In futuro, superata l’emergenza pandemica, si tornerà ad una prova scritta nazionale degli Esami di Stato? La lettera degli studenti e la discussione su quanto conta il saper scrivere.
Saper scrivere: questa sì che è una competenza! Per riuscirci non basta conoscere. Occorre qualcosa in più. L’esercizio, ad esempio. Tra gli altri lo ha raccomandato anche Leopardi, che al tema dello scrivere e del bene scrivere ha dedicato più di una pagina.
Saper scrivere: un obiettivo educativo notevole, parte della dottrina della trinità dell’istruzione, in tutte le epoche e nazioni. In inglese le tre “r” dell’antico ritornello Reading, ‘Riting, ‘Rithmetic/ Taught to the tune of a hichory-stick! Leggere, scrivere, far di conto, insegnati al ritmo di una bacchetta. Leggere, scrivere, far di conto sono il fondamento pedagogico dei programmi della scuola elementare del 1955. Quei programmi specificavano che saper scrivere vale saper mettere ordine nelle proprie idee, saper esporre correttamente le proprie ragioni. Ed è una delle quattro abilità su cui si radica e sviluppa la formazione dell’uomo e del cittadino: ascoltare, parlare, leggere, scrivere. Un obiettivo ineludibile per essere cittadini liberi.
L’obiettivo è stato recentemente discusso in un’intervista di Gennaro Di Biase al Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici della Federico II Andrea Mazzucchi sul quotidiano “Il Mattino”, ripresa da Antonio Polito sul “Corriere del Mezzogiorno”. Pare che non si sappia più scrivere, che non si scriva più, che non ve ne sia più bisogno. Il che si ripercuote sulle abilità individuali e collettive del pensare e della disponibilità a riflettere. Un problema che tocca la scuola nei suoi cicli d’istruzione, ma anche l’università: perfino la tesi di laurea sfugge al saper scrivere. La questione è stata richiamata su Matmedia da Lorenza Ambrisi, che ha sottolineato tra l’altro il predominio dell’oralità nei processi educativi di oggi e quanto invece scrivere sia aprire una finestra sul pensiero.
Già qualche anno fa, nel 2017, 600 professori universitari avvertirono anch’essi la necessità di una lettera aperta.
Lamentavano la perdita della capacità di scrivere in modo corretto. Se la prendevano però soltanto per i cicli scolastici precedenti, non accorgendosi che in effetti riconoscevano anche le loro colpe: laureare degli asini che nello scrivere erano paragonabili a bambini di terza elementare. E ciò che valeva allora vale ancor oggi. Scrivere è un obiettivo importante, ineliminabile, sia scolastico che universitario. Scrivere equivale a pensare e ragionare. Un obiettivo da perseguire a tutti i livelli e da accertare e valutare. Ovviamente non attraverso il test, che è la negazione dello scrivere.
Malgrado ciò, è tuttora in corso la discussione su un’altra lettera.
L’ha inviata al Ministro un gruppo di studenti: chiedono l’eliminazione delle prove scritte dagli Esami di Stato. Nella raccolta on line, la proposta ha raggiunto varie diecine di migliaia di firme di adesione ed è sostenuta da presidi e professori, secondari e universitari. A tutti i proponenti le due prove scritte nazionali, normativamente previste, appaiono superate, obsolete. Ed è anche vero che l’esperienza pandemica dell’elaborato ha dato un sostanziale contributo all’attività della scrittura in sede scolastica (si veda il relativo Report Matmedia 2021). Ma c’è chi vede in questa proposta una evidente contraddizione: se l’obiettivo del saper scrivere è fondamentale nella formazione, se è preoccupazione di ogni insegnamento educare a saper scrivere, allora non si può eliminare la presenza agli esami di un momento specifico ad esso dedicato. Dover scrivere in sede di esame ne testimonierebbe l’importanza, costituirebbe il momento dell’accertamento e della valutazione del grado di acquisita capacità. E questo è decisamente vero.
Trovare una soluzione con una modalità di prova che contempli il momento dello scrivere alla maturità è dunque una questione basilare. Necessita una prova apposita, che metta ogni singolo studente nelle condizioni di mostrare di saper mettere ordine nelle sue idee, di saperle esporre, motivare e documentare. Basterebbe per questo una sola prova, non quella delle 9 o 10 pagine raggiunte dalla prova d’italiano, ma un tema più classico, formulabile anche in poche righe, eventualmente al modo di Enrico Fermi. Una prova nazionale, uguale per tutti, che non pretenda di essere la composizione di un saggio letterario, storico o scientifico, né l’analisi di un testo, ma sia più semplicemente occasione di scrivere scegliendo un inizio A per arrivare, attraverso B, C, D …, a una conclusione Z.
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