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La matematica dell’infinito nella poesia latina

Il progetto latino-matematica. Baci innumerevoli … come i granelli di sabbia: la matematica dell’infinito nella poesia latina.

Gaio Valerio Catullo (84 – 54 a,C.)

Baci innumerevoli … come i granelli di sabbia (da Catullo ad Archimede): è uno dei paragrafi del saggio Per lo studio della cultura classica del filologo Leopoldo Gamberale in Essere e Divenire del “Classico”, UTET, 2006 (in Atti del Convegno Internazionale, Torino-Ivrea 21-22-23 ottobre 2003). Afferma il filologo che non è possibile capire a fondo taluni testi latini, se si trascurano i rapporti fra letteratura e scienza in essi presenti.

Ciò vale, ad esempio, per due famose nugae  di Catullo, che si è soliti stralciare dal Liber catulliano e presentare come oggetto di studio agli allievi dei licei classici e scientifici. Consuetamente se ne dà un’interpretazione di tipo romantico, alla quale esse certamente si prestano. Eppure, come si vedrà, possono essere comprese più compiutamente, se vengono approfonditi i significati dei riferimenti aritmetici in esse contenuti.

Intanto eccole di seguito come riportate testualmente in Gaio Valerio Catullo, Le poesie, edizione critica a cura di Alessandro Fo, Einaudi, 2018.

V

Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
Soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.

VII

Quaeris, quot mihi basiationes
tuae, Lesbia, sint satis superque.
Quam magnus numerus Libyssae harenae
lasarpiciferis iacet Cyrenis
oraclum Iovis inter aestuosi
et Batti veteris sacrum sepulcrum;
aut quam sidera multa, cum tacet nox,
furtivos hominum vident amores:
tam te basia multa basiare
vesano satis et super Catullo est,
quae nec pernumerare curiosi
possint nec mala fascinare lingua.

In Vivamus, mea Lesbia, atque amemus …

la suggestione romantica proviene in modo immediato dall’esortazione a vivere e amare in contrasto con i mormorii dei vecchi brontoloni (immagine di un’arcigna senilità  ripresa nel Novecento da Jacques Prévert  in Les enfants qui s’aiment); viene rafforzata dal contrasto amore-morte sullo sfondo cosmico; culmina nel ritmo incalzante della richiesta dei basia, che a un certo punto viene interrotta per un attimo, volendo evitare sia di fissarne il numero per gli amanti stessi che di farlo conoscere a chi, conoscendolo, potrebbe fare loro il malocchio.

Andando più a fondo, osserva Alessandro Fo che con il genitivo di stima o prezzo unius assis, “un solo asse”, Catullo “apre una linea di termini bancari” (l’asse, moneta di bronzo, poi di rame, era quella di minor valore, che il filologo traduce con “spicciolo” e noi potremmo tradurre con “un solo misero centesimo” o “un soldo bucato”)  e che l’uso del verbo conturbare equivale a “far saltare i conti” (ma può valere anche, come si riscontra in Cicerone, “fare bancarotta”). Quindi ci troviamo di fronte alla rivendicazione di un tesoro che non è quello della contabilità finanziaria. Il vero tesoro è l’amore. Con ciò il poeta prende posizione contro il mondo del commercio proteso al guadagno. Il capitale da accumulare non è quello del denaro, ma dei baci. Nei versi vi è non  solo entusiasmo erotico, ma anche contrapposizione all’avidità di ricchezze. E per questo contrapporsi è stata utilizzata l’aritmetica.

Resta visibile in filigrana il riferimento all’abaco.

Io, suggerisce  Catullo, l’abaco lo uso per calcolare i baci, che per gli esseri mortali sono più importanti del denaro. Ancora a proposito del verbo conturbo,- as,  nel Thesaurus linguae latinae leggiamo: “ CATVLL. 5, 1 cum milia multa (basia) fecerimus, -bimus illa, ne sciamus (sc. quot fuerint)”. Nel Vocabolario della lingua latina Castiglioni-Mariotti per  il medesimo verbo si registrano i significati “turbare, scompigliare, mettere in disordine, alterare” e il conturbabimus viene reso con “mescoleremo”. A questo punto si rivela opportuno introdurre un riferimento alle caratteristiche dell’abaco come strumento di calcolo.

Citiamo dall’Enciclopedia Treccani:

abaco Tavoletta rettangolare usata dagli antichi per eseguire i calcoli; l’a. dei Romani portava due serie di otto asticciole in cui scorrevano gettoni o palline forate (4 o 5 per asta nella serie inferiore, 1 nella superiore). Le palline scorrevoli nelle aste inferiori servivano a computate le once (aste contrassegnate con O), le unità (asta contrassegnata con I), le decine ecc., fino al milione. Analogamente, le palline scorrevoli nelle aste superiori servivano a segnare rispettivamente 5 once, 5 unità, 5 decine ecc., mentre le tre aste molto piccole nella parte destra inferiore dell’a. segnavano le frazioni di oncia. Gli a. erano indispensabili nelle civiltà antiche (Cina, Babilonia, Grecia, Roma) per la mancanza di un sistema di numerazione adatto al calcolo. Ancora diffusi nel Medioevo, caddero in disuso man mano che nell’Occidente latino furono introdotti il sistema numerico decimale indo-arabico e i principali metodi di calcolo, grazie anche al Liber abaci di L. Fibonacci (1202).

