Consigli agli insegnanti più giovani: la matematica non è solo un “esercizio”. L’appello finale è: mirare a “fare” sempre meglio.
Negli otto anni (3+5) comprensivi di scuola media propriamente detta e di liceo scientifico, ho conosciuto tre insegnanti di matematica, uno alla media e due durante la scuola superiore. Di questi uno è stato mio insegnante quando frequentavo la prima classe, l’altro mi ha seguito dalla seconda alla quinta. Dei tre quello della prima superiore è stato colui che ho apprezzato meno.
La matematica del primo anno di liceo scientifico era, in buona parte, quella svolta in terza media.
Si ripetevano e si potenziavano le prime nozioni di calcolo letterale. Si riprendeva la geometria piana che veniva esposta alla luce delle dimostrazioni e, per la prima e unica volta, a questa materia erano assegnate cinque ore settimanali. Il professore lavorava con grande impegno, non curava molto la geometria. Preferiva insistere con maggiore determinazione sull’insegnamento dell’algebra. Non contento del testo in adozione, dettava appunti riguardanti le regole di calcolo previste dal corso di studi, passando sopra i naturali collegamenti fra di esse. Era importante calcolare, calcolare…..E poi si auto-elogiava affermando che “la matematica è esercizio“.
Mancavano due settimane a fine anno, stavano quasi per finire le due ultime ore (quarta e quinta) del giovedì, quando annunciò che avremmo iniziato ad applicare le equazioni, e dettò il testo di un problema di questo tipo:
«due autovetture partono, contemporaneamente, da due paesini collegati da una strada lunga 200 chilometri che percorreranno, andando una verso l’altra, con velocità costanti rispettivamente di 60 e 40 chilometri orari. Dire dopo quanto tempo si incontrano e quanti chilometri hanno percorso singolarmente».
Sono stato un fulmine, appassionato di automobilismo sportivo e quindi esperto conoscitore di spazi e tempi.
Chiamata x l’incognita, scrissi l’equazione 60x+40x=200; trasformata in 100x=200 dalla quale ho calcolato il tempo x=2 ore, quindi i rispettivi spazi percorsi 120 e 80 chilometri.
Nel frattempo era suonata la campana e i miei compagni erano scattati in piedi, mentre l’insegnante tentava di guidarli verso la soluzione. A questo punto quello, gridando come non mai, ordinò di stare seduti sin quando non sarebbe finita la lezione, poteva uscire chiunque avesse risolto il problema.
A questo punto mi sono alzato e ho mostrato quanto avevo scritto sul quaderno; da non crederci, il professore visibilmente contrariato esclamò: vattene via, tu non hai bisogno della mia spiegazione!
Uscito dall’aula aspettai fuori per strada, circa trenta minuti, i compagni con cui ero solito percorrere la via di casa. Passò pure l’insegnante che si vendicò declassandomi allo scrutinio finale.
Questi avvenimenti sono accaduti molti anni fa, eppure il loro ricordo è ancora vivissimo.
Chi può dimenticare la delusione provata nel prendere atto che, alla parte più stimolante del programma, era stata riservata una decina di ore a pochi giorni dal termine, proprio quando si intensificano le prove di recupero! E così avvenne che in classe avremo risolto al massimo cinque o sei esemplari in tutto.
Ho proseguito per conto mio durante l’estate, che non fu soltanto vacanza, tradurre in simboli un testo costituito da una sequenza di parole mi divertiva. Per ogni problema una strategia. Erano pure esercizi quelli se si vuole, ma compresi che prima dell’esercizio vengono le idee prodotte dalla fantasia, come in qualunque altro ramo del sapere.
Certamente doveva pensarla come il professore, quel ministro della pubblica istruzione che, sul finire degli anni Sessanta, ebbe il coraggio di modificare profondamente le modalità con le quali si svolgevano gli esami di Stato. Li rese più umani, ma commise il gravissimo errore di eliminare l’esame orale di matematica, permettendo di conseguire la maturità scientifica a ragazzi che non erano in grado di ripetere la dimostrazione di un solo teorema.
Per la cronaca, ripetere agli esami il teorema delle tre perpendicolari fu per me una vera soddisfazione.
