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Il revival crociano. 

Il revival della filosofia di Benedetto Croce. Una filosofia al cospetto delle scienze e della loro regina.

Siamo in pieno  revival crociano. C’è chi mette in discussione la tesi della svalutazione crociana delle scienze. Il filosofo non sarebbe stato ostile alle scienze e alla loro regina.

Questa problematica è stata già affrontata da chi scrive. Si veda il saggio Benedetto Croce, la Scienza e l’Arte, edito sul Periodico di Matematiche, n. 1, 2018. Tuttavia l’argomento merita di essere ripreso. Sono in questione la cultura e l’insegnamento nel nostro Paese.

Esempi di panegirico.

Alfonso Berardinelli su avvenire.it nel 2016  pubblica Eppure, ancora oggi, davvero non  possiamo non dirci crociani. Per Berardinelli Croce sarebbe “il maggiore filosofo dell’arte e della storia che ha avuto l’Italia nella prima metà del Novecento”. Anche Croce ne era convinto.

In questa riesumazione si inserisce il Convegno Benedetto Croce, il liberalismo, il metodo tenutosi a Roma il 23 maggio 2016. Su diacritica.it  c’è il testo della relazione di Maria Panetta Discorrendo di Croce e liberalismo a partire da due libri di Ernesto Paolozzi. I due libri sono Il liberalismo come metodo, Kairós edizioni, 2015 e Benedetto Croce. La logica del concreto e il dovere della libertà, Aracne 2015. Maria Panetta sull’esaltazione di Croce è sostanzialmente d’accordo. Si può vedere  per questo aspetto anche Croce dopo Croce su ernestopaolozzi.it.

Altro encomio è quello di Paolo D’Angelo, Il problema Croce, Quodlibet, 2015. Ivi l’autore afferma che “uodlibet, 2015. le caratteristiche intellettuali, ma anche, e soprattutto, le doti morali e civili di Croce ci sembrano oggi estranee al nostro Paese”. Quindi al cospetto di Croce oggi gli intellettuali italiani gli sembrano tutti insipienti. E soprattutto  al cospetto di Croce gli intellettuali gli sembrano tutti immorali e incivili. Simili agiografie risentono della vanagloria di Croce e del suo disprezzo del dissenso.

Esempi di stroncatura.

Sul sito arianneditrice.it si può leggere un fiero attacco a Croce dovuto a Francesco Lamendola. Titolo: Il fascismo, strana dittatura in cui l’antifascista Croce tiranneggiava le menti dei giovani.  Lamendola accusa Croce di “immenso narcisismo”, “sconfinata vanità”, “feroce gelosia professionale”. Su questo possiamo essere d’accordo. Non siamo d’accordo invece nel ritenere Croce  un “tipico esponente di quel modo meridionale, e specificamente napoletano, di essere borghese e di fare cultura”. I difetti di Croce erano suoi. Non di un preteso “modo meridionale … di fare cultura”.

Croce è visto come “liberale autoritario” e “pensatore totalitario”. L’editore Einaudi, ci ricorda Giulio Giorello, nel 1947 riprese il tema della necessità dell’Anticroce già presente in Antonio Gramsci: “L’esigenza Anticroce è senza dubbio essenziale per un rinnovamento e una modernizzazione della cultura italiana”.

Riproporre Croce oggi ai giovani come pensatore sommo è rischioso.  Potrebbe concorrere alla loro chiusura mentale. Nicola Abbagnano in Ricordi di un filosofo, Rizzoli, 1990, vide in Croce un “monarca assoluto”. Monarca che “tiranneggiò l’intero mondo degli studi”. Strano modo di praticare la “religione della libertà”.

Croce, si dice, non era nemico della scienza.

Viene rigettata la convinzione di Ludovico Geymonat che il neoidealismo abbia contrastato una filosofia della scienza. Tra filosofia e scienza ci sarebbe in Croce non dissidio, non rottura, non divorzio, ma reciproca autonomia. Bisognerebbe intendere in modo corretto la differenza fra pseudoconcetti, propri della scienza, e concetti, propri della filosofia. Croce non affermerebbe la superiorità dei concetti sugli pseudoconcetti. La superiorità del momento teoretico sarebbe affermata da Croce solo contro il positivismo e non anche contro la scienza.