Tenendo presente questa descrizione, possiamo intendere  quel conturbabimus come prefigurazione dell’atto di agitare e scuotere l’abaco nell’intento di rimescolare i gettoni o le palline. Ci chiediamo come possa avvenire quel rimescolamento. Ed ecco profilarsi una forse inedita possibilità interpretativa. Può darsi che gli amanti rovescino o addirittura buttino via il metaforico abaco, per dare ancor più eccitata continuità alla serie dei basia come se dovesse durare all’infinito, senza contarne ormai le migliaia e le centinaia. In questo caso ci troveremmo di fronte a un ulteriore intensificarsi del climax ascendente, ossia al culminare dell’atto del baciarsi in una frenesia parossistica e inarrestabile. Interpretazione, questa, che può essere avvalorata dai versi di Quaeris, quot mihi basiationes

In Quaeris, quot mihi basiationes

incontriamo il motivo topico del numero innumerevole dei granelli di sabbia o delle stelle, presente nell’ebraico libro della Genesi, nei greci Omero, Pindaro, Callimaco oltre che in Platone, e nel mondo latino in  Virgilio, Orazio, Catullo, Ovidio, Boezio, per non dire poi delle altre civiltà… Alla  richiesta di Lesbia, il suo Catullo le rivela che innumerevole è il numero delle basiationes che possono saziare la sua bramosia di innamorato pazzo, sfuggendo nel contempo, perché incalcolabili, all’eccitato computo voyeuristico dei curiosi e all’invido calcolo livoroso degli iettatori sempre pronti a fare il malocchio, una volta che malauguratamente siano  venuti a conoscenza di una quantità finita di esse.

Alessandro Fo richiama l’attenzione anche sull’ode di Orazio 1,28:

Te maris et terrae numeroque carentis harenae/
mensorem cohibent, Archyta,/
pulveris exigui prope litus parva Matinum/
munera, nec quidquam tibi prodest/
aerias temptasse domos animoque rotundum/
pecurrisse polum morituro […]

Spiega il filologo che “Orazio si rivolge proprio ad un insigne pitagorico, Archita di Taranto, affermando che pochi pugni di polvere sul lido Garganico coprono il corpo di chi aveva con l’intelletto compreso  l’intero universo”. E si chiede come sia possibile che Archita secondo Orazio sia misuratore (mensor) della sabbia che manca di numero (numero…  carentis harenae), data l’incommensurabilità dei suoi granelli. Quindi ritiene opportuno introdurre in proposito un riferimento all’Arenarius (Ψαμμίτης) di Archimede (287-212 a.C.), “poiché in esso, attraverso nuovi sistemi di numerazione, viene esteso il concetto stesso di numero”.  Il testo greco dell’Arenarius con traduzione italiana a fronte, inserito in un’ampia trattazione a cura di Heinrich F. Fleck,  è reperibile al seguente link: heinrichfleck.net/quaderni/Arenarius.pdf

Di qui è tratta la traduzione italiana dell’incipit dell’opera, dedicata dal siracusano Archimede al tiranno Gelone di Siracusa:

[Vi sono] alcuni, o re Gelone, [che] stimano il numero [dei grani] d’arena essere indeterminabile nel numero, [e] non mi riferisco [già] soltanto a [quei grani d’arena che stanno] attorno a Siracusa o nel resto della Sicilia, ma anche a quelli [diffusi] per ogni parte della Terra, abitata o inabitata che questa sia. D’altronde vi sono altri che, pur non considerando questo numero infinito, credono tuttavia [che sia] impossibile definire un numero [che esprima una] grandezza tale da superare [quella] quantità. È chiaro che se quelli che così credono immaginassero un volume d’arena di grandezza eguale [a quello] della Terra, in modo da riempire ogni sua cavità [e] gli abissi del mare, d’innalzarsi [sino alla cima] delle più alte montagne, a maggior ragione  neanche costoro si persuaderebbero che si possa definire un numero di grandezza tale che superi quella quantità [di grani] d’arena.] Con dimostrazioni geometriche che potrai logicamente seguire e [servendomi] dei numeri esposti negli scritti definiti [ed inviati] a Zeuxippo, io proverò a mostrarti che alcuni [numeri] non solo superano il numero [dei grani] d’arena per un volume  [supposto] eguale quello della Terra [e di questi] riempita come appunto s’è detto, ma anche di quelli per un volume eguale all’[intero] cosmo.

A questo punto possiamo ben ribadire che l’esegesi di talune opere di poeti latini rimanda a problemi matematici e ne riceve maggior luce. Anche i Romani si interrogavano sull’infinità numerica, come del resto è proprio del genere umano in ogni epoca, e la traducevano in poesia.

Possiamo anche aggiungere che col riferimento all’Arenarius (Ψαμμίτης) archimedeo il legame latino-matematica, cui Matmedia ha dedicato un’apposita sezione, si estende  per i licei classici a un rapporto interdisciplinare greco-latino-matematica, attraverso il quale gli studenti saranno portati a riflettere sulla storia del genere umano di fronte al mistero dell’infinito.

 

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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