A merito del ministro suddetto, va però riconosciuto l’avere aperto definitivamente l’università ai diplomati degli istituti tecnici. Molti di loro si sono distinti nell’esercizio delle professioni e numerosi altri, per essere divenuti dispensatori di cultura, occupando onorevolmente cattedre universitarie.
Ormai sono passati circa cinque decenni. Gli ultimi a sostenere gli esami di maturità, nel modo che ho conosciuto, sono sui settanta (anni). Ed è bene ricordare alle giovani generazioni, che la riforma della scuola degli anni venti del secolo scorso, quella che eliminò il FISICO MATEMATICO, malamente sostituito dal cosiddetto liceo scientifico, prevedeva per questo istituto sei esami scritti, due dei quali riservati alla lingua latina (versioni latino-italiano e italiano-latino che si svolgevano in due giorni diversi) per la quale era prevista anche una terza prova: l’esame orale. Questo forse al fine di rendere omaggio agli antichi romani i quali, troppo impegnati a guerreggiare, non diedero alla scienza alcun contributo degno di nota. Fatta eccezione per l’incidente in cui perse la vita Archimede il più grande Matematico e Fisico dell’Antichità.
È bene anche, per completare il quadro, ricordare che a cavallo del XIX e XX secolo, degli intellettuali non meritevoli di essere classificati filosofi, in quanto non seguirono l’ideale di Talete, incapaci di esprimere idee geniali di tipo costruttivo, non trovarono di meglio che impegnarsi pervicacemente a denigrare la scienza, in particolare la matematica, sprezzantemente definita “arida e astratta”.
Per misurare la “statura” di questi personaggi, va detto che costoro non rinunciarono a nessuna delle comodità derivanti da quella scienza che, con grande disprezzo, chiamavano “pratica”. Si servirono dell’acqua a domicilio, della luce elettrica, del telefono, del telegrafo, della radio, delle automobili, del treno, della macchina da scrivere e forse qualcuno anche dell’aeroplano.
Diversamente dai ministri coinvolti nelle tristi vicende scolastiche, la pensava il grande filosofo greco Platone [11].
Fondatore della Scuola di Atene, il quale fece scrivere all’ingresso di questa: «Niuno ignaro della geometria entri sotto il mio tetto» e aveva tanta fiducia nell’azione educativa della matematica, da consigliare che «geometria e aritmetica fossero insegnate ai futuri reggitori della repubblica, non a scopo di pratica utilità; ma per educarne e svilupparne il pensiero, aprendolo alla pura visione del mondo delle idee, ed armonizzandolo nel vero ordine e nella più indomita volontà creatrice».
Aveva ragione, infatti gestire la “cosa pubblica”, come tutti sanno, richiede la soluzione di tanti problemi pratici, difficilmente possono essere risolti bene da chi non viene allenato a dovere risolvendo quelli teorici
I miei figli, nati rispettivamente nel 1969 e 1971, hanno frequentato il liceo scientifico negli anni ottanta e inorridisco a ricordare che, i loro insegnanti delle classi superiori, tutti e due convinti che “la matematica è esercizio“, trascuravano la fisica, trascuravano le dimostrazioni e impiegavano il tempo disponibile, risolvendo esercizi su esercizi nella pia illusione che si possa superare, in modo brillante, un esame scritto, senza una solida preparazione teorica.
L’assenza della prova orale e l’incerta presenza della fisica agli esami di maturità, era la giustificazione delle citate anomalie.
Queste cose succedono quando al vertice della pubblica istruzione arrivano persone, magari molto istruite, le quali non credono nella potenza educatrice della matematica, non hanno idea che questa e’ anzitutto cultura e conoscenza e che l’esercizio è importante sì, ma non indispensabile; da studente universitario ho studiato delle materie molto affascinanti, come la teoria dell’integrazione secondo Lebesgue e la teoria matematica dell’elettromagnetismo di Maxwell, per le quali non abbiamo risolto alcun esercizio, eppure hanno contribuito efficacemente a completare la mia preparazione, in effetti quello rappresenta soltanto la fase finale, l’ultimo stadio dell’apprendimento, più che altro potrebbe svolgere il ruolo di verifica, non sopravvalutiamolo.
Tornando ai miei figli, dopo l’esperienza poco felice della grande; il minore, avendo accettato il mio consiglio, durante i tre anni conclusivi curò molto la teoria e ottenne il massimo dei voti alla maturità, che fu ripetuto talvolta con lode, in tutti gli esami di matematica sostenuti nel corso di laurea in economia.