Eppure secondo Croce  il concetto  vero e proprio, il concetto puro, è solo dei filosofi. La verità risiederebbe soltanto nella filosofia. Nella sua Logica come scienza del concetto puro Croce distingue la sfera della filosofia da quella della scienza. Per lui lo “ufficio stesso delle scienze […] non è teoretico ma pratico ed economico”. Le scienze sono “tutte recanti il beneficio di aiutarci nella pratica”. Ci chiediamo come possano farlo se sono prive di verità.

In questione è appunto il significato di verità. Il filosofo incorre in una confusione tra verità e realtà.  Non a caso il rapporto tra vero e reale viene da lui espresso con una tautologia. Egli definisce “il reale” come “ciò che solo può dirsi vero”. Il reale è il vero e il vero è il reale. Che cosa sia il vero e che cosa sia il reale vuol dircelo la filosofia dello Spirito. Il filosofare sarebbe la vera scienza. Scienza “del concetto puro”. Scienza “dell’espressione”. Per Croce, Scienza, s’intende, niente che ha a che vedere con la scienza dello scienziato.

Così viene riproposta l’illusoria identità hegeliana di reale e razionale. È confusa anche la definizione della scienza come “sapere storico”, o “storicismo scientifico”,  in  cui però non vi sarebbe “verità”. Lo spazio e il tempo della scienza altro non sarebbero  che  “sintesi a priori pratiche”. Non si comprende come una sintesi possa essere “a priori” e nello stesso tempo “pratica”. La verità è che Croce confonde la scienza con la tecnica. È la tecnica che mette in pratica le teorie scientifiche.

Henri Poincaré sostiene la convenzionalità dei princìpi della fisica e dei sistemi della geometria. Anche Croce parla di carattere convenzionale della scienza. Ma anche la filosofia è convenzionale.  Sia la scienza che la filosofia si avvalgono di segni convenzionali, anche se diversi. Entrambe si riferiscono a oggetti partendo da teorie. Vien da riflettere sul  Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein, là dove scrive, ad esempio:

”Un dio che crei un mondo ove certe proposizioni son vere, crea con ciò stesso anche un mondo, nel quale sono giuste tutte le proposizioni che da quelle seguono. Né, similmente, potrebbe creare un mondo ove la proposizione p è vera senza creare tutti gli oggetti di questa”.

Il problema di fondo della filosofia è sempre questo: il rapporto soggetto-oggetto. Squilibrato ora in direzione del soggetto, ora dell’oggetto. Oggi sappiamo che non  hanno ragion d’essere “due culture”. Il soggetto mediante i suoi schemi mentali filosofici e i suoi schemi mentali scientifici è proteso a interpretare e trasformare una realtà oggettiva. Di qui la pari dignità  sia teoretica che pratica della filosofia e della scienza.

Matematica e finzione.

Convinzione di Croce è che non si possa “costruire una scienza matematica della natura”. Infatti gli strumenti disponibili sono “finzioni matematiche”. Quindi la matematica sarebbe priva di ogni effetto sulla realtà. È questa la stravagante conclusione alla quale giunge Croce. Ciò nel momento stesso in cui asserisce il valore pratico della scienza.

Croce contesta la logica formale. Afferma che “il vizio di fondo della logica formale risiede nell’arbitraria separazione che essa compie della forma logica dal contesto fattuale e realistico”. Per lui la logica formale  non ha nulla a che vedere con la matematica. Eppure Croce si dice ignorante di matematica. Parla di ciò che non conosce.

