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Insegnare ai giovani il futuro, insegnando come costruirlo.

Lo studente invisibile e il mistero del sé che si annienta. Insegnare ai giovani a sperare nel futuro.

Lo studente aveva pensato di regalare una rosa il 14  febbraio 2020 per il giorno di San Valentino.

Il giorno prima si è tolto la vita.

Apprendiamo dal sito ilcittadinomb.it  che un compagno di scuola ricorda così il diciottenne, impegnato nel movimento Fridays for future: “Dobbiamo impegnarci a rendere il mondo migliore, così come voleva”.

Su milano.corriere.it  del 14 febbraio 2020 la notizia ha il titolo Monza, il dramma del liceo Frisi: due studenti suicidi.  Come su tanti altri siti giornalistici e tanti altri quotidiani a stampa si narra in che modo la comunità scolastica, scossa dallo sconcerto e dal dolore, ha reagito agli eventi.  Dopo il citato titolo un’esortazione: “Ora riflettere”. Perché solo ora?

Non da ora il fenomeno dei suicidi ha una sua drammatica dimensione. Le statistiche sulla frequenza di suicidi sono allarmanti. Nel mondo si verifica un suicidio ogni 40 secondi. Nella fascia di età dai 15 ai 24 anni i suicidi giovanili sono in aumento. Sul sito who.it sono riportati i dati forniti dalla WHO –World Health Health Organization  (OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità).

Su ildigitale.it  Tonia Samuela informa che dal 2003 il 10 settembre di ogni anno a livello internazionale vengono lanciate iniziative sulla prevenzione del suicidio.

A scuola in primo piano sono i rapporti fra docenti e studenti.

I docenti devono essere pronti a confrontarsi con le problematiche giovanili.  Intanto apprendiamo che il concorso straordinario per reclutare nuovi docenti prevede che i candidati rispondano a ottanta quesiti in ottanta minuti. I contenuti del presente articolo dovrebbero far riflettere chi di dovere sulla necessità non di test, ma di corsi di formazione in pedagogia per gli aspiranti docenti. Corsi in cui si insista sulla necessità di comunicare empaticamente con gli studenti.

Mi viene in mente una notizia data nel 1999 su repubblica.it: “Bocciate a scuola si lanciano nel vuoto”. Erano due studentesse del Liceo classico di Ischia. Avevano anche espresso l’intenzione di suicidarsi in caso di bocciatura. Non erano state prese sul serio. Che il motivo era la bocciatura lo avevano spiegato in una lettera lasciata prima del gesto ai genitori. Si parlò allora di insufficienze gravi e incolmabili e di eccessiva fragilità dei giovani d’oggi.

Gli amanti del cosiddetto merito non saranno d’accordo con me per quel che dirò. L’impreparazione dei giovani implica una responsabilità degli educatori.  Di fronte a esseri fragili occorre comprensione piuttosto che severità. Altrimenti il cristallo adolescenziale  va in frantumi.

Occorre tener presenti contributi come Sherry Turkle, La conversazione necessaria. La forza del dialogo nell’era digitale, Eìnaudi, 2016 (Reclaming Conversation. The Power of Talk in a Digital Age, Sherry Turkle, 2015). Docente di Sociologia della Scienza e della Tecnologia al MIN di Boston, l’autrice rivendica l’importanza della comunicazione face to face per colmare la solitudine reale delle persone nell’era della cosiddetta realtà virtuale.

L’adolescente resta solo nel mondo virtuale.

Sull’argomento si può vedere Davide Sisto, La morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale, Bollati Boringhieri, 2018. In quella solitudine può accadere, come è accaduto, che si affidino a un video da far circolare in rete i motivi del proprio imminente suicidio. Video che equivale alle lettere di spiegazione lasciate dai suicidi.

Su fanpage.it  viene riportata la storia esemplare di Amanda Todd, vittima di un cyberpedofilo. Ricattata con un foto di lei discinta circolante in rete, affida a un  suo video la spiegazione del suo gesto suicida.

Su ilgiorno.it/monza-brianza Renata Nacinovich, Direttrice dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’ Asst di Monza e Professoressa dell’Università di Milano Bicocca, ricorda che “da un punto di vista esistenziale, c’è un pezzo di incomprensibilità davanti a gesti così estremi”. Raffaele Mantegazza, Docente di Pedagogia nella medesima Università, autore di Finire un po’ prima. Considerazioni pedagogiche sul suicidio, ribadisce che “al fondo di  ogni gesto di questo tipo c’è un grande mistero”. Altra autorità in materia è Eugenio Borgna, Primario emerito di Psichiatria e Libero docente di Clinica delle malattie nervose e mentali presso l’Università Statale di Milano. Autore fra l’altro di Le figure dell’ansia, Feltrinelli, 2005 (1997),  vede nel suicidio un “insondabile mistero psicologico e antropologico”. Siamo tutti coinvolti nel tentativo di decifrare gli “enigmi inestricabili e indicibili” dell’animo del suicida.