Chi scrive è un vecchio pensionato ex insegnante, il quale ha prestato servizio negli Istituti Tecnici e poi in Università, per un totale di quasi dieci lustri(compreso il servizio militare), ha effettuato ricerche in fisica-matematica, ha prodotto poco, però ha risolto un problema di stabilità vecchio di sessanta anni [7], ha pubblicato vari articoli per la Mathesis, uno per Matmedia.it, studia ancora e cerca di guadagnarsi la pensione.
Basandomi su questa esperienza mi permetto, nel mio piccolo, di dare qualche consiglio a quanti sono operativi.
Inizio con gli studenti che costituiscono il nostro futuro, a loro va detto, senza mezzi termini, che la matematica è la materia più difficile da apprendere e da insegnare, pertanto richiede a maestri e discepoli il massimo impegno, in particolare ai secondi raccomando di prestare la massima attenzione in classe e a casa, di rivedere dopo il rientro con calma, la lezione del giorno utilizzando libri e appunti. Capito il tutto, iniziare subito la risoluzione degli esercizi e completarla il giorno prima della lezione successiva, da non dimenticarsi di ripetere mentalmente le regole durante lo svolgimento dei compiti, nel caso ci fossero problemi di attenzione (ne so qualcosa), provare a ripetere ogni passaggio prima del successivo.
Studiare le materie dette umanistiche, superato l’ostacolo della lingua, è come esplorare un territorio pianeggiante.
Si legge Manzoni come Pirandello, come Leopardi o Sciascia.
Invece studiare matematica è come scalare la parete di una montagna. Si sta sempre attaccati alla roccia per conficcare un chiodo dopo l’altro. Similmente ogni argomento viene costruito o studiato dopo un altro appreso precedentemente.
Euclide ha raccolto e organizzato tutto quello che avevano prodotto i suoi predecessori aggiungendovi del proprio.
Archimede studia Euclide e ne segue l’esempio, avendo trovato il sapere già bello e sistemato, su di esso ha costruito i propri capolavori. Ritorno alla similitudine: è importantissimo tener presente che quella montagna non avrà mai e poi mai termine, per i giovani non mancherà certamente nel futuro una vetta da raggiungere.
Se fossi membro di un organismo in cui si decidono le strategie dell’istruzione, direi di distribuire in tre fasi l’insegnamento della scienza di Pitagora, la prima sperimentale, la seconda avente come obiettivo la formalizzazione, la terza fondata sulle dimostrazioni. La prima riservata alle scuole elementari, la seconda, con qualche intervento della terza, durante i tre anni della media, per poi procedere, quasi esclusivamente, con metodo euclideo alle superiori, sia che si tratti di numeri che di figure.
Ai docenti che operano in queste scuole, raccomando di non seguire rigidamente canoni consolidati da tempo, prima un ripasso, poi monomi, polinomi, frazioni algebriche, espressioni, equazioni, sistemi, portaerei a quattro piani. Un problema come questo: «la mamma va al supermercato e porta 100 euro nella borsetta, paga alla cassa 75 euro, quanti ne riporta a casa?» si risolve alle elementari eseguendo la sottrazione 100-75. Il bambino che lo risolve, di solito, non sa di avere risolto una equazione (100=75+x).
Alla terza media un qualsiasi alunno dovrebbe affrontare senza difficoltà quest’altro:
trovare quel numero che, sommato al suo doppio e al suo triplo, dà 60. Esso va risolto scrivendo l’equazione x+2x+3x=60 che diventa 6x=60, dato che x+2x+3x =x(1+2+3) e si ottiene il numero 10, oppure con un pizzico d’ingegno, lavorando a mente, 1+2+3 =6 e quindi per avere il numero richiesto basta dividere 60 per 6.
Un pochino più impegnativo, quindi riservato a quelli del primo superiore, risulta quest’altro:
il parroco di una chiesetta di periferia distribuisce ogni sabato ai poveri, i soldi lasciati dai fedeli per le elemosine; un giorno, avendo trovato soltanto monete da un euro, fece dei calcoli e si accorse che, se dava 5 euro a persona ne restavano 4, se invece ne dava 6 ne sarebbero mancati 16. Quante erano le monete e quanti i poveretti?
