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Gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali

La dimostrazione più famosa della storia dell’insegnamento della geometria. La prima insegnata finanche ad una macchina. Gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali.

Il discorso, se non inizia da una definizione, termina sempre in un’opinione. Lo scriveva Tommaso Hobbes nel De Corpore (1655). Era rimasto così affascinato dallo studio degli Elementi di Euclide,  che cominciano appunto con tutte le definizioni degli oggetti del discorso in essi sviluppato, da farne un assioma della sua filosofia. In quel che segue parleremo del triangolo isoscele. Siamo intono al 300 a. C.. Euclide definisce isoscele il triangolo che ha due lati uguali. Successivamente dimostra che, se il triangolo è isoscele, allora anche i due angoli alla base sono uguali. Il teorema lo formula e lo dimostra quasi subito. All’inizio del libro primo. Nella sequenza dell’ordine deduttivo da lui stabilito il teorema è la proposizione 5. Dunque, per la sua dimostrazione bastano le quattro proposizioni che la precedono:

  1. Su un segmento assegnato costruire un triangolo equilatero.
  2. Applicare ad un punto dato un segmento uguale ad un segmento assegnato.
  3. Dati due segmenti disuguali, togliere dal maggiore un segmento uguale al minore.
  4. Se due triangoli hanno rispettivamente uguali due lati e l’angolo compreso, i due triangoli sono uguali.

Il teorema in sé non appare un gran risultato. Tale è peraltro la sua evidenza che ogni discussione sulla sua dimostrazione appare un eccesso di zelo. La cosa fu rilevata anche da Giambattista Vico (1668-1744). Arrivato a quella  proposizione 5, lo storico e filosofo partenopeo si convinse che lo studio degli Elementi poteva andar bene per gli spiriti minuti, ma non faceva per lui, così non andò oltre.

È anche utile, però, dire subito che stiamo parlando del primo teorema dimostrato da una macchina.

Per riuscirci, il computer aveva ragionato in termini estremamente semplici, primitivi, ancestrali. La macchina, il triangolo ABC lo leggeva anche CBA, come se lo vedesse allo specchio e si trattasse di due triangoli isosceli distinti! Poteva perciò applicare la proposizione 4 e dedurne che i triangoli erano uguali e uguali dunque gli angoli alla base. Questo accadeva nel 1959. Era la prima concretizzazione informatica di un’idea di Marvin Minsky, padre della AI. A raccontare l’episodio è Jeremy Bernstein in Uomini e macchine intelligenti, edito in Italia da Adelphi (1990). Quella dimostrazione non era un’invenzione del computer né di Minsky, che gli dettava le mosse una ad una, era molto più antica. Ne aveva parlato nel V secolo  Proclo, che a sua volta l’aveva ripresa da Pappo Alessandrino, attivo verso il 350 d.C.. Pappo aveva illustrato quella prova quale critica alla dimostrazione euclidea.

La ragione della critica sta nella dimostrazione data da Euclide. Eccola:

Sui prolungamenti dei lati AB e AC si staccano con il compasso i segmenti uguali BD e CE. Si congiunge poi B con E e C con D e il gioco è fatto! Per la 4 i due triangoli ABE e ACD sono uguali e per la 4 sono anche uguali i triangoli BEC e CDB. Dunque, per sottrazione da angoli uguali, gli angoli alla base, B e C, sono uguali.

 È una dimostrazione importante, ma è all’opposto di quella di Pappo e del computer, che non costruiscono nulla: non tirano linee, non staccano segmenti e non segnano intersezioni. È questa la dimostrazione che demotivò Giambattista Vico. E non solo lui. Qualche anno fa Giovanni Prodi (1925-2010), il noto analista che ha poi avuto un ruolo importante negli indirizzi di didattica della matematica in Italia, s’imbatté in essa. Diversamente dal Vico, non sapeva però trattarsi di una dimostrazione di Euclide. In un articolo scritto per la rivista Archimede, 4/1984, dichiarò che era rimasto molto sorpreso dalla sua esistenza nei libri di geometria delle classi del biennio. Perché, chiedeva, una tale artificiosa e complicata dimostrazione, quando il tutto si può provare più rapidamente tirando la bisettrice dell’angolo al vertice?

