Il canto di Paolo e Francesca. La dimensione eroica dei peccatori e il messaggio di un Dante antiromantico.
L’interpretazione romantica
Paolo e Francesca, Farinata, Ulisse, Ugolino: secondo una lettura romantica Dante di fronte a queste anime avrebbe sospeso l’inferno. Avrebbe provato cioè umana simpatia nei loro confronti, pur essendo esse dannate. Interpretazione che ritorna spesso nella aule scolastiche. Amore e morte, grandezza d’animo, eroismo avventuroso, compassione per le vittime le tematiche messe in risalto.
L’equivoco interpretativo
La moderna sensibilità cade in equivoco. L’equivoco impedisce di comprendere il messaggio religioso dell’opera. Messaggio che il pellegrino dell’oltretomba vuole trasmettere all’umanità del suo tempo e all’umanità futura.
La metamorfosi del cristiano
Il viaggio di Dante nell’oltretomba va inteso come un cammino di redenzione spirituale. È il resoconto di una metamorfosi. Non più la metamorfosi pagana di ascendenza ovidiana, ma la trasformazione dell’anima in un contesto teologico. Gli incontri con i dannati sono altrettanti esempi di gravità delle colpe e occasioni di purificazione del vivente che ne diventi conscio. La sfera spirituale del viandante nel luogo dell’eterna espiazione è soggetta così a una serie di cambiamenti. Dante come persona nel senso cristiano-medievale è chiamato a distaccarsi progressivamente dal peccato. In lui devono rispecchiarsi i lettori, prendendolo a esempio. Verifichiamo ora questa prospettiva nel canto V dell’Inferno. Uno fra i più letti antologicamente e fra i più fraintesi.
Debito esegetico
Per l’impostazione esegetica sono debitore a Vittorio Russo. Filologo dantesco di superiore dottrina, mostra le aporie della critica romantica (si veda Tristitia e misericordia nel Canto V dell’Inferno, in Vittorio Russo, Sussidi di esegesi dantesca, Liguori Editore, Napoli, 1966).
Il contesto del canto V dell’Inferno
Nominare il canto V dell’Inferno significa evocare immediatamente l’episodio di Paolo e Francesca. Episodio che finisce col risaltare da solo nel canto a scapito dell’integrità della narrazione. Invece va contestualizzato. Cominciamo perciò dall’inizio del canto. Dante scende dal primo al secondo cerchio infernale, ove l’eterna sofferenza dei dannati si manifesta con strazianti lamenti. Ivi l’orrendo Minosse funge da giudice che assegna le anime ai loro cerchi in ragione delle loro colpe. Si rivolge a Dante ammonendolo a non credere che sia agevole entrare nel doloroso cerchio dei lussuriosi. Virgilio esorta il diabolico giudice infernale a non impedire il viaggio di Dante voluto dall’onnipotente.
La pena dei lussuriosi
Dante è percosso da “molto pianto”. Il luogo è immerso nell’oscurità. Si ode un fragore come di onde di un mare in tempesta squassato da venti contrastanti. L’incessante “bufera infernal” travolge in eterno le anime, che con strida di dolore bestemmiano “la virtù divina”. Sono “i peccator carnali”, che “la ragion sommettono al talento”. Quando incontreremo Francesca, non dimentichiamo che anche lei, per aver ceduto al richiamo dei sensi, rientra fra gli spiriti malvagi, puniti nella schiera ove è Didone. I lussuriosi sballottati dal vento sono simili a stornelli e a gru che si lamentino coi loro tristi e lugubri versi.
La rassegna delle anime e il turbamento di Dante
Virgilio, a richiesta di Dante, fra più di mille anime ne nomina solo alcune. Sono sette: Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano. Nell’udire quei nomi, Dante viene colto da “pietà” e resta “quasi smarrito”. La parola “pietà” è chiave di volta nel canto e richiede un chiarimento semantico. Esprime una partecipazione alla quale subentra un distacco. Il moto dell’anima cristiana dall’iniziale compianto si orienta verso il riconoscimento della divina giustizia. A questo punto forte è lo stacco che introduce il famoso episodio dei due amanti. Dante resta colpito dall’apparirgli di due anime che vanno insieme. Le vede travolte più delle altre dall’impeto del vento. Virgilio lo esorta ad attendere, per pregarle, che siano più vicine:
L’amore come lussuria
Esortato da Virgilio, Dante prega le due anime di venire presso di lui in nome di un amore che è pur sempre deviante, distorto, peccaminoso. Dante sembra partecipe di quell’affanno. Come può “quell’amor che i mena” essere punito in eterno? In questo momento il poeta cristiano è dubbioso. Il significato della parola amore resta ambiguo. Egli confonde ancora la passione amorosa con l’amore puro. L’episodio di Paolo e Francesca è funzionale al suo progressivo liberarsi da questa confusione. Paolo e Francesca sono pur sempre “peccator carnali” che “la ragion sommettono al talento”. Perciò li travolge il vento come contrappasso del loro essersi lasciati travolgere da brama, concupiscenza, passione, lussuria, ovvero l’inglese lust.
