenze in greco, dichiarò di essere amico del professore e che lo avrebbe aiutato. Infatti, dopo quel giorno i voti in greco cominciarono a migliorare e alla fine dell’anno Emilio fu promosso con la media del sette. Questo avvenne nel 1922, l’anno prima della riforma Gentile.
Dovendosi iscrivere all’Università, era attirato dalla carriera universitaria come fisico.
Questa strada sembrava però molto difficile perché i posti disponibili in Italia erano pochi. Alla fine decise d’iscriversi al biennio di matematica e fisica che era propedeutico ad ingegneria. Ebbe come docente di analisi infinitesimale Francesco Severi, di geometria analitica Guido Castelnuovo, di fisica Orso Mario Corbino e di meccanica razionale Tullio Levi-Civita. All’Università ebbe come compagni di corso e amici Ettore Majorana, che presto acquistò la fama di essere un genio matematico, e Giovanni Enriques, figlio di Federigo Enriques e nipote di Guido Castelnuovo. Dopo il biennio di Matematica e Fisica s’iscrisse alla Scuola d’Ingegneria.
Un giorno Giovanni Enriques disse ad Emilio di aver saputo da suo padre che nell’Università di Roma era arrivato un nuovo docente, Enrico Fermi, che pur essendo molto giovane era già considerato un genio. Poiché Fermi doveva parlare in un seminario di matematica, egli decise di andare ad ascoltarlo e ne trasse la convinzione che la sua fama era ben meritata. Non ebbe però la possibilità di contattarlo.
All’età di 22 anni, nel 1927, Emilio ebbe in regalo dalla madre una Fiat 509 e, poiché in quell’epoca a Roma le automobili erano poche, dai colleghi di corso egli era considerato uno studente ricco.
Il possesso dell’automobile probabilmente cambiò il corso della sua vita.
Infatti, ora era molto più facile organizzare gite in montagna, che erano la sua grande passione. Nell’occasione di una gita sul Gran Sasso, organizzata insieme a Giovanni Enriques, questi invitò Franco Rasetti che si trovava da poco a Roma come assistente di Corbino. Rasetti era amico intimo di Fermi. Entrambi avevano studiato nell’Università di Pisa, e dopo alcuni giorni ebbe occasione di presentargli il suo nuovo amico Emilio Segrè. Nell’occasione di una nuova gita, questa volta ad Ostia, Fermi potè apprezzare il forte interesse di Emilio per la fisica. Così ebbe inizio l’amicizia tra i due. Fermi lo inserì nel suo gruppo, ma ancora come studente d’ingegneria
Nello stesso anno, dopo diversi giorni passati sulle Alpi, prima di tornare a Roma, Rasetti e Segrè decisero di recarsi a Como dove si stava svolgendo un congresso internazionale di fisica per il centenario della morte di Alessandro Volta. Accodandosi a Fermi, che era stato invitato, riuscirono ad assistere alle sedute e a vedere di persona i fisici più famosi dell’epoca.
Mancava soltanto Einstein, che non riusciva ad accettare l’Italia fascista.
Dopo il congresso, Segrè decise di lasciare ingegneria per la facoltà di fisica e con l’aiuto di Corbino riuscì rapidamente a cambiare facoltà. Nell’autunno dello stesso anno 1927 si aggiunse al gruppo di Fermi anche Edoardo Amaldi. Nel gruppo si era creato un forte affiatamento ed ognuno aveva un soprannome: Corbino era il Padre Eterno, Fermi era il Papa, Rasetti era il Cardinal Vicario, Majorana era il Grande Inquisitore, a causa del suo spirito critico, e Segrè era il Prefetto alle Biblioteche, perché s’interessava della biblioteca; ma era anche chiamato il Basilisco, perché si arrabbiava molto spesso.
Come studente in fisica egli frequentò il corso di fisica matematica tenuto da Volterra.
