L’insistenza su sterili rituali in una situazione di ritardo culturale. Ingerenza invalsi in emergenza pandemica / 1
Finalmente una presa di posizione contro un’invasione di campo
Matmedia ha accolto con un finalmente la presa di posizione della Cgil nei confronti dell’ Invalsi [VEDI]. Il sindacato rileva e fa presente al MI che operatori dell’ente dei test sono mobilitati per intervenire sul territorio. Il loro compito sarebbe fornire supporto alla somministrazione di test in ambito scolastico laboratoriale. Forzatura che va contro il vigente ordinamento. Ennesima mossa per infiltrarsi sempre più addentro nel sistema formativo. Tutto ciò in piena emergenza pandemica con la prolungata sospensione della didattica in presenza per gli adolescenti.
L’auspicio è che il mondo della scuola tragga impulso dall’appello sindacale per sgombrare il campo da ulteriori intrufolamenti. La realtà ci mostra infatti un’invasione di campo. La formazione seriamente intesa ne risulta fortemente danneggiata. Siamo di fronte a una spaccatura che sembra sfuggire a quanti non la contrastano o addirittura ne accettano i danni introiettandola. Spaccatura fra libero impegno per favorire una crescita culturale autentica e imposizione di obsoleti rituali docimologici.
Confusione fra misurare e valutare
L’istituto dei test incorpora nella propria denominazione il valutare. I responsabili dichiarano che l’intento è quello di misurare. Ricorrono alla metafore del termometro e della radiografia. Nel contempo si adoperano per rendere obbligatori i test ai fini dell’ammissione all’Esame di Stato. Si ergono a comprimari, se non a sostituti, del Ministero dell’Istruzione. La complessa problematica che gli esami conclusivi dei corsi di studio secondario superiore comportano resta sottaciuta. L’inattendibilità dei test dovuta ai loro peculiari effetti di distorsione viene negata. I fautori dei test presumono di fornire garanzie di oggettività contro la soggettività delle tradizionali valutazioni scolastiche. Cercano di dissimulare il fatto che i test stessi sono il risultato di scelte soggettive operate da chi li prepara. Scelte per giunta non esenti da errori. I processi di insegnamento-apprendimento fra soggetti impegnati in rapporti interpersonali ne restano snaturati.
Dai test per accertare competenze al degrado scolastico
I test INVALSI e il degrado dell’insegnamento dalle primarie alle superiori è il titolo di per sé eloquente di un significativo intervento di Giorgio Israel. Non senza indignazione egli afferma:
“Non esiste alcuna possibilità di definire un test oggettivo universale buono per tutti che permetta una misurazione oggettiva delle competenze. Quel che è intollerabile non è che si vogliano usare numeri e metodi statistici ma che si voglia gabellare tutto questo come una via per superare le valutazioni ‘soggettive’, ‘arbitrarie’ e ‘personali’ con metodi ‘scientifici’ di ‘oggettività’ paragonabili a quelli delle scienze fisico-matematiche”.
Sulla posizione di Giorgio Israel si colloca Alvaro Belardinelli con un commento dal titolo I test Invalsi sono il degrado dell’insegnamento, il professor Israel non sbagliava. Radicale è invece il dissenso di Luciano Benadusi, entrato in aperta polemica con Giorgio Israel. Luciano Benadusi è autore con Stefano Molina del testo edito da Il Mulino intitolato Le competenze. Testo proprio di apologeti delle competenze.
La matrice di questa posizione è la progettualità economico-finanziaria della Fondazione Agnelli.
La scuola viene concepita esclusivamente o quasi come avviamento al lavoro. Tale ideologia si è tradotta nel progetto di alternanza scuola-lavoro. Alternanza che si risolve in confusione fra scuola e azienda. La finalità formativa dell’essere umano ne resta svalutata. La complessa realtà del mondo del lavoro e delle condizioni di lavoro viene ignorata. Un concreto rapporto fra scuola e lavoro è possibile, non però nel senso dell’alternanza, bensì nella sinergia. Uno sguardo alla società neocapitalista consente di rilevare che la condizione dei lavoratori è invece di sottomissione.