La simbologia delle colombe
Si tenga presente che la colomba può essere simbolo dello Spirito Santo oppure simbolo della lussuria. Si apre così una non facile questione interpretativa. L’immagine ornitologica potrebbe adombrare l’intervento divino, che concede a Dante di rivolgere le sue domande alle anime dannate (colomba simbolo dello Spirito Santo come nella tradizione cristiana). Oppure l’immagine ornitologica adombra la peccaminosità del rapporto carnale.
L’equivoco di Francesca
“L’affettüoso grido” viene interpretato romanticamente come espressione di affetto di Dante verso le anime. Non di affetto in tal senso si tratta, bensì di intensità del desiderio di parlare ad anime di cui non conosce ancora l’identità. Quando Francesca comincia a parlare, persiste l’equivoco:
Francesca crede che Dante sia pietoso nel senso che si senta partecipe della dolorosa sorte sua e di Paolo. Il vento intanto si è placato per volere divino, affinché Dante possa ascoltare le parole dell’anima dannata. Si tenga presente che egli non sa ancora chi ella sia. Solo adesso Francesca comincia a rivelare la propria identità, evocando la sua nascita a Rimini:
L’anafora di “amor”
Seguono tre terzine che sembrano suffragare appieno l’interpretazione romantica:
L’anafora di “amor” colpisce il lettore come se fosse indizio di una solidarietà di Dante con Francesca. Ma Francesca è punita in eterno per il suo peccato di lussuria. Paolo ebbe un “cor gentil” e per questo si innamorò. Ma qui si vuol dire che anche un “cor gentil” può degenerare, sospinto verso la colpa, incapace di sottomettere alla volontà la libidine. Anche Francesca viene rapita irresistibilmente dal “piacer”, cioè dalla bellezza, di Paolo. Un aspetto della dannazione eterna dei due amanti consiste nel non poter pentirsi, restando convinti dell’inevitabilità del loro amore. Non si rendono conto di essere due colpevoli. Il fatto che non saranno mai divisi in eterno non è un privilegio.
Amore e morte
Il vincolo amore-morte, tanto caro ai romantici, è ribadito dall’eco musicale delle sillabe di “amor” in “una morte” con la sillaba finale di “amor” fortemente accentata come la sillaba iniziale di “morte”. Vediamo ora come Dante reagisce al racconto delle due anime:
Sembra che Dante con le espressioni “anime offense” e “doloroso passo” esprima partecipazione affettiva al dramma delle due anime. In realtà, tutto raccolto in se stesso, egli medita sul pericolo che nell’amore si annida, giacché l’amore può mutarsi in lussuria, come è accaduto per l’appunto a Francesca e Paolo. E si dice “tristo e pio” per i “martiri” di Francesca, cioè contrito e pietoso in senso cristiano fino al pianto misericordioso di fronte alla sua testimonianza.