Nella sua autobiografia egli ricorda che le lezioni di Volterra erano fatte con una vocina tenue e nasale che tendeva a provocare il sonno. Poiché non c’era un libro di testo da seguire e bisognava prendere appunti, Segrè incaricava Amaldi di prenderli e di svegliarlo se si addormentava. Poiché Volterra aveva l’abitudine di chiudere gli occhi mentre parlava o calcolava, si diceva che essendo un uomo di buon cuore non voleva vedere quanto soffrivano i suoi studenti.
Emilio Segrè coltivava una forte antipatia verso il professore Antonino Lo Surdo.
Con lui aveva sostenuto l’esame di fisica superiore, ultimo esame prima della laurea. Questi non sopportava Fermi perché aveva considerato un’offesa personale il fatto che gli fosse stata affidata la cattedra che riteneva dovesse essere la sua. L’anno dopo, nel 1928, dopo aver sostenuto l’esame di laurea, Segrè riuscì a sentire da dietro la porta che gli esaminatori avevano proposto per lui 110 con la lode, ma che Lo Surdo si era opposto, non facendogliela ottenere perché per avere la lode era necessaria l’unanimità nella votazione.
Sia Corbino che Lo Surdo provenivano dall’Università di Messina.
Durante il terremoto del 1908 Corbino riuscì a salvarsi con la famiglia, ma Antonino Lo Surdo perse la famiglia e persino la fidanzata. Dopo questa terribile esperienza, rimasto solo al mondo, visse solitario e per tutta la vita si dimostrò poco amichevole e scontroso con i colleghi. Dopo la morte di Corbino nel 1937, essendo favorevole al partito fascista, egli fu nominato direttore dell’Istituto. Esagerò però con l’applicazione delle leggi razziali quando proibì l’accesso alla biblioteca dell’Istituto a Guido Castelnuovo, suo collega da molti anni. Finita la guerra, Lo Surdo fu epurato dall’Accademia dei Lincei e dovette superare varie difficoltà a causa della sua passata simpatia per il partito fascista. Però, nel 1980 è stato ugualmente commemorato con uno speciale francobollo emesso dalle poste italiane.
In casa Castelnuovo vi era la simpatica usanza di riunire amici e parenti ogni sabato sera, dopo cena, per passare alcune ore in serenità.
Giovanni Enriques frequentava anche lui la casa dello zio e aveva cominciato a portare con sé alcuni amici tra i quali Enrico Fermi ed Emilio Segrè. Mentre gli anziani restavano seduti in salotto a chiacchierare, i giovani stavano in un’altra stanza impegnati in giochi di società. Tra questi giochi vi era il cosiddetto gioco delle pulci inventato da Fermi e consistente nel far saltare le monete sulla tovaglia del tavolo da pranzo, premendole sul bordo con un’altra moneta. Emilio Segrè si annoiava con questo gioco che trovava puerile, ma manteneva comunque alta la sua opinione verso Fermi e Rasetti che invece si divertivano molto con questo gioco.
Nel 1934 i fisici francesi Frédéric Joliot e sua moglie Irène Curie scoprirono la radioattività artificiale.
L’alluminio e altri elementi leggeri si trasformavano in sostanze radioattive quando venivano bombardati con particelle alfa. Il fenomeno non si verificava se venivano utilizzati elementi più pesanti.
Venuto a conoscenza di questa scoperta, Fermi pensò di poter ottenere la radioattività artificiale utilizzando come proiettili i neutroni invece delle particelle alfa. I neutroni, non risentendo l’azione di forze elettriche, dovevano avere un percorso più lungo nella materia con la conseguenza di poter rompere i nuclei degli atomi investendoli con una maggiore energia cinetica. Però, l’uso dei neutroni si presentava difficilmente attuabile perché, mentre le particelle alfa sono emesse spontaneamente dalle sostanze radioattive, per ottenere neutroni da un elemento bisognava prima bombardarlo con particelle alfa.
Fermi e il suo gruppo non si dettero per vinti.