Stavolta viene comodo chiamare x il numero delle persone e y quello delle monete, viene fuori la coppia di equazioni (sistema): 5x=y-4; 6x=y+16. Dalla prima equazione si ottiene y=5x+4 che, sostituendo nella seconda, porta all’equazione risolvente 6x=5x+4+16, da cui x=20 e poi y=104. Provando a sostituire per la verifica si ha 5×20=104- 4; 6×20=104+16 (5×20 sta per 5 moltiplicato 20 come alle elementari). A questo punto si ha la certezza che la soluzione risulta corretta.
Come si vede per iniziare a risolvere i problemi, che costituiscono la maggiore attrattiva della disciplina, bastano i primi elementi di calcolo letterale.
Si definisce in termini precisi il concetto di equazione (ad alcuni giornalisti converrebbe ricordare che non esiste equazione senza incognite) quindi la:
Definizione.- Si chiama equazione una scrittura matematica che presenta almeno un termine letterale sconosciuto, di solito indicato con x o con y…, e all’interno della quale si trova il segno =.
Definizione.- Si chiama soluzione di una equazione ad una sola incognita un numero oppure una espressione nota che, sostituiti al posto dell’incognita, rende il primo membro uguale (davvero) al secondo.
Le equazioni più semplici sono quelle di tipo y-b=c(il termine incognito è y).
Per ottenerne la soluzione è sufficiente richiamare la proprietà fondamentale della sottrazione: a-b=c se e solo se a=b+c, pertanto dall’equazione y-b=c si desume y=b+c che, sostituita nel primo membro della equazione originaria, fornisce b+c-b = b-b+c=c esattamente c come il secondo membro, verificata.
Da notare che l’equazione è stata risolta senza disturbare la legge del trasporto che verrà presentata in seguito. Quanto alla scrittura a=b+c essa genera l’altra b+c=a e da questa derivano b=a-c e c=a-b, pertanto l’equazione y+b=c ammette la soluzione y=c-b infatti sostituendo si ha c-b+b=c secondo membro dell’equazione assegnata.
Per quanto riguarda le altre, di tipo by=c (leggasi: b moltiplicato y uguale c), esse si risolvono passando attraverso la proprietà fondamentale della divisione: se b è diverso da 0 allora a:b=c se e solo se a=bc(b moltiplicato per c) che può anche scriversi sotto la forma bc=a dalla quale si deducono b=a:c e c=a:b e ancora, dall’equazione assegnata si ottiene y=c:b. Dato che b(c:b)=c il rapporto c:b è certamente la soluzione richiesta.
Detto ciò, si consiglia di assegnare un problema ogni lezione per sviluppare la fantasia, aumentando gradualmente le difficoltà, mentre si svolgono gli argomenti della tradizione, accompagnati moderatamente, da relative esercitazioni aventi lo scopo di educare i giovani a non sbagliare (per me la battaglia più dura), ricordando sempre che la matematica è la scienza del come e del perchè, pertanto non si ammette che questi due aspetti vengano separati, eliminarne il secondo significa ridurla a scienza occulta.
Affermare che “la matematica è esercizio” significa ridurla a questo.
Un ottimo espediente per navigare in superficie ed evitare l’impegno e la fatica di scendere in profondità, il modo migliore per suscitare l’odio degli studenti, come confermato più volte dalle statistiche effettuate per stabilire l’indice di gradimento.
Provate pure a proporre problemi non standard, come questi che scrivo in elenco:
- Assegnati i numeri 1,2,3 e 4, scrivere le equazioni di un sistema lineare 4 per 4, che ammette il complesso dei numeri dati come soluzione.
- Studiare teoricamente due sistemi lineari di cui: il primo del tipo 3 per 2 , il secondo del tipo 2 per 3.
- Avendo a disposizione due secchi rispettivamente di 3 e di 8 litri come fare a procurarsi esattamente 1litro e poi 2litri di acqua?
Relativamente al terzo si può dire che: per averne uno, si parte con i due secchi vuoti. Riempito il piccolo, si versi il contenuto in quello da 8 litri che, dopo l’operazione, ne contiene 3, ripetendola il maggiore dei recipienti ne conterrà 6 e resta un vuoto di 2 litri. A questo punto, riempito quello da 3, si versino 2 litri dentro il maggiore e quindi nel piccolo rimarrà un solo litro, come richiesto.