Si dice che Croce rifiutasse non la matematica, ma il matematismo o matematicismo.  Esaminiamo allora un passo cruciale. Quello in cui afferma che “le scienze naturali e le discipline matematiche, di buona grazia, hanno ceduto alla filosofia il privilegio della verità, ed esse rassegnatamente, o addirittura sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo e di pratica utilità, che non hanno niente a che vedere con la meditazione del vero”. Nel passo citato con il suo stile retorico e ironico Croce parla di “discipline matematiche”, non di “matematismo” o “matematicismo”. Altrove vede nella matematica “manchevole conoscenza”, “povertà del fine”, “deficienza del contenuto”.  La matematica per lui “mutila la vivente realtà del mondo”. Chissà che cosa ne penserebbe Galileo Galilei redivivo.

Contemporaneo di Croce, il matematico Federigo Enriques aspirava a mettere in simbiosi filosofia e scienza. Questa intenzione irritò Croce, che assunse nei confronti di Enriques un atteggiamento sprezzante. Lui, Croce, si proclamava vero filosofo. Non tollerava invasioni di campo. Ma Enriques si impegnò nella ricerca di un legame fra ricerca teorica e metodo sperimentale. Ritenne di poter così rimediare alla frattura fra “ricerca pura” e “ricerca applicata” evidenziata da Giorgio Israel. Rivendicò il valore della logica matematica, grazie alla quale si può costruire un sapere unitario. Così offrì un suo contributo al dibattito epistemologico in campo europeo. Dibattito al quale Croce restò estraneo. Non a caso Giulio Giorello definisce il pensiero di Croce “viziato da una cattiva lettura dell’impresa scientifica, da una conoscenza in campo scientifico modesta e disinformata”.

Con l’avvento del fascismo c’è chi, come il matematico Vito Volterra,  rifiuta di prestare giuramento di fedeltà al regime. Col regime invece Enriques non rompe.  Si orienta verso Gentile. Sia Gentile che Enriques esaltano la storia della scienza. Afferma Enriques: “La storia ci avvicina così a cogliere il significato umano della scienza,  che implica un rapporto con l’uomo intero”. Intanto però si va verso l’aberrazione di una “matematica di razza italica”. E a farne le spese è proprio Enriques. Espulso dall’insegnamento in quanto ebreo. Costretto a operare culturalmente da clandestino fino al crollo del regime.

Riabilitare  la scienza.

La filosofia di Croce è inconciliabile con una corretta valutazione della scienza. I suoi riconoscimenti del valore pratico della scienza sono di circostanza. Per lui il vero pensiero è quello del filosofo. Solo  il concetto del filosofo è puro. Ne deriva che il concetto scientifico sarebbe impuro. E che il  pensiero di scienziati e matematici sarebbe  inautentico.

In realtà pensiero scientifico e pensiero filosofico sono due diverse forme di pensiero. Pensiero teoretico nell’uno e nell’altro caso. Croce confonde il pensiero teoretico dello scienziato con la sua ricaduta pratica. La ricaduta pratica è la tecnica. Così come la ricaduta pratica della teoresi è l’azione.

Semmai si dovrebbe riconoscere la superiorità del pensiero scientifico. Questo ha un suo progresso storico, che manca alla filosofia. Mancanza riconosciuta da  Immanuel Kant con l’immagine famosa della filosofia come campo di battaglia. La lezione di Kant non è stata assimilata da Croce e dai suoi corifei del revival.

Al neoidealismo si contrappongono oggi il nuovo realismo, le scienze  naturali e umane, la teologia. A Croce dobbiamo l’elogio della libertà verso cui tendere storicamente.  Il come risulta problematico. La “religione della libertà” appare una variante teologica. Il tanto decantato lascito crociano si riduce a questo.

Ritorno a scuola.

Siamo così sicuri che Croce redivivo resterebbe fermo sulle sue posizioni di allora? Esserne sicuri significa far torto all’intelligenza di un filosofo tanto decantato. Questo torto glielo fa proprio l’odierno revival. Osiamo credere che lui non ignorerebbe i sopraggiunti mutamenti culturali, dovuti  proprio nella sua ottica allo svolgimento storico dello Spirito. Pensiamo  perciò che non gli sfuggirebbe l’evoluzione della cultura e rivedrebbe il suo sistema.

Lui stesso ha detto che il neonato già calcola. Forse deciderebbe di  ritornare neonato,  E si metterebbe a studiare matematica.

 

 

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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