Letteratura e Matematica, i racconti di Nicola Melone. Il professore, il geometra, l’operaio e il barone alle prese con la pavimentazione della sala di rappresentanza di un nobile palazzo.

Dal film L’oro di Napoli (1954)- Eduardo De Filippo in Don Ersilio Miccio vendeva saggezza.
Evaristo Magrini, pensionato settantenne, è stato per 42 anni professore di Matematica nell’unica scuola media del piccolo borgo in cui è nato e vissuto. Elegante nell’aspetto e dolce nel carattere, ha saputo coltivare ed educare gli allievi: coltivarli come si “cura un terreno o una pianta per renderli capaci di dare frutti”, educarli “promuovendo con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo di intelletto e moralità dei giovani”. Ai ragazzi ripeteva spesso «ragazzi, la storia umana è stata segnata dalla lotta tra sapienza e ignoranza, tra l’urgenza e l’indifferenza di conoscere, di capire».
È una bella mattinata settembrina, cielo azzurro e clima temperato, e il professore inizia il solito tragitto che dal lungo viale alberato, la strada principale del paese, lo conduce al bel parco cittadino. Lì Evaristo resta fino all’ora di pranzo, leggendo un buon libro o semplicemente ripercorrendo con la mente ciò che è stato o che sarebbe potuto essere. In quei momenti dice sempre a se stesso che ricordare non significa soltanto ricostruire gli episodi salienti della vita di una persona, ma anche reinventarli.
Ad un certo punto del cammino viene attirato da un forte vociare proveniente da un bel palazzetto in ristrutturazione. Entra incuriosito mentre il barone Adalberto Albani delle Torri, spocchioso nobile di provincia, urla verso il piastrellista Attilio «voi siete l’operaio ed io il nobile proprietario del palazzo, voi dite che non si può fare e io replico che pretendo nella sala di rappresentanza al primo piano una pavimentazione in mattonelle ottagonali regolari». In difesa dell’operaio interviene allora il geometra Toscano, datore di lavoro dell’operaio, «signor barone perdonatemi», dice, «ma Attilio ha ragione, le uniche piastrelle poligonali regolari con cui si può pavimentare una sala sono quelle triangolari, quadrate ed esagonali».
Sempre più infuriato il barone replica «Toscano perciò voi non siete diventato ingegnere. Non siete capace di andare al di là delle consuetudini, agite come si è sempre fatto e non osate sperimentare il nuovo».
In un primo momento il professore voleva tenersi fuori dalla disputa, fare semplicemente lo spettatore, pur sapendo che Attilio e Toscano avevano ragione. Gli ritorna in mente, però, che il barone era stato suo allievo e già da ragazzino trattava tutti con fastidiosa spocchia e non riesce a trattenersi. «Caro Adalberto, mi permetto il tono confidenziale del tuo ex professore di Matematica e confermo le parole di Toscano ed Attilio, da tutti stimati qui in paese e se mi concedi dieci minuti del tuo tempo con la matematica elementare te lo dimostrerò».
Presa dal taschino l’inseparabile matita, si avvicina ad una parete stuccata e non ancora tinteggiata e dice «ricordiamo che un poligono si dice regolare se è equilatero (lati congruenti) e equiangolo (angoli interni congruenti), inoltre lascio a te la facile dimostrazione che l’angolo interno di un poligono regolare di n lati è pari a (n-2)π/n ».
Sorride compiaciuto per il silenzio del barone e prosegue «posata a terra una mattonella di n lati, in un suo spigolo devono confluire tante mattonelle che ricoprano il pavimento intorno allo spigolo senza sovrapposizioni. Pertanto un multiplo intero dell’angolo (n-2/n)π deve essere uguale a 2π, cioè (n-2/n)π deve dividere 2π, ovvero:
è un intero. Essendo , ne segue che 4/(n-2) deve essere un intero, cioè n‐2 deve dividere 4 e quindi n‐2=1, cioè n=3 (triangolo equilatero), n‐2=2, cioè n=4 (quadrato) oppure n‐2=4, cioè n=6 (esagono regolare)».
Con studiata lentezza ripone la matita nel taschino e con evidente soddisfazione dice al barone «caro Adalberto, questa è la prova che Toscano ed Attilio hanno ragione e certamente non puoi dire che la matematica non cerca il nuovo perché è nella sua natura inventare nuove strade e nuove teorie par scoprire ciò che non si sa».
Si avvia verso l’uscita e rivolto a Toscano ed Attilio conclude «siamo stati attori di una bella vittoria dell’umile sapienza contro l’aggressiva ignoranza», saluta ed esce.
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