L’apologia di Hardy, libro di culto per tutti i matematici. La malinconia di scrivere sulla matematica
Il libro: Godfrey H. Hardy, Apologia di un matematico, Garzanti, 1989 (A mathematician’s Apology, Cambridge University Press,1940)
La fortuna di un’autobiografia
Questa apologia ci invita all’ascolto di una confessione. Un matematico racconta il suo rapporto fra matematica e vita. In ciò consiste l’attrazione dell’opuscolo, che non manca certo di commenti. Ormai sono ottant’anni che attira lettori. Nella collana Garzanti Elefanti l’edizione del 2002 è giunta nel 2020 all’ottava ristampa. L’opera è stata definita “libro di culto per tutti i matematici”. I matematici possono ritrovarsi in sintonia con la problematica esistenziale dell’autore. I non matematici, se abituati a vederli come esseri immersi in un mondo a parte, possono restarne stupiti. Scoprono che Godfrey H. Hardy (1877-1947) non è una schopenhaueriana testa d’angelo alata senza corpo.
Intenzioni del recensore
Non sembra inutile richiamare ancora una volta l’attenzione su questa autobiografia. Appare una narrazione non esaurita. Si configura come un interrogare se stesso e darsi risposte solo in apparenza esaustive. È da ritenere che lo stesso Hardy non abbia ritenuto di avere espresso una verità definitiva sul senso della sua vita di matematico. Leopardi avvertiva che la vita più bella è quella che non si conosce. Si riferiva al futuro. Quanto al nostro passato, possiamo dire che ci spieghiamo solo in parte il senso della vita già vissuta. In un certo senso questa ci sconcerta. Questo è anche il caso del matematico impegnato nella sua apologia. Apologia da leggere non per trovarvi risposte definitive, ma per coglierne l’insita problematicità.
Ambiguità di una parola
Non è del tutto chiaro il significato che Hardy intendeva attribuire al titolo. In italiano apologia, dal greco απολογία, può significare difesa o esaltazione. In inglese apology significa scusa e apologize significa scusarsi. La lettura del testo non svela appieno l’intenzione espressiva dell’autore. Ora sembra che intenda esaltare la sua disciplina, ora che sia intento a scusarsi di qualcosa, difendendo se stesso. Nonostante ogni ambiguità, nel discorso autobiografico predomina l’elogio della disciplina alla quale Hardy dedicò la maggior parte della sua vita.
Presentazione e prefazione
Nella presentazione Edoardo Vesentini sottolinea fra l’altro la convinzione di Hardy che la matematica sia una realtà esterna alla mente, non da inventare, ma da scoprire: un numero è un numero “perché è così”. La prefazione, estesa e brillante, è di Charles Percy Snow. Noto per “le due culture”, egli conobbe personalmente Hardy. Così può far rivivere la figura fisica dell’amico, delineandone tratti somatici e abbigliamento. Quanto al suo carattere, lo dice modesto, timido, privo di invidia, pervaso da spirito di amicizia. Ricorda di aver condiviso con lui la passione per lo sport. Quando il prefatore ne evoca l’arte di giocare con i numeri, fa venire in mente l’Homo ludens di Johan Huizinga. Non mancano accenni a certe sue manie e la notizia sul suo tentato suicidio.
Introduzione dell’autore
Succinta l’introduzione, in cui Hardy ringrazia chi lo ha aiutato nella revisione del manoscritto e si schermisce per non avere replicato ad alcune critiche. Seguono ventinove capitoli e una nota finale. Nella nota si discute sull’apporto che la scienza dà purtroppo alla distruttività umana. Altro argomento riguarda la scarsa fama che sembra competere ai matematici nella storia della cultura.
Matematica e senilità
Passata la sessantina, Hardy dichiara che è compito malinconico scrivere sulla matematica rispetto al fare matematica. Una vena di tristezza affiora nel corso della confessione. In età senile la creatività matematica gli risulta affievolita. La matematica è disciplina per giovani.
Il rapporto con la gente
Quanto al rapporto con la gente, Hardy scrive: “La gente non ha bisogno di essere convinta della validità della matematica”. Forse in ciò è un po’ ottimista. Anche perché lui stesso ritiene necessaria una “difesa più razionale” della disciplina.
Matematica esistenziale
Hardy si chiede quale sia il “vero valore” della matematica. Perché dedicare tutta la vita a coltivarla? Una vita che per tanti matematici è breve. Fra gli esempi è citato Ramanujan, spentosi a 33 anni, per giunta più tardi rispetto ad altri. Varrebbe la pena di rivedere il De brevitate vitae di Seneca. Dobbiamo ammettere che Ramanujan non ha fatto sperpero della sua vita e che ciò vale per tutti i veri matematici.
Matematica utile o inutile?