Dopo vari tentativi riuscirono ad ottenere una sorgente di neutroni. Per gli esperimenti era necessario procurarsi i vari elementi chimici e per questo fu incaricato Segrè che, essendo figlio di un industriale, doveva avere più degli altri il fiuto per gli affari, risparmiando negli acquisti. Egli si recò nella bottega del signor Troccoli, il principale fornitore di prodotti chimici, e mentre gli spiegava la radioattività artificiale raccoglieva gli elementi chimici elencati su un foglio di carta. Evidentemente Segrè ispirava fiducia perché un’altra volta un gioielliere gli prestò per un esperimento dieci chili d’oro senza nemmeno esigere un deposito.
Continuando gli esperimenti fu fatta una scoperta importantissima.
Se si poneva la sorgente di neutroni in una cavità praticata nella paraffina, irradiando un cilindro d’argento questo diventava molto più radioattivo. Si capì che, essendo la paraffina una sostanza idrogenata e poiché gli atomi d’idrogeno hanno per nucleo un protone, nell’attraversarla i neutroni urtavano i protoni contenuti in essa e in ogni urto perdevano parte della loro energia. Dopo tanti urti la loro velocità si riduceva fortemente. Perciò, rispetto ad un “neutrone veloce”, un “neutrone lento” aveva maggior probabilità di essere catturato da un nucleo d’argento che scindendosi generava la radioattività artificiale.
In definitiva, il nucleo di un atomo non si scindeva a causa dell’urto con un “neutrone veloce”, ma si scindeva dopo aver inglobato un “neutrone lento”.
Nel 1936 Emilio Segrè, dopo avere sposato una giovane tedesca, Elfriede Spiro, si trasferì a Palermo.
Vi aveva ottenuto la cattedra di fisica e poi anche la direzione dell’Istituto. Continuò gli esperimenti in questa nuova sede universitaria e, per arricchire le sue conoscenze, durante l’estate si recò in America con la moglie. A Berkeley conobbe il fisico Lawrence, che con il suo ciclotrone riusciva ad ottenere facilmente elementi radioattivi, ed ebbe in omaggio alcuni campioni radioattivi da portare in Italia.
Tornato a Palermo continuò i suoi esperimenti con gli elementi radioattivi portati da Berkeley e l’anno successivo, nel 1937, ottenne il primo elemento artificiale prodotto dall’uomo.
Pensò inizialmente di chiamarlo Trinacrio, in onore della Sicilia. Ma evitò di darne subito notizia per avere maggiore sicurezza del risultato raggiunto. Dopo la guerra, poiché lo stesso elemento era possibile ottenerlo con i reattori nucleari, si decise di chiamarlo “tecnezio”, essendo questo il primo elemento artificiale.
Nel mese di luglio del 1938 Segrè s’imbarcò da solo per l’America.
A Berkeley, continuò la sua attività sperimentale con l’intenzione di tornare a Palermo in autunno, per l’inizio del nuovo anno accademico. Però, mentre si trovava nella stazione ferroviaria di Chicago, lesse nel giornale che in Italia Mussolini aveva pubblicato il Manifesto della razza per cui, essendo egli ebreo di nascita, non poteva più continuare la sua attività di docente. Da un sicuro lavoro nell’Università di Palermo si trovava ora in una situazione precaria e incerta. Tra l’altro, essendoci anche il pericolo di una guerra mondiale egli chiese alla moglie di raggiungerlo in America insieme al figlio Claudio.
Nello stesso anno Fermi aveva ottenuto il premio Nobel ed era emigrato negli Stati Uniti essendo la moglie di famiglia ebrea.
L’anno dopo, nel 1939, anche Lawrence ottenne il premio Nobel: ebbe la notizia mentre era ospite a cena in casa Segrè. Nello stesso anno arrivò la notizia della sensazionale scoperta della fissione nucleare da parte di Hahn e Strassmann e gli esperimenti vennero immediatamente ripetuti anche a Berkeley.