Se si desiderano due litri di liquido: riempito il maggiore, si versi acqua dentro il piccolo vuoto sino a riempirlo. Dopo si svuoti questo e si ripeta la manovra, dato che 3+3=6 dentro il secchio grande rimangono 8-6=2litri.
Quali e quante altre misure si possono ottenere? Da non dimenticare che la matematica è anche libertà e fantasia. Per questo e altri problemi ricreativi consultare UN CAVALLO CHE GUIDA UNA MACCHINA! di Alfio Ragusa .
Passo ad un’altra categoria di operatori, non meno importante della precedente, quella degli Autori dei libri di testo.
A loro dico subito che ho tanta nostalgia delle parentesi, le quali davano tanta eleganza alle scritture matematiche. E mi dispiace sinceramente che siano state eliminate quasi di soppiatto, bruscamente, senza specificarne le ragioni. Eppure era l’occasione buona per introdurre le espressioni a più valori, che di fatto anticipano le funzioni multivoche, uno dei capitoli più moderni dell’analisi matematica. Invece qualcuno, quasi tacitamente, ha fatto apparire la seguente regola:
“Se un’espressione aritmetica non contiene parentesi, si devono eseguire prima le moltiplicazioni e le divisioni, e poi le addizioni e le sottrazioni nell’ordine indicato”.
A questo punto mi permetto di chiedere: l’espressione 2+3+6 non contiene parentesi, in base alla regola suddetta le addizioni si debbono eseguire nell’ ordine indicato, quale?
Presumo quello di scrittura, ma per caso la proprietà associativa, corrispondente alle operazioni indicate, non afferma che il risultato non dipende dall’ordine degli addendi? Si può accettare una convenzione che contraddice una proprietà basilare dell’aritmetica, cosa direbbe Hankel (principio di permanenza delle proprietà formali)? [La regola in discussione e altre equivalenti, si trovano sparse in moltissimi testi in uso alla prima media come al superiore. La circostanza che i risultati sono uguali non legittima la contraddizione].
In tutti i libri capitati sotto i miei occhi, non ho ancora trovato una bella definizione di prodotto notevole.
inoltre i più introducono il delicato argomento con frasi del tipo “esistono alcune uguaglianze che danno subito il prodotto di due polinomi..”. I conti non mi tornano, tutte le potenze del binomio sono prodotti notevoli, e queste sono infinite in quanto si può stabilire una corrispondenza biunivoca fra potenze e numeri naturali, è corretto dire che se ne studiano alcuni.
Passando all’altra faccia della medaglia, la decomposizione in fattori, non sarebbe male spingersi più audacemente ad analizzare i binomi costituiti da potenze di uguale grado, con le potenze di grado dispari si vede qualcosa, con il grado pari non ho ancora visto nulla di scritto; in una fotocopia di appunti dettati da un insegnante? leggo che con la somma di due quarte potenze “non c’è nulla da fare” (proprio così).
Trascrivo testualmente:
“Definizione: due frazioni a/b e c/d sono equivalenti e si scrive a/b=c/d se e solo se ad=cb” e mi chiedo, non sarebbe meglio dire “due frazioni a/b e c/d sono equivalenti quando i rapporti a:b e c:d sono uguali” e poi dimostrare che “condizione necessaria e sufficiente perchè si realizzi l’uguaglianza dei rapporti è che risulti ad=bc”? Infatti basta scrivere la relazione a:b=c:d, vera per ipotesi, moltiplicare m. a m. per bd si ottiene ad=cb; supposta vera quest’ultima, la si divide m. a m. ancora per bd e il gioco è fatto.
Passiamo alla geometria cartesiana.
Si legge che ad un certo punto della storia, “la geometria greca non fu in grado di risolvere le crescenti complicazioni cui conduceva lo studio di nuovi problemi” e l’Autore, a cui mi riferisco, rimane nel generico. Non è il solo. Per quanto possa sembrare risibile propongo il seguente:
a Catania (bella città) ci sono tre monumenti dedicati al grande Musicista Vincenzo Bellini (catanese verace): un busto marmoreo ubicato presso la villa comunale omonima. In piazza Stesicoro si ammira Bellini seduto e circondato da quattro statue raffiguranti le Sue opere più famose. Nel foyer del teatro Massimo a Lui dedicato, si trova la terza, è dritto in piedi: esiste una retta che passa per la punta del naso di tutte e tre?