Hardy ricorda la lezione inaugurale da lui tenuta a Oxford. Allora ardì dire la matematica “forse inutile”, ma di certo “innocua e innocente”. Ora sembra scusarsi di quanto dichiarò e nello stesso tempo difenderlo. La matematica sarebbe non direttamente utile. Lui affronta quindi il problema filosofico dell’utile. Definisce utile ciò che favorisce la felicità personale. Nello stesso tempo afferma che la matematica vera, vera in quanto distaccata da ogni contingenza, è quasi del tutto inutile. Date queste premesse, risulta difficile comprendere fino a che punto la matematica renda felici. Potremmo dedurre che si colloca fra il tormento e l’estasi, per usare la famosa espressione di Irving Stone riferita a Michelangelo. Il discorso sull’utile si estende poi in generale all’uso pratico della scienza, che può essere impiegata per il bene o il male dell’umanità. Se la matematica viene impiegata per il male, possiamo parlare di matematica violentata. La matematica applicata, utile per fisici e ingegneri, è priva di fantasia. La matematica vera è un’arte.
Ragioni per la ricerca
Hardy indica le ragioni per cui si fa ricerca in matematica: curiosità; orgoglio professionale; ambizione. Non v’è menzione dell’amore per la materia. Inoltre si esclude in partenza che il matematico sia spinto dal desiderio di contribuire al bene dell’umanità. La disciplina nella sua purezza viene considerata la più duratura, dato che “le lingue muoiono, ma le idee matematiche no”. Di qui l’elogio della fama matematica.
Importanza del lavoro di gruppo
Il matematico è un creatore di forme che sono idee e “le idee si usurano meno delle parole”. Le idee sono tanto più significative in quanto si collegano ad altre idee. In ciò assume rilievo il lavoro di gruppo. Non a caso il momento più felice della carriera matematica di Hardy è quello della collaborazione con John Edenson Littlewood e Srinivasa Aiyangar Ramanujan.
Anche i matematici sognano
È interessante il riferimento di Hardy a un sogno di Bertrand Russell: un bibliotecario si accinge a gettare in un secchio i suoi Principia mathematica. Ci viene offerto un interessante spunto di riflessione. Ognuno può cercare di decifrare il significato del sogno. Sembra che ci siano due possibilità. Il matematico onirico si sdegna per l’oltraggio alla sua opera. Oppure, scontento di essa, si identifica nel bibliotecario. Ma è tutto così semplice? Le cose si complicano se pensiamo a Freud, Jung, Lacan. Potrebbe aiutarci in una diversa prospettiva Ágnes Heller con La filosofia del sogno.
Estetica matematica
Non esiste “matematica brutta”. Difficile però definire la bellezza. Questi passaggi fanno venire in mente Umberto Eco che curò una Storia della bellezza e una Storia della bruttezza attraverso le arti figurative. La bruttezza nell’arte non si trasforma forse in bellezza? Metamorfosi alla quale la matematica dà il suo contributo. Per Hardy la migliore matematica è non solo “bella”, ma anche “importante” e “seria”. Tre sono i requisiti estetici: bellezza formale, significatività delle idee, esattezza del pensiero. Di qui una profondità emozionale. Seguono esempi scelti. Hardy ricorda Euclide per la dimostrazione con reductio ad absurdum del numero infinito di numeri primi; Pitagora per la radice quadrata di 2 irrazionale; la teoria di Eudosso all’origine dei numeri irrazionali nel V libro degli Elementi; il teorema fondamentale dell’aritmetica per cui ogni numero intero può essere scomposto in un unico modo in un prodotto di numeri primi; il teorema dei due quadrati di Fermat e il teorema di Cantor sul carattere “non numerabile” del continuum. In ogni caso la matematica è un’arte e in quanto tale creativa.
Requisiti dell’idea matematica
In matematica ovviamente non è solo la bellezza che conta. Si tratta di stabilire che cosa renda seria e significativa un’idea matematica. L’idea, afferma Hardy, deve avere caratteri di generalità e profondità insieme. Si giunge così alla certezza, definita da Whitehead “perfetta generalità astratta”. Hardy si mostra particolarmente attratto dalla profondità dell’idea. Vi sono teoremi e teorie di maggiore profondità rispetto ad altri teoremi e ad altre teorie. E vi sono profondità che sfuggono perfino a un matematico. A un certo punto Hardy comincia ad essere rapito in una sorta di estasi lirica. Paragona la dimostrazione matematica a una costellazione semplice e non a un ammasso come la Via Lattea. Vede la matematica distaccata da ogni contingenza umana. Possiamo riconoscere in questa tensione psichica l’inverarsi della sublimazione.
La realtà matematica
È questo il problema più dibattuto: si tratta di stabilire se la realtà matematica sia puramente mentale oppure esterna alla mente e indipendente da essa. Hardy propende per l’ipotesi dell’indipendenza della matematica dal mondo fisico. Ritiene che ciò sia particolarmente evidente nella geometria pura. Ciò varrebbe per la matematica in generale. I matematici puri si contrappongono ai fisici matematici. Si ritorna così alle contrastanti posizioni di Platone e Galilei. La metafisica delle idee si contrappone al realismo della natura. Come possono conciliarsi metafisica e realismo? La posizione di Hardy può essere così interpretata: la realtà matematica non è platonica e non è galileiana. Il numero non è riflesso di una realtà trascendente e non è insito nella natura. È così e basta. Vengono in mente i giudizi sintetici a priori kantiani. La realtà matematica viene vista indipendente dall’esperienza pur nella sua concretezza. Eppure l’enigma resta. Nemmeno Hardy è riuscito a risolverlo. Il mistero pare destinato a restare oscuro per sempre. Chissà se in futuro la verità sarà intuita da un matematico in sogno.
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