Viene in mente Simone Weil che evoca la “contemplazione faccia a faccia dell’inintelligibile”. Dell’inintelligibile, precisa la filosofa, “al di sopra del significato”, non di quello “al di sotto”. Se bene interpreto, dobbiamo ritenere che al di sopra del significato incontriamo l’annichilimento della speranza. Gli adolescenti, se sognano la realtà di alti ideali, restano disillusi da un mondo che offre esempi negativi. C’è chi per gli ideali reagisce e lotta, chi si adegua al conformismo imperante, chi dispera.

Una digressione letteraria.

Antigone (Sofocle)

In letteratura la tematica del suicidio assume caratteri diversi a seconda delle epoche. Per l’antichità classica basti pensare ad Antigone, che si uccide per assicurare la sepoltura al fratello Polinice, negata dal tiranno Creonte, e al suicidio stoico di Catone Uticense, che si uccide per non sottostare a Cesare, Suicidio elogiato da Dante, perché commesso in nome della libertà, sebbene  per i cristiani il suicidio sia peccato mortale (infatti per lo stesso Dante ben diversa è la sorte di suicidi come Pier delle Vigne).

Con William Shakespeare si inaugura la crisi dell’identità  del personaggio letterario.  Come illustra Salvatore Battaglia nel capitolo La letteratura delle illusioni e il suicidio dell’intellettuale della sua Mitografia del personaggio, Liguori Editore, 1991 (1967), la crisi esistenziale che fa capo ad Amleto trova i suoi sbocchi nel Werther goethiano, nell’Ortis foscoliano, nel Bruto minore leopardiano e anche in Saffo.

Tremende sono le annotazioni sul suicidio nello Zibaldone  di Leopardi.

Da allora il suicidio come disperazione, non più eroico, è ritornato più volte nella narrativa. Fino a giungere all’enigma del suicidio di Cesare Pavese, presentato dall’autore alla fine del diario Il mestiere di vivere come esito di un disgusto della realtà: “Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più”. Conclusione in cui un ingeneroso Alberto Moravia vide “un estetismo inguaribile, fino in punto di morte”.

Il suicidio letterario può avere comunque  un effetto catartico, perché corrisponde a un bisogno di sublimazione poetica del dissidio interiore.

Torniamo agli adolescenti.

C’è anche chi si rifugia più o meno consciamente nella devianza sociale,  da  isolato o in branco. È come una forma di suicidio rovesciato in aggressività contro gli altri, per lo più  soggetti deboli e indifesi. Un suicidio etico, di cui l’adolescente deviante può essere inconsapevole. Di fronte a questi fenomeni gli adulti hanno le loro colpe. Non prestano la debita attenzione alla necessità di intervento e di ausilio.

Sono chiamate in causa la famiglia e la scuola. Non solo. L’intera società così come si lascia plasmare dalla politica è responsabile. È devastante lo spettacolo di uomini politici in lotta per interessi personali e non per il bene del Paese. Ciò mette in questione la libertà o meno del suicida. Soprattutto se adolescente. Uno degli adolescenti che sono di fronte a noi a scuola o a casa. Fra i docenti o i familiari. Crediamo di conoscerlo e invece il suo io ci diventa estraneo. Non sappiamo da quali forze il suo io sia dominato.

Gli adulti sono chiamati a riflettere sui giovani che si ritrovano reclusi in sé stessi come in un carcere spirituale. Vittime di un’ansia che diviene angoscia.  Ansia e angoscia che diventano insopportabili. I giovani in cerca di un’identità personale si sentono dipendenti dai giudizi altrui. Quando sentono delusione e vergogna, piombano nella disperazione.

Che fare dunque?

Scrive Raffaele Mantegazza: “Anzitutto smetterla di giudicare i ragazzi secondo criteri di produttività e competizione e iniziare a comunicare loro che nessuno può permettersi di dare giudizi sulla loro persona”. Ciò valga come monito per tutti quelli che si rendono colpevoli di ingenerare nei giovani ansia da prestazione.