Il 7 dicembre 1941 la radio dette la notizia del bombardamento di Pearl Harbor e dopo breve tempo arrivò anche la notizia della dichiarazione di guerra dell’Italia all’America. Con l’entrata in guerra dell’America, Emilio Segrè era diventato un “straniero nemico” ed era difficile poter avere notizie dei genitori e parenti che si trovavano in Italia.
Nell’estate del 1942 si radunò a Berkeley un gruppo di scienziati.
Con la direzione di Oppenheimer iniziava il progetto di una bomba nucleare. Successivamente le autorità militari affidarono la direzione del progetto al generale Leslie Groves. A Los Alamos fu anche avviato un laboratorio diretto da Oppenheimer dedicato alla costruzione della bomba e Segrè fu reclutato per questa nuova attività. Egli si recò per la prima volta a Los Alamos nel marzo del 1943 per partecipare ad una riunione. Non c’erano ancora né le case di abitazione né i laboratori. Gli scienziati erano alloggiati in una grande casa dove si tenevano anche le riunioni. L’età media di questo gruppo di fisici nucleari era di circa 32 anni e il direttore del laboratorio, Oppenheimer, aveva 39 anni.
Nell’autunno dello stesso anno arrivò a Los Alamos anche Niels Bohr.
Era fuggito dalla Danimarca e per ragioni di sicurezza aveva il finto nome di Nicholas Baker. Egli raccontò quello che sapeva sugli avvenimenti in Europa e per la prima volta i rifugiati europei poterono avere informazioni da un testimone oculare. Segrè aveva spesso lunghe conversazioni con Bohr, che desiderava avere informazioni sui dati sperimentali. Bohr, sempre con la pipa in bocca, parlava quasi borbottando. Segrè faceva fatica a comprendere quello che egli diceva.
Nel mese di giugno del 1944, quando gli americani entrarono a Roma, Segrè riuscì finalmente ad avere notizie della sua famiglia. Gli americani avevano ordine di cercare Edoardo Amaldi e altri scienziati per raccogliere informazioni sul progetto atomico tedesco e Oppenheimer, avute le notizie, comunicò a Segrè che suo padre si era salvato, ma che sua mamma era stata presa dai tedeschi nell’ottobre del 1943. Dopo un anno anche suo padre morì di morte naturale a 85 anni.
Il 15 luglio 1945 tutto era pronto per l’esplosione della prima bomba atomica.
Il cosiddetto esperimento «Trinity» che doveva avvenire all’alba. Segrè e Fermi si fermarono a circa quindici chilometri di distanza dal luogo dove doveva avvenire l’esplosione. Si sdraiarono per terra e si preoccuparono di proteggere gli occhi coprendoli con vetri nerissimi; infatti, all’improvviso, tutto il paesaggio s’illuminò di una luce più intensa di quella del sole a mezzogiorno. Subito dopo l’esplosione Fermi si alzò in piedi e fece cadere a terra dei pezzettini di carta nel momento in cui l’onda d’urto li raggiungeva. Questi si spostarono lateralmente durante la caduta e Fermi, guardando una tabella che aveva preparato, ricavò approssimativamente l’energia dell’esplosione in funzione dello spostamento dell’aria.
Durante il soggiorno a Los Alamos Segrè e famiglia divennero cittadini americani avendone fatto richiesta fin dal 1939.
La conclusione del periodo bellico poneva però seri problemi personali
Emilio Segrè non aveva infatti ancora una sede di lavoro sicura. Alla fine trovò un accordo con Lawrence per tornare a Berkeley dove prese servizio come docente nella primavera del 1946.
Nell’estate del 1947, dopo nove anni da quando aveva lasciato l’Italia, Emilio Segrè, ormai cittadino degli Stati Uniti, decise di tornare a Tivoli per seguire insieme ai suoi due fratelli gli affari di famiglia. Però, non avendo raggiunto un accordo, la cartiera, che era stata l’orgoglio di suo padre, fu venduta ad un gruppo industriale finlandese.