È questo il punto che tocca la parte più delicata e importante dell’intero progetto degli Elementi, non solo la proposizione 5.

La costruzione della bisettrice

Euclide non traccia la bisettrice. Il fatto è che non può farlo e non vuole farlo. Della bisettrice parlerà dopo. La introdurrà con la proposizione 9, spiegando come costruirla. E qui s’intrecciano varie teorie sulle scelte di Euclide, sul suo metodo di operare con riga e compasso, sulla sua assiomatica e sulle finalità del suo lavoro.

La  proposizione 5 nella dimostrazione che ne dà Euclide, ha dunque veramente qualcosa di particolare e, in ogni caso, una presenza nella storia culturale e didattica che la rende di gran lunga più importante del risultato stesso. Sul piano didattico sono almeno due i motivi che la rendono importante.

Il primo motivo è il ruolo di test per saggiare le capacità dei giovani di avvicinarsi al mondo delle dimostrazioni.

Un ruolo che essa ha avuto per secoli e ha svolto bene, tanto da essere detta pons asinorum. Un test efficace,  sostenuto dalla forza e dalla validità di una verità risaputa da sempre, ovvero che lo studente che ha capito la sua prima dimostrazione ha stabilito un rapporto proficuo con la matematica. Una verità pedagogica cioè che, al di là della particolare dimostrazione euclidea, i docenti conoscono molto bene. Fa parte della loro esperienza didattica, infatti, veder brillare gli occhi dello studente mentre espone qualcosa che ha capito e che sente di padroneggiare. Ciò porta anche a concludere che è la luce della comprensione che va perseguita, indipendentemente dalla particolare via didattica prescelta.

Ecco l’altro motivo, non meno profondo e rilevante del primo.

La dimostrazione euclidea si presta a porre in evidenza il più significativo tra gli obiettivi formativi dell’insegnamento della geometria e della matematica in generale. È l’obiettivo, nato con Euclide, che investe il ragionamento, l’inferenza logica, la possibile sistemazione dei risultati, il procedere in maniera costruttiva mediante  una catena ordinata di  “se… allora”. In definitiva, si presta a rivelare il significato di geometria razionale, di metodo ipotetico deduttivo, di assiomatica e di scelta di un’assiomatica.

È tale rilevanza didattica ad aver consacrato Euclide docente dei docenti di matematica e padre della didattica della matematica. Realizzatore del più importante, influente e duraturo progetto di insegnamento della matematica. Autore, contrariamente a quel che rispose a chi gli chiedeva una via semplificata per apprendere la matematica, di una via che  è stata nei secoli la via regia dell’insegnamento. Autore di un’organizzazione dei risultati matematici a fini didattici risultata fondativa del modello disciplinare. Un’organizzazione che è essa stessa matematica, come riconosciuto da molti e, più chiaramente dal giovane Novalis secondo il quale: la comunicazione della matematica è matematica, la matematica della matematica.

Autore infine  del manuale scolastico più duraturo della storia, pensato,  come ebbe a scrivere Proclo, per “l’insegnamento degli elementi e l’iniziazione dell’intelletto dei principianti alla geometria nel suo insieme”, e libro di testo ufficiale in uso nella scuola di Alessandria, faro di luce, tuttora luminosa, per la matematica e la scienza. Di essa si parlerà in un prossimo intervento. [VEDI]

Autore

  • Emilio Ambrisi

    Laureato in matematica, docente e preside e, per un quarto di secolo, ispettore ministeriale. Responsabile, per il settore della matematica e della fisica, della Struttura Tecnica del Ministero dell'Istruzione. Segretario, Vice-Presidente e Presidente Nazionale della Mathesis dal 1980 in poi e dal 2009 al 2019, direttore del Periodico di Matematiche.

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