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Il festival in cattedra

il Festival sale in cattedra. Affronta un argomento allarmante qual è la violenza contro la donna.

Quotidiano “la Repubblica”, 5 febbraio 2020. Sezione Napoli Cronaca. Titolo: “Sanremo, silenzi sul rapper sessista. La Preside scrive alla ministra”. Articolo di Bianca De Fazio. La Preside ha raccolto circa venticinquemila firme contro la presenza di un rapper al Festival di Sanremo.

Trattasi di un rapper che “inneggia alla violenza contro le donne”. Circolava voce che il rapper avesse chiesto scusa. Nell’articolo citato si legge che non l’avrebbe fatto. Avrebbe dichiarato invece che non  rinnegava le sue parole.

La Preside si è rivolta alla Ministra dell’Istruzione.

Attende una risposta. Una dichiarazione di presa di distanza. Invano. Almeno fino alla data dell’articolo. Intanto perdura il timore che “quel modello di artista in maschera che inneggia alla violenza seduca i giovani”. Maschera che può essere equivocata. Fra carnevale e banditismo.

Mettere alla ribalta un cattivo esempio può generare fenomeni di mimesi. Anche se a Sanremo è stato presentato non l’inno alla violenza,  ma altro,  resta l’assurgere del modello a idolo.  Proprio perché il modello è apparso in una sede prestigiosa. Le sue parole contro le donne potranno attrarre in altra sede.

Nei giorni precedenti ci sono state prese di posizione contro l’iniziativa della Preside. Iniziativa che è stata definita tentativo di censura. Inneggiare alla violenza contro le donne rientrerebbe nella libertà di manifestazione del pensiero.  Per giunta su un piano che si presume artistico. Anche se il pensiero è sconcio.

Spostiamoci dunque sul piano estetico.

A proposito del pensiero sconcio viene in mente quanto scrive Guido Almansi sulla “oscenità del Belli” in L’estetica dell’osceno:

“La sconcezza ribadisce l’ipotesi del tetro pessimismo belliano, in una visione del mondo che lascia scarsissima libertà di azione o di scelta all’individuo, ma lo assume come sottomesso a leggi, fattori, cause, necessità al di fuori del suo controllo.”

Lasciamo stare la differenza fra libertà e arbitrio, che pure è importante.  Il problema della libertà va considerato da un altro punto di vista.  C’è chi, nel manifestare ciò che pensa, non esercita affatto la propria libertà. È invece schiavo di una visione di se stesso e degli altri devianti che non ammette redenzione. Come nel mondo del Belli.

Si potrà dire che l’oscenità non è assente in campo artistico.

In letteratura, ad esempio, la troviamo in Catullo e Marziale, tanto per fare solo alcuni esempi. Ma i loro componimenti licenziosi di regola non vengono proposti agli alunni. Non è censura, ma questione di opportunità. I testi dei rapper poi di norma non assurgono all’altezza estetica dei classici. Per non dire dell’oltraggio del rap all’estetica della musica. Oltraggio che è comoda moda. Moda per un pubblico adolescenziale impreparato e vulnerabile.

È alla scuola che compete il compito di indicare agli adolescenti la via della liberazione da un proprio io deviante, se lo è in atto o in potenza.  Ora invece si è delegato tutto al festival. Sono stati offerti sul palco dei controesempi. Una donna ha mostrato il suo viso che un uomo ha deturpato e lesionato con l’acido. Un’altra donna ha recitato un monologo con dati agghiaccianti sul numero di donne vittime di violenze. Tutto ciò ha senza dubbio il suo valore.

No so se sia stato anche un modo di comodo per arginare la protesta contro l’elogio della violenza. Non so se la presenza delle due donne fosse stata programmata prima. Non so se ci sia stata o ci sarà una risposta della Ministra dell’Istruzione alla Preside, qualunque possa esserne il tenore. Intanto ritengo che la collaborazione istituzioni scolastiche-istituzione ministeriale sia doverosa.

Donaldo Macedo, nell’introdurre Dis-educazione  di Noam Chomsky, scrive che “le nostre scuole che si definiscono democratiche sono basate su un approccio strumentale di accumulo di competenze”. Accumulo che si risolve in un educare-per-addomesticare al servizio dell’aziendalismo.  Questa diagnosi, concernente in modo specifico gli Stati Uniti, rischia di estendersi sempre più anche fra noi. Perciò detesto i test. Lo spirito critico e l’etica vengono prima delle competenze.

Intanto il Festival sale in cattedra.

Affronta un argomento allarmante qual è la violenza contro la donna. Violenza che sfocia ogni giorno nel femminicidio. Nella nostra società non ricevono pari attenzione altre piaghe quotidiane. Corruzione e incapacità politica fra reciproci scambi di  accuse. Infortuni e morti di operai sul lavoro. Fenomeno delle baby gang. Bande di minorenni vigliacchi che infieriscono sui deboli. Poi si vantano in rete delle loro gesta. In quanto minori, sono sprezzanti della giustizia. E se ne fanno beffe: “Tanto, che ci fanno?”

Il Ministero dell’Istruzione venga incontro alle reali esigenze della scuola. Nella scuola è il fondamento della società civile. Si faccia in modo che la società civile collabori con la scuola.

In ogni caso i festival passano. La scuola resta.

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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