Gli apologeti delle competenze in astratto esaltano la produttività, in funzione della quale si pretende di misurare financo la personalità e la cittadinanza democratica. Credono di poter invocare per questo i contributi delle scienze umane. Quanto alle conoscenze insite nelle discipline di studio, sono alla ricerca di modi di tradurle in competenze. Nel frattempo si scagliano contro coloro che non condividono la loro ideologia. Li accusano di passatismo, classismo, mancanza di scientificità. È curioso notare che proprio codesti apologeti, quasi a voler giustificare la loro ristrettezza di vedute, prendono posizione contro il sistema dei test, che definiscono riduttivo. Sistema che nonostante tutto tende a perpetuarsi.
Precedenti storici da considerare
Prima di approfondire la problematica delle competenze sul piano epistemologico, conviene riflettere sull’andamento storico della pretesa di misurare mediante test, che da noi si configura ancora come presunzione resistente ai cambiamenti intervenuti nel contesto internazionale.
L’ Invalsi era sorto con una vocazione dal presunto respiro europeo. Sennonché la sintonia con l’Europa è venuta meno nei fatti. Per quanto ci si sforzi di negarlo, l’Ocse-Pisa ha avuto una sua evoluzione priva di effettivo riscontro in Italia.
Nel 2014 quasi un centinaio di docenti universitari di tutto il mondo prendono posizione contro il sistema dei test. Indirizzano ad Andreas Schleicher, direttore dell’OECD’s Programme for International Student Assessment, una lettera. In essa dichiarano apertamente che “OECD and PISA are Damaging Education Worldwide”. Peter Wilby sintetizza i punti principali della lettera. L’OEDC è un club che con la sua politica neoliberista focalizzata sugli interessi economici distrugge la gioia di apprendere. I test sono largamente imperfetti. Si riducono a misure esclusivamente quantitative. In ambiente scolastico la distorsione dei curricula riduce l’autonomia dei docenti e aumenta i livelli di stress. Si verifica il cosiddetto effetto boomerang: i docenti sono spinti a trascurare le discipline e a insegnare per i test. La scuola diventa vittima di un paternalismo antidemocratico. Di fronte alla requisitoria degli accademici la risposta di Andreas Schleicher, allora preso alla sprovvista, risultò alquanto evasiva.
Persistente ritardo culturale
Passano gli anni. Si giunge al 2020. È già in atto la pandemia. Saku Tuominem intervista un Andreas Schleicher diverso. Ne riceve le risposte che qui si sintetizzano. In piena crisi pandemica non mancano certo gli inconvenienti. L’accesso a internet per la didattica a distanza è precluso a un gran numero di studenti. Molti docenti non hanno familiarità con la pedagogia digitale. È necessaria una collaborazione internazionale per un progresso pedagogico che tenga conto dell’alfabetizzazione informatica. Però anche la didattica a distanza ha i suoi inconvenienti. La relazionalità resta indispensabile:
“In this time of social distancing, social relationship need to be at the crux of everything”.
Il ruolo dei docenti è da valorizzare:
“In my view, teachers might be the only possible solution to the massive inequalities that this crisis brings in our students’ lives”.
Una volta tornati alla scuola in presenza, gli studenti saranno più esigenti:
“They will tell their teachers how they learn best, from what they want to learn to how they like to learn […]”
È da auspicare che gli studenti e le loro famiglie partecipino alla definizione dei processi educativi:
“[…] I believe and hope there will be more demands placed on education by students and their families”.
Sia lodato Andreas Schleicher soprattutto per aver riconosciuto l’importanza del protagonismo degli studenti, che altrove sembrano essere ridotti a cavie.
Riferimenti
L’intervento di Giorgio Israel: gisrael.blogspot.com/
Il commento di Alvaro Belardinelli: degrado-dellinsegnamento-professor-israel-non-sbagliava
La polemica Giorgio Israel-Luciano Benadusi: gliscritti.it/blog/entry/1174
Lettera degli accademici: theguardian.com/education
Sintesi di Peter Wilby: theguardian.com/education/2014
La risposta di Andreas Schleicher: www.theguardian.com/education/2014/may/08
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