Il rapporto di continuità tra padre e figli e tra maestro e allievi. Ricordi del babbo fu l’ultimo dei contributi di Adriana Enriques al Periodico di Matematiche.
Ricordi del Babbo
Il secondo numero del Periodico di Matematiche dell’anno 1947 fu dedicato a Federigo Enriques nel primo anniversario della sua morte, avvenuta a Roma il 14 giugno 1946.
Adriana Enriques, che nel 1938 aveva interrotto la sua collaborazione al Periodico, a causa delle discriminazioni razziali, scrive, in questa occasione, un delicato articolo dai toni appassionati e insieme misurati, dimostrando una squisita sensibilità di scrittrice. Ventiquattro anni più tardi, nel centenario della nascita di Enriques, il prof. Augusto Guzzo, presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino, salutava
« ….. la signora Adriana Enriques De Benedetti, dottoressa in matematica, autrice di una delle cose più belle del bel fascicolo dedicato a Federigo Enriques dal Periodico di Matematiche del giugno 1947»
Adriana si presenta col doppio cognome, avendo sposato, nel 1930, l’ingegnere e industriale Ugo De Benedetti.
La struttura dell’articolo è originale, sotto forma di lettera indirizzata a Oscar Chisini, il quale, dopo il periodo bellico, aveva contribuito con Enriques alla rinascita del Periodico e ormai ne era diventato l’unico direttore.
Chisini era stato allievo di Enriques a Bologna e aveva frequentato per molti anni la sua casa fin da quando Adriana era una bambina. Aveva cominciato a «lavorare per la Scienza» sotto la guida di Enriques, di cui condivideva i vari interessi e le modalità di approccio allo studio. Collaborò a lungo con lui come docente e come autore di testi. In particolare, contribuì alla stesura del noto trattato “Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche”.
Nel 1923 aveva ottenuto la cattedra di Geometria analitica e proiettiva.
Dopo aver insegnato all’Università di Cagliari si era trasferito al Politecnico di Milano e, nella stessa città, nel 1929 aveva fondato l’Istituto di matematica dell’università degli studi. Pur occupandosi sempre di Geometria e di Algebra, Chisini legò il suo nome a una definizione di media, tanto generale quanto semplice, risultato trovato quasi per caso, grazie alla sua abitudine di riflettere criticamente sui concetti e su tutte le questioni in cui capitava di doversi confrontare.
Adriana si rivolge a lui ricordando il loro recente incontro proprio nella città di Bologna, nei pressi dell’Università e sotto i porticati dove spesso Enriques discuteva di Geometria con i suoi collaboratori.
Con un espediente narrativo di grande efficacia dà inizio ad intreccio di ricordi che le permettono, non solo di delineare i tratti salienti della figura del padre, ma soprattutto di centrare il tema che caratterizza la sua commemorazione: la continuità con cui si trasmette di padre in figlio, da maestro ad allievo, il bagaglio di conoscenze, esperienze e valori morali.
L’incipit :
Al prof. Oscar Chisini
L’11 marzo eravamo usciti dalla commemorazione di Salvatore Pincherle e tristi percorrevamo con passo lento i porticati della nostra cara Bologna che riaccendevano in noi i ricordi degli anni belli della vita studentesca.
L’ombra del Babbo sembrava seguirci, quasi guidarci per quelle strade.
Chisini in quell’ occasione parla di scrivere una novella sul tema del viaggio, metafora della vita quale intreccio di passato, presente e futuro. Due viaggiatori su un treno, seduti l’uno di fronte all’altro, osservano, l’uno la strada che fugge, l’altro la strada che viene incontro.
Ora Adriana suggerisce al professore una novella dove essi stessi sono i due viaggiatori, seduti, però, l’uno accanto all’altro per guardare insieme la strada del passato e poi quella del futuro. I ricordi comuni vedono Federigo in veste di padre e insieme di maestro, di guida culturale e professionale e insieme figura paterna.
Per entrambi era la persona che «apriva l’animo e la mente», un esempio non comune di «idealità e rettitudine».
I ricordi dell’infanzia, dei giochi con la sorella Alma e il fratello Giovanni, si associano alle visite che il papà Federigo riceveva nella stanza accanto, visite di illustri colleghi, quali Tullio Levi-Civita, Ugo Amaldi, Gaetano Scorza, Lucien Godeaux, o di brillanti allievi quali, oltre allo stesso Chisini, Vittoria Notari, Maria Lombardini, Ruggero Roghi.
Con alcuni di loro, nel 1921, Adriana aveva condiviso l’esperienza dell’incontro con Albert Einstein, invitato da Enriques a tenere alcune conferenze all’Ateneo di Bologna.
Una caratteristica di Enriques era il suo modo di trasmettere il sapere con grande disponibilità a rispondere alle domande e a chiarire anche i dubbi più ingenui.
« -Babbo, lo spazio è infinito?- gli chiesi un giorno;
– non credo che sia infinito;
– e allora se si va avanti per una strada sempre dritta nel cielo, a un certo punto si troverà la fine? E che cosa ci sarà alla fine? Una barriera come un muro? È al di là di quella barriera?»
Adriana non ha scelto casualmente il ricordo di questa ingenua domanda.