Ci accade di dover parlare di adolescenti che disperano del futuro. Sul sito ilsussidiario.net Roberto Persico accusa il mondo degli adulti, incapaci di offrire un modello positivo. Il mondo degli adulti è “il paese dei morti”, per usare un’espressione di Carlo Collodi nel suo famoso romanzo. La conclusione di Roberto Persico  è che “i due studenti del Frisi sono morti perché, nel paese dei morti, erano gli unici vivi”.

Si pone in tutta la sua drammaticità il problema della prevenzione.

Un rapporto dell’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità si intitola appunto Preventing suicide. A global Imperative  evidenzia fra l’altro l’influsso deleterio dei mass-media nel presentare casi di suicidio di persone famose. Poi si sofferma essenzialmente sui mezzi impiegabili per attuare il suicidio, come  armi, luoghi propizi, farmaci e quant’altro.

Su centromoses.it  la Dottoressa Nicole Anna Adami invita a prevenire il suicidio mediante  una maggiore attenzione ai fattori di stress, un sostegno sociale, un percorso psicoterapeutico.

Su fanpage.it  viene riportata la storia esemplare di Amanda Todd, vittima di un cyberpedofilo. Ricattata con un foto di lei discinta circolante in rete.

Maurizio Pompili è il Responsabile del Servizio per la Prevenzione del Suicidio e Referente italiano e Deputy Chairperson del Council of National Representatives della International Association for Suicide Prevention, Dipartimento di Neuroscienze, Salute Mentale e Organi di Senso – NESMOS, “Sapienza” Università di Roma. Dipartimento di Psichiatria, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea. A lui  si deve una  trattazione del suicidio adolescenziale fra le più  complete: La vita e la morte nella realizzazione del suicidio, in Tatarelli R.-Pompili M, Il suicidio e la sua prevenzione, Giovanni Fioriti Editore, 2008. Sul sito psycomedia.it è disponibile un articolo tratto dall’opera intitolato Le mie lunghe e splendide giornate passate a studiare il suicidio.

L’articolo prende le mosse da accenni alla storia della parola “suicidio”, assente nella tradizione biblica e nell’antichità classica, apparsa come sui-cide , variante di self-killing,  in  autori inglesi del Seicento. La suicidology viene introdotta nel Novecento.

L’autore avverte che gli studi sul  fenomeno del suicidio hanno dimensioni enciclopediche.

Passa in rassegna parte della copiosissima letteratura scientifica sull’argomento. Mette in rilievo la dicotomia nell’animo del suicida, sopraffatto dal dolore, eppure incerto fra l’essere e il non essere. Vengono poi esaminati diversi modelli esplicativi del suicidio, come il  modello medico (psichiatrico),  il  modello sociogenico, che contempla i tipi di suicidio altruistico, egoistico, anomico, fatalistico, il modello biologico neuroscientifico, il modello psicologico.

Il complesso fenomeno del suicidio è “un evento multifattoriale nel quale convergono il ruolo della vulnerabilità genetica e biologica, il dolore psicologico, le patologie mentali e fisiche, l’abuso di sostanze, i disturbi di personalità intesi nella più larga accezione del termine, precedenti comportamenti suicidari così pure l’accesso a mezzi letali”.

Premesso che non sempre è facile discriminare i soggetti a rischio dagli altri non a rischio, il problema cruciale risiede nel come comunicare con coloro da cui provengono segnali di dolore esistenziale. Maurizio Pompili esorta a seguire le linee guida di associazioni internazionali dedicate:  American Association of Suicidology, International Association for Sucide Prevention, International Academy of Suicide Research, che suggeriscono le domande da porre al soggetto considerato a rischio. Domande che consentono di dialogare con quel soggetto proprio sul suo  proposito di suicidarsi. Infatti, anche se la sua mente si trova in una condizione di tunnel-vision e di hopelessness,  lui resta disponibile ad essere aiutato.

In una prospettiva psicoanalitica affrontano il problema Mariapaola Tomasoni in Il suicidio nella clinica. L’impensabile e il vuoto  su stateofmind.it, Angela Coppola in Lacan e il “caso Dora”  su psychiatryonline.it, Alessandro Guidi in Il suicidio come messaggio d’amore su centrotyche.it. Alessandro Guidi sottolinea che il potenziale suicida, a meno che non sia un soggetto melanconico racchiuso nel suo silenzio,  si rivolge all’Altro, familiare o sociale. Come nella vicenda esemplare di Sylvia Plath, dominata da un bisogno d’amore non corrisposto, che la conduce alla morte. Non prima di avere lasciato un  biglietto di spiegazione del suo gesto estremo.

Prima di ogni altro insegnamento bisogna insegnare ai giovani a sperare nel futuro. I primi a dover sperare nel futuro siamo noi stessi. Insegnando come costruirlo.

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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