Gli insiemi nell’insegnamento secondario:
le risposte ad un quesito assegnato agli Esami di Stato
( dal Periodico di Matematiche n.4/2004)
Emilio Ambrisi
Sunto: Esiste una diffusa e radicata idiosincrasìa a parlare di “insiemi” nella cultura accademica e nella pedagogia della matematica. E’ una conseguenza della reazione alla moda insiemistica di anni fa che, nell’insegnamento secondario, sta producendo altrettanti danni negli apprendimenti dei giovani.
Lo scorso numero del PdM (Luglio/Settembre) riporta le riflessioni di A. Laforgia “Su un quesito assegnato alla Maturità Scientifica 2004”. Riflessioni che vanno al di là dell’ambito ristretto di una prova scritta, perché sottolineano una certa superficialità dell’ambiente “giornalistico” nell’afforntare talune questioni e avviano alla considerazione più generale del tema delle conoscenze degli alunni a conclusione del corso di studi di scuola secondaria superiore nell’attuale contesto culturale e pedagogico. Lo stessto tema ha motivato le riflessioni che seguono.
“Dati gli insiemi A={1,2,3,4} e B= {a,b,c}; quante sono le applicazioni (le funzioni) di A in B?”
E’ pur essa una domanda che figura nel questionario della prova scritta che hanno sostenuto i candidati agli esami di stato di liceo scientifico sia dell’indirizzo ordinario che sperimentale della sessione 2004 e riguardando il concetto di funzione a nessuno, forse, verrebbe da dire che è una cattiva domanda nel senso, a parte questioni di stile nella formulazione, che non riguardi una conoscenza che è fondamentale e essenziale in matematica. E come tale, infatti, essa figura anche tra le conoscenze inserite nell’ultimo Syllabus approntato dall’UMI. [1]
Sostanzialmente comunque, non si negherebbe il valore dell’esercizio per testare la comprensione e l’acquisizione del concetto di funzione nelle nostre scuole superiori.
Ciò premesso, lo direste che è stato il quesito tra i più difficili? Anzi, il più difficile nell’indirizzo ordinario, tra i più difficili nelle sperimentazioni e nel PNI (Piano Nazionale di Informatica). Il dato è offerto dalla indagine predisposta e realizzata dal MIUR e disponibile sul Servizio Matmedia (www.matmedia.it ): nell’ordinario il quesito è rimasto pressochè inaffrontato e 532 commissioni esaminatrici su 1010 lo hanno ritenuto il più ostico per gli allievi. Negli indirizzi sperimentali e PNI spartisce invece la palma di quesito più difficile con il seguente:
“Tra i triangoli di base assegnata e di uguale area, dimostrare che quello isoscele ha perimetro minimo”.
A che è dovuto un tale risultato? In verità già i docenti proff. C. Fadini, L. Lorenzetti, F. Giugni, T. Bindo, A. Travaglione. E. Mercuri e G. Dell’Uomo lo avevano preannunciato nei loro commenti a caldo su Matmedia asserendo: E’ una questione che non sempre viene trattata in classe, quindi ad un livello di difficoltà superiore rispetto agli altri quesiti ( L. Lorenzetti).
Questo significa forse che per quanto la prova scritta degli esami finali li impegni soprattutto nello studio e nelle rappresentazioni di funzioni, gli alunni non sanno che cos’è una funzione? C’è decisamente una difficoltà oggettiva nella domanda perchè gli alunni tendono sempre di più a preoccuparsi di “come si fa” piuttosto che impegnarsi a riflettere su che cos’è . Forse, però, le difficoltà del quesito stanno più propriamente nella considerazione di insiemi finiti e nella formulazione nello stile degli insiemi. L’avere cioè utilizzato il linguaggio insiemistico ha spinto ad evitare il quesito.
Ed è un poco sconcertante!
E’ vero che il termine “Insiemistica” fu coniato sul finire degli anni sessanta per indicare la versione scolastica della teoria degli insiemi. Meglio: ciò che di “insiemi” – loro rappresentazioni, usi ed operazioni – si faceva nella scuola elementare a sostegno di una didattica che si pensava più efficace per l’introduzione dei primi concetti e “personaggi” della matematica. E’ vero che si pronunciava, il termine, non senza una punta ironica se non addirittura dispregiativa: B. de Finetti parlò, con successo, di una “insiemistificazione” della matematica con riferimento alla moda imperante degli insiemi quali simboli della matematica moderna e strumenti per rinnovarne l’insegnamento. Ma la moda è passata e già da tempo e non è più così. Anzi, altre ondate di moda si sono succedute anche se, a confronto, di entità molto più tenue. Paradossalmente non è scomparso il termine che si è anzi consolidato nella diffusione tanto da essere utilizzato anche per corsi di livello universitario ( basta una rapida ricerca in Internet per sincerarsene) e ciò che rimane di quella moda insiemistica è solo una forte e radicata idiosincrasìa per gli insiemi! Ed è questo uno dei motivi che non ha consentito agli alunni di affrontare il quesito proposto agli esami, alla base cioè di un mancato apprendimento. In definitiva, si è andata via via radicando e diffondendo una certa ritrosìa a parlare di insiemi e di teoria degli insiemi tanto che l’Italia appare uno dei paesi in cui il linguaggio degli insiemi è meno utilizzato nelle prove di esame, nei test di valutazione e in genere nell’insegnamento pre-universitario. E’ una questione di cultura, quasi un rifiuto a parlare di qualcosa che per taluni, a torto, è solo il ricordo di un periodo “nefasto”. E quel che è peggio è che ciò si coglie anche nelle “indicazioni” nazionali per i cicli di studi della Riforma Moratti, quelle ancora in discussione per la scuola superiore.
[1] E inserita nel Tema 3 “Insiemi, elementi di logica, calcolo combinatorio, relazioni e funzioni”. E se ne prevede un approfondimento nei “Quesiti che richiedono maggiore attenzione” nella forma “tra le le applicazioni di cui si parla nell’esercizio… ce ne sono di suriettive? Di iniettive? Di biiettive?
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