L’inchiesta sull’amore
Ora è vivo in Dante il desiderio di sapere come l’amore dall’incertezza giunse a trasformarsi in desiderio erotico non contrastato dalla volontà:
Francesca, nel rispondere, definisce “tempo felice” l’amore peccaminoso:
L’amore come lussuria
Il romanzo del ciclo arturiano sugli amori di Lancillotto e Ginevra, sposa di Re Artù, prefigura la vicenda di Paolo e Francesca, sposa di Gianciotto Malatesta. La lussuria che spinge all’adulterio trova la sua causa scatenante in quel romanzo, che fa le veci di Galeotto, colui che favorì gli amori di Lancillotto e Ginevra. Dante vuol mostrare così la pericolosità della letteratura profana. In Francesca non vi è pentimento. L’espressione “la prima radice – del nostro amor” mostra quanto ella si senta abbarbicata con Paolo a un amore che è colpa, ma non viene rinnegato. Nel dire che Paolo non sarà diviso da lei in eterno, Francesca mostra di essere legata al pari di lui al peccato commesso in vita. Alla luce di quanto si è argomentato finora va letta la conclusione del canto:
La risposta di Francesca è stata accompagnata dal pianto di Paolo. Entrambi rimpiangono la fine tragica del loro amore colpevole. Di fronte a ciò Dante viene meno per la “pietade” come chi esala l’ultimo respiro. Egli ha ormai compreso quali insidie possa celare in sé l’amore cortese. Le parole bisillabe del verso finale, tutte fortemente accentate, formano un endecasillabo anomalo dall’espressività straordinaria.
Il pathos estremo è reso con un’armonia imitativa che simula il crollo corporeo con un climax discendente di estremo realismo.
Semantica della pietà
Ciò induce a riflettere in modo ancor più approfondito sul valore semantico della parola “pietade”. Questa ritorna nella forma “pietà” all’inizio del canto successivo:
La coscienza di Dante era rimasta turbata e scossa fino allo smarrimento. Di fronte all’esempio dell’amore degenerato in lussuria era venuto meno. Nella prima terzina del canto VI viene ripreso il motivo della “pietà” che, riferita alla vicenda degli amanti, è da intendere come cristiana misericordia. Viene ripreso anche il motivo della “trestizia”, ovvero della contrizione. Riflettiamo ancora sul significato di “pietà”. Nel Convivio Dante scrive:
“E non è pietade quella che crede la volgar gente, cioè dolersi dell’altrui male, anzi è questo uno suo speziale effetto, che si chiama misericordia ed è passione: ma pietade non è passione, anzi è una nobile disposizione d’animo, apparecchiata di ricevere amore, misericordia e altre caritative passioni”.
Per ulteriori riflessioni sull’argomento si tenga conto delle voci Francesca e Pietà nell’Enciclopedia dantesca. Dopo di che si potrà decidere fino a che punto la presente proposta esegetica risulti persuasiva.
L’interazione fra Dante e gli amanti
In ogni caso si tenga conto della necessità di non mettere in risalto la vicenda di Paolo e Francesca con Dante tenuto in secondo piano o viceversa. Si tratta di cogliere il processo di cognizione della dinamica del peccato da parte di Dante di fronte agli amanti. Cognizione che culminerà nella presa di distanza dell’anima cristiana dalla peccaminosa degenerazione dell’amore. Fermo restando che Virgilio in Inferno, XI, vv. 79-84 ricorda a Dante un passo dell’aristotelica Etica a Nicomaco. Passo ove sono elencate le tre disposizioni che il cielo non vuole: incontinenza, malizia e matta bestialità. Fra queste la prima reca minore offesa rispetto alle altre. Ed è di tale misura la pena che Dante vede inflitta dalla giustizia divina ai lussuriosi, fra cui Paolo e Francesca.
Sui dannati dalla dimensione eroica
Il viaggio continua e sono offerti al viandante dell’oltretomba nuovi esempi di peccatori puniti in eterno. Farinata, Ulisse, Ugolino sono stati intesi a lungo come eroi alla maniera romantica. In realtà questi personaggi, al pari di Paolo e Francesca, sono colpevoli incapaci di pentimento. Farinata, nel suo ergersi, manifesta disprezzo per l’inferno. Ulisse resta legato alla bramosia di andare oltre ogni confine proibito. Ugolino è il traditore che, a sua volta tradito dall’arcivescovo Ruggieri, in eterno manifesterà il suo odio rodendogli il cranio. Farinata, Ulisse, Ugolino sono sottoposti alla giustizia divina. Nel caso di Ugolino è egli stesso, pur dannato, strumento di giustizia, poiché gli tocca di punire chi inflisse uno strazio ai suoi figli innocenti. Dante vuol mostrare che ogni umana simpatia deve cedere innanzi alla condizione delle anime dannate per l’eternità. La dimensione eroica dei peccatori è studiata da Dante per indurre il lettore a riflettere sulla gravità delle loro colpe. Sono personaggi eroici nel male perché impossibilitati a pentirsi. Ed è così che la Commedia nell’Inferno assume la sua autentica dimensione teatrale. La dimensione della tragedia.
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