Il M5S manterrà fede al suo impegno di abolire il requisito del test Invalsi necessario per sostenere gli esami di Stato? E i DS vi concorreranno per farsi perdonare la leggerezza della Buona Scuola?
Si è ancora in tempo per eliminare ciò che non solo non ha senso, ma è profondamente ingiustificato e ingiustificabile dal punto di vista giuridico, pedagogico e didattico.
Non basta la frequenza, né bastano il giudizio della scuola, la buona condotta, il sei in tutte o quasi le discipline: la condizione fondamentale per poter essere ammessi a sostenere gli esami di Stato – secondaria di primo e di secondo grado – e concludere legittimamente gli studi, è, per lo studente italiano, essere stato presente al test Invalsi. Presente e basta! La deprecata disposizione normativa non dice e non impone altro: né in termini di impegno, né di risultato.
Ma, che c’entra il test Invalsi con gli esami di Stato? Perché deve esserne il requisito ineludibile? “Non hai effettuato il test, non sei stato presente? Allora niente esami, non sei ammesso!” Perché questa imposizione che sa di ricatto?
Quale può essere il motivo, non scritto, di una tale scelta? Ciò che si accerta attraverso il test ha a che fare con gli esami? Serve a rafforzare o indirizzare l’impegno di studio, ad esempio in matematica? C’è un legame pedagogico, una complementarietà, una convergenza di obiettivi di apprendimento tra test Invalsi e la seconda prova scritta degli esami di Stato di Liceo scientifico che quest’anno è stata multidisciplinare e così si spera per l’avvenire? Certamente no!
L’Invalsi ha, per la costruzione dei test, quadri di riferimento suoi che differiscono da quelli che il MIUR ha fissato per tutti, come prescritto dalla Buona Scuola, con il decreto del 26 novembre 2018. Che la geometria della spazio, analitica o sintetica, debba essere un “nucleo tematico fondamentale” dell’apprendimento, deve dirlo l’Invalsi? E spetta all’Invalsi fissare le notazioni e il formalismo matematico corretti? E stabilire se la matematica della scuola secondaria di primo grado debba farsi disponendo del kit completo di riga, squadra, goniometro, compasso e calcolatrice? Non è questa la sua funzione! L’Invalsi lo sa bene ma ha altri interessi che mira a rafforzare potenziando, attraverso i test delle classi conclusive del primo e del secondo ciclo, il suo potere d’indirizzo. E poco si preoccupa dei danni che sta arrecando specie per la matematica, disorientando rispetto alle mete.
Allora, “la politica” cosa vuole che conti per la scuola e i docenti, per gli studenti e le loro famiglie, e anche per l’editoria? Cioè, cos’è che deve essere insegnato e appreso nelle scuole? Le mediatiche “forti competenze” dell’Invalsi o quanto stabilito dai documenti ministeriali? E ammesso che se ne voglia discutere, chi è che sa quali siano queste forti competenze? Andando alla sostanza delle cose e volendosi documentare, come si può fare? Al di là dei pochi “esempi” rilasciati, dove sono i tanti test Invalsi (certamente diversi per “pesi” e “misure”) proposti nel 2019 nelle classi di terza media e di quinto anno della secondaria di secondo grado? Non c’è un dove, perché l’Invalsi ha stabilito addirittura di tenere segrete le sue prove. I test Invalsi devono cioè essere un mistero che di anno in anno deve servire solo a sorprendere e a stimolare pubblici giudizi di ignoranza e di inattendibilità della scuola oltre che confermare la fotografia della disuguaglianza territoriale nel Paese. Altri decenni passeranno, si venderanno libri e ci si allenerà ai test, ma la fotografia sarà sempre la stessa.
Ma c’è di più! Che c’entra lo studente nella sua individualità con i test? La legge della Buona Scuola si rivolge direttamente a lui, allo studente: “Devi partecipare alle prove, altrimenti non accedi agli esami”. Come giudicare una tale disposizione? C’entra forse la certificazione finale degli studi con la registrazione del livello “oggettivo” di competenza raggiunto nelle “prove nazionali” Invalsi? È dunque un modo per sancire l’inaffidabilità della scuola? Un modo per dire: ecco, quello che conta dei cinque anni di studio è il risultato Invalsi e la graduatoria di “merito” che ne consegue!
È vero, è molto difficile contrastare il sistema dei test: accanto a indubbi vantaggi amministrativi, quando utilizzato su ampia scala con oculatezza, costituisce un’industria tra le più fiorenti, che coinvolge molteplici interessi. La sola Alpha Test (www.alphatest.it ) dichiara di avere venduto tre milioni di copie (3.000.000) dei suoi manuali e gli editori collegati in qualche modo nel delicato compito di offrire i loro servizi nella preparazione dei giovani al “superamento” dei test Invalsi non sono certo da meno.
Con l’educazione e la scuola, però, il sistema dei test c’entra ben poco ed è anzi destinato a confliggere sempre di più. “Nel tempo – ha scritto Benedetto Vertecchi – le rilevazioni internazionali, e quelle interne che ne hanno imitato la metodologia, hanno progressivamente perso di rilevanza per gli aspetti pedagogici e quelli didattici e ne hanno acquistata da un punto di vista politico ed economico”. In modo altrettanto netto si è espresso Biagio Scognamiglio: “La subordinazione della pedagogia all’efficientismo economico-finanziario trova il suo più antipedagogico manifestarsi nel sistema dei test”. L’obbligatorietà dei test Invalsi come condizione ineliminabile per concludere gli studi sembra assecondare nient’altro che un tale efficientismo.
Si fa ancora a tempo a correggere il tiro. Un nuovo governo si è costituito. È formato dalle due parti che su tale obbligatorietà hanno certamente maturato le debite riflessioni: i DS l’hanno introdotta, può darsi anche inconsapevolmente, e i 5S hanno promesso di abrogarla, dopo averne già sospeso l’efficacia per l’anno che è passato e fatto annunciare dalla stampa, a fine luglio scorso, l’abrogazione definitiva. Ora il M5S ha l’occasione di confermare quanto dichiarato e i DS hanno il modo di rimediare all’errore fatto. Insieme cancellino la partecipazione ai test Invalsi quale requisito per sostenere gli esami e concludere gli studi. Un modo per recuperare credibilità e testimoniare di voler trattare la Scuola come bene comune primario della Repubblica non asservibile ad altre logiche.
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