La Stampa quotidiana e il modello di Rasch. Chi testa l’Invalsi?
Giorgio Israel. Sul sito https://www.gisrael.blogspot.com sotto la voce I test Invalsi e il degrado dell’insegnamento dalle primarie alle superiori si può reperire un intervento di Giorgio Israel nel quale l’illustre epistemologo e storico della scienza mette a fuoco l’adozione da parte dell’Invalsi del modello di Rasch, deprecandola.
Delfino e Rogora. Sul sito https://1.mat.uniroma.it sotto la voce Il metodo di Rasch per l’analisi dei test a scelta multipla si può reperire un intervento di Maria Giulia Delfino e Enrico Rogora nel quale viene presentato dettagliatamente il modello di Rasch, giustificandolo.
David Lognoli. Sul sito https://www.roars.it David Lognoli interviene nella questione con La valutazione della scuola e l’uso distorto del test Invalsi, chiarendo come il modello di Rasch si risolva in un improbabile artificio statistico. Siamo pienamente d’accordo con David Lognoli, il quale ha il merito di sottolineare la disinvoltura con cui il giornalismo italiano si pronuncia sulla scuola, senza possedere le necessarie competenze in materia, ignorando, ad esempio, che Georg Rasch, statistico danese del secolo scorso, costruiva modelli probabilistici secondo approssimativi schematismi. Così possono campeggiare sulla carta stampata titoli apocalittici, che mortificano e delegittimano i docenti, sul cosiddetto “analfabetismo di ritorno”. Per non dire che in tal modo si proietta sullo schermo internazionale un’immagine avvilente del nostro Paese, rischiando di vedere diminuita l’altrui stima sia sul piano culturale ed etico che sul piano economico ed utilitaristico, essendo gli analfabeti percepiti come civilmente ritardati e incapaci di crescita. C’era proprio bisogno, dunque, che si prendesse in prestito da OCSE-PISA quel modello di Rasch, rendendo criptiche le operazioni di valutazione o misurazione che dir si voglia e sottraendo la sottostante metodologia a un serio dibattito scientifico?
Asor Rosa: le prove come vangelo. “La mia impressione è che le prove Invalsi siano state più orecchiate che lette”: questo l’incipit dell’articolo con cui Alberto Asor Rosa interviene nel dibattito sotto il titolo L’Italia si salva cominciando dalla lingua sormontato dall’immancabile occhiello sul “nuovo analfabetismo” e seguito dal sottotitolo o sommario Un Paese sano è innanzitutto capace di leggere e scrivere correttamente. Per questo supportare la scuola dovrebbe essere il primo obiettivo di una buona politica (la Repubblica, 25 luglio 2019). Lasciando da parte il sospetto che le prove Invalsi nemmeno lui le abbia lette, la sua impressione rispecchia la realtà, a patto di intendere tale impressione nel senso che dette prove sono state accolte acriticamente dalla stampa quotidiana come vangelo, beatificando e santificando senza autorizzazione ecclesiastica l’istituto che le elabora e le somministra e le impone. Prendendo per vero che “l’istituzione competente dovrebbe sottoporre alle prove Invalsi la nazione intera, non solo la scuola”, si incorre peraltro in una omissione, ammesso che non sia una svista, se non si precisa che, essendo anche l’Invalsi parte della nazione intera, dovrebbe esso stesso essere testato: ciò perché si dovrebbe dimostrare che l’Invalsi sia davvero e non per estraneo supporto “l’istituzione competente” in tal senso. Per il resto, ricordare la necessaria complementarità fra un corretto uso della lingua e lo sviluppo civile di un Paese è ovviamente quanto mai importante; non c’è però speranza di riscatto, se il corretto uso della lingua continua ad essere mortificato a livello politico tramite i mass-media e i canali informatici. Mortificazione che sfugge alle verifiche invalsiche limitate alla scuola, mentre il linguaggio istituzionale, invece di porsi come esempio di più elevati usi espressivi, si mostra proclive ad abbassarsi verso non proprio eleganti livelli comunicativi.
Massimo Recalcati. Sotto il titolo Insegnanti non scendete dalla cattedra, sormontato dal solito occhiello alla moda sul “nuovo analfabetismo” e seguito dal sottotitolo o sommario Per educare di nuovo i ragazzi all’ascolto e alla lettura la scuola dovrebbe riadottare un modello di lezione più tradizionale, Massimo Recalcati con un perentorio incipit asserisce: “Non erano necessari i risultati degli ultimi Invalsi per constatare lo stato di declino del livello di apprendimento dei nostri figli” (“la Repubblica”, 24 luglio 2019). Orbene, se i risultati degli ultimi Invalsi non erano necessari, cosa dobbiamo dedurre? Non essere necessario equivale ad essere superfluo, cosicché il richiamarsi al modello di Rasch si rivela insignificante, per non dire deleterio, in campo educativo.
Corrado Zunino. Nonostante ciò, a Corrado Zunino risulta cara la metafora della “fotografia” che l’Invalsi farebbe della scuola (“la Repubblica”, 11 luglio 2019) … Potremmo anche essere d’accordo: in fondo si tratta di un selfie. Solitario però: infatti al momento dello scatto sono inquadrati nell’obiettivo soltanto l’Invalsi e Georg Rasch.
COMMENTS