Mentre si trovava a Berkeley impegnato nelle sue ricerche in campo nucleare, Segrè ricevette una telefonata da Chicago con la notizia che Fermi era stato operato e che aveva un tumore allo stomaco. Egli prese l’aereo per Chicago e si recò in ospedale dove trovò Fermi perfettamente informato sulle sue condizioni di salute. Nell’occasione di un’altra visita di Segrè, Fermi, che riusciva ad accettare anche con ironia la sua condizione di salute, raccontò che era stato benedetto da un prete cattolico, poi da un pastore protestante e infine da un rabbino. In tempi diversi tutti e tre gli avevano chiesto il permesso di benedirlo. Lui aveva accettato pensando che a loro dava soddisfazione e a lui non faceva male. In un’altra occasione raccontò che sua moglie Laura aveva appena finito di scrivere il libro “Atomi in famiglia” e che lui moriva nel momento giusto per fare propaganda al libro.
Morì nella notte del 28 novembre 1954.
L’anno dopo, nel 1955, la famiglia Segrè cambiò casa e si trasferì a Lafayette, lontana una quindicina di chilometri da Berkeley dove egli continuava a lavorare come docente e ricercatore.
Secondo la teoria di Dirac, doveva esistere l’antiparticella dell’elettrone con carica elettrica e momento magnetico uguali ed opposti rispetto a quelli dell’elettrone. Questa particella, il positrone, fu poi scoperta da Anderson nel 1932. Dopo oltre venti anni, nel 1955, lavorando con Owen Chamberlain e utilizzando l’acceleratore di particelle, Emilio Segrè riuscì a scoprire l’antiprotone. Dopo questa scoperta ebbe la notizia che aveva una buona probabilità di ottenere il premio Nobel e, infatti, nel mese di ottobre del 1959 arrivò il telegramma ufficiale ed egli partì per la premiazione ufficiale in Svezia.
Nel 1970 tornò in Italia insieme alla moglie Elfriede per una serie di conferenze.
Completati i suoi impegni si fermarono per qualche giorno a Firenze, dove pensavano di potersi trasferire dopo la pensione. Prima di tornare a Roma andarono a visitare la casa di Leopardi a Recanati e poi si fermarono a Teramo per dormire. Durante la notte la moglie morì nel sonno.
Tornato a Lafayette, in California, dopo due anni dalla morte della moglie, nel 1972 Segrè si sposò di nuovo, a sessantasette anni, con Rosa Mines, un’amica uruguaiana molto affettuosa e molto più giovane di lui che egli aveva conosciuto a Montevideo. Nello stesso anno, raggiunti i limiti di età a Berkeley, egli andò in pensione. Ora, libero da impegni di lavoro, decise di portare la nuova moglie in Italia per fargliela conoscere.
Nel 1974 venne chiamato a ricoprire la cattedra di fisica nucleare all’Università di Roma.
Era un brutto momento a causa dei moti studenteschi che ormai erano alla fine. Vi rimase, però, soltanto un anno perché andato fuori ruolo per limiti di età.
Tornò di nuovo in California, a Lafayette. Dopo qualche anno, durante una cena di beneficenza all’Università di Berkeley, all’improvviso non si sentì bene. La moglie lo fece ricoverare in ospedale dove rimase in terapia intensiva per un paio di giorni. Tornato a casa, egli riprese la sua vita normale, leggendo, scrivendo e apprezzando le potenzialità del suo nuovo computer.
Il 22 aprile 1989, dopo il solito pisolino pomeridiano, egli chiese alla moglie di fare insieme una passeggiata in una stradina di campagna vicino casa. Si mise le scarpe da tennis e cominciarono a camminare lentamente parlando delle varie cose della giornata. Però, dopo pochi minuti disse alla moglie di fermarsi. Le mise le mani sulle spalle come per sostenersi e lei sentiva aumentare sempre di più il peso del marito che tendeva a farla cadere.
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