Essa ci riporta all’alba della scienza, all’esperimento ideale del pitagorico Archita di Taranto, descritto in forma poetica da Lucrezio. Il concetto moderno di varietà riemanniana tridimensionale, al quale il babbo allude nell’esempio semplice della sogliola piatta che si sposta su una superficie sferica, chiarisce la differenza tra spazio illimitato e spazio infinito.
Alla seconda domanda, sul tempo, egli risponde invece in modo deciso, affermando che crede nell’infinità del tempo; aggiunge poi:
«Qualcosa di me è in voi figli miei e voi tramanderete ai vostri figli e alle generazioni future ancora e sempre qualche cosa di me. I miei figli e i miei scolari sono la mia eternità». Il commento dell’autrice, «mirabile esempio di misticismo e razionalismo», sintetizza la personalità di Federico Enriques.
Cosa avevano ereditato, Adriana e i suoi fratelli, dalla figura paterna?
Sembra evidente che Adriana ereditò l’amore per la logica, per la storia, per l’arte e per l’insegnamento. Giovanni ereditò lo spirito di iniziativa, il pragmatismo, la capacità di adattamento. Laureato in ingegneria elettronica, dirigente nell’azienda di Adriano Olivetti, passò in seguito nel campo dell’editoria prendendo in mano le redini della Zanichelli.
A questo punto la strada dei ricordi si snoda in un tempo ancor più lontano.
Adriana, con tenerezza e un po’ d’ironia, racconta alcuni episodi dell’infanzia dello stesso Federigo.
«Dai fondi di un cassetto sono scaturiti alcuni quadernetti gialli ,dai fogli simili ai petali di una rosa carnicina appassiti»: i quaderni di quarta elementare in cui il piccolo Ghigo scriveva i suoi componimenti e una specie di diario suddiviso in capitoli e dotato di indice.
Il quarto capitolo era dedicato alla lista degli oggetti in suo possesso, catalogati come “oggetti isolati “ o “finimenti”; l’attenzione alle definizioni, rigorose ed esaustive, rivela inequivocabilmente l’atteggiamento mentale di un logico e di un matematico.
Nel quinto capitolo dà invece spazio alla fantasia, elaborando una specie di planisfero in cui la terra è rappresentata da un’alternanza di corone circolari di terra e di mare. Nel cerchio centrale c’è scritto: Italia.
Ma, ci tiene a precisare, questo è solo il sogno di un bambino.
Veramente singolare, infine, è un opuscoletto stampato in data 11 aprile 1882, intitolato “ I quadrati dei numeri da 1 a 1000”: la prima pubblicazione di Federigo Enriques!
Un po’ commossa e un po’ divertita Adriana racconta che di questo volumetto non ignorava l’esistenza e che suo padre aveva confessato, a lei e a suo fratello Giovanni, questa sua « bambinata».
Stanco di calcolare i quadrati con le moltiplicazioni, era andato alla ricerca di una regola di ricorrenza e aveva intuito che i quadrati dei numeri interi possono essere calcolati sommando, in successione, i numeri dispari. Con grande pazienza e determinazione, aveva compilato quelle tavole e aveva fatto stampare il volumetto all’insaputa dei genitori, spendendo tutti i suoi risparmi di ragazzino undicenne. Non aveva inoltre trascurato di apporre una prefazione alquanto pomposa:
«Pubblico questo volumetto stimando che a molti studiosi possa riuscire utile avere sottomano i quadrati dei primi 1000 numeri. F.E.»
L’episodio, che a suo tempo aveva suscitato ilarità per quella somma ingenuamente sprecata, ora, ad Adriana, sembra un’esperienza molto positiva e ricca di soddisfazioni, per un bambino convinto di aver fatto una scoperta e deciso a divulgarla per il bene di molti studiosi.
Meno lungimirante appare Matilde, la madre di Federigo.
In una lettera indirizzata alla sorella, Fortunée Franchetti, così commenta i progressi negli studi del tredicenne Ghigo: «In questi giorni, figurati gli è venuto il filone della geometria. Ma tu sai com’è questo figliuolo: ogni giorno ha un filone nuovo per il capo che gli dura l’espace d’un matin…»
Il treno corre veloce e i due viaggiatori cambiano posto per volgere la loro attenzione non più al passato ma al futuro, alla strada che ancora devono percorrere. Adriana sa che il suo futuro, come diceva il babbo, è nella vita dei suoi figli, mentre il professore ha la mente rivolta ai suoi studi, alle lezioni di Geometria proiettiva, ai suoi allievi.
«Dobbiamo tramandare l’eredità che abbiamo ricevuto, noi figli ai nostri figli, voi scolari ai vostri scolari».
Adriana, comunque, non si dedicò esclusivamente alla famiglia. Riprese il suo ruolo di insegnante, di autrice di testi scolastici e libri di lettura per i bambini. Uno dei suoi figli, Andrea De Benedetti, divenne pittore. I figli di Giovanni portano avanti il programma editoriale e aziendale della Zanichelli.
Oscar Chisini nel 1952 fece in modo che l’Istituto matematico di Milano venisse dedicato alla
memoria di Federigo Enriques.
Per quanto riguarda i suoi “scolari” è sufficiente ricordare alcuni nomi: Carlo Felice Manara, Modesto Dedò, Bruno de Finetti….
L’articolo di Adriana Enriques
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