La geometria euclidea non possiede uno strumento idoneo a risolverlo.
La geometria cartesiana, con le sue coordinate e le equazioni della retta passante per due punti, è in grado di dirimere la questione, unica difficoltà (superabile) stabilire un sistema di riferimento e determinare, rispetto a questo, le coordinate dei tre punti interessati.
Continuando con la geometria cartesiana, mi viene in mente che il mio libro di ALGEBRA, ma pure quelli dei miei figli e quelli dei miei nipoti, prima di presentare l’equazione della retta in forma esplicita (y = mx+n), impiegano alcune pagine colme di grafici e tabelle, scelte infelici.
La via maestra è dimostrare, mediante il teorema di Talete nel piano, che la retta passante per due punti P e Q aventi rispettivamente coordinate (p’,p”) e (q’,q”) ha equazione (x-p’)(q”-q’) = (y-q’)(p”-p’) valida anche nel caso di una retta parallela a qualcuno degli assi, dalla quale si perviene alla ax+by+c = 0, equazione generale in forma implicita da cui, se b è non nullo, deriva la soprastante la quale risulta incapace di rappresentare le rette perpendicolari all’asse delle ascisse, le quali sono anche parallele a quello delle ordinate.
Il testo usato al primo scientifico dal mio primo nipote, inizia presentando quel poco di teoria degli insiemi che consente di trattare la nascita dei numeri naturali secondo B. Russell. Un punto mi ha lasciato perplesso, quello in cui si afferma che, da una scatola vuota, deriva il numero 0 e che per ogni numero naturale n risulta n+0=n, n-0=n e pure n·0=0·n=0.
Quest’ultimo concetto non mi convince.
Va bene dire n moltiplicato per 0 vuol dire sommare n volte il numero 0. Se abbiamo n scatole vuote e ne sommiamo i contenuti, si ottiene ancora una scatola vuota e quindi n·0=0. Ma la moltiplicazione “deve” essere commutativa, pertanto bisogna chiedersi cosa significa 0·n? la scatola vuota sommata 0 volte? La faccenda si può risolvere mediante una convenzione, tirata per i capelli, 0·n=0. Però a me sembra che ci sia un modo più convincente e più scientifico: la sottrazione nell’ambito dei numeri naturali è consentita solo se il minuendo è maggiore del sottraendo, per superare l’ostacolo si definisce n-n=0 da questa segue n=n+0, n-0=n per la proprietà precedente, e poi 0=n-n=1·n-1·n=n(1-1) =n·0=0 per qualunque valore di n.
Presentare le frazioni, collegandone l’utilità al problema della divisione di una torta in parti uguali, lo trovo stimolante e simpatico, per i bambini delle elementari e della prima media. Va benissimo. Va altrettanto bene per i ragazzini del primo superiore, a patto che venga aggiunta una seria motivazione scientifica. Certo, se la matematica è esercizio (nel senso del professore) potrebbe bastare, ma dobbiamo convincerci che non basta, non è solo quello!
La via giusta è un’altra, non ha senso effettuare per un anno intero solo calcoli su calcoli senza risolvere nulla.
Per curiosità ho pesato due miei vecchi libri, quello di algebra e quello di geometria che mi fecero compagnia, assieme alla tavola dei logaritmi, durante il secondo e terzo anno di liceo (scientifico) rispettivamente di 154 e 418 pagine, peso totale 700 grammi. Il libro di algebra (quello delle torte) del primo superiore, a fronte delle 600 e passa pagine, inchioda l’ago della bilancia sui 1200.
Certo la carta è più consistente, i fogli sono più grandi; sinceramente mi aspettavo delle novità come uno stile più colloquiale. Un libro di matematica non deve somigliare alle tavole della legge, deve convincere gli studenti, non vi si dimostra quasi nulla. Invano ho cercato una dimostrazione per la proprietà invariantiva delle frazioni, stesso risultato per l’unicità della scomposizione in fattori primi di un numero naturale; si arriva ai sistemi lineari 3 per 3, si “definisce” il concetto di determinante per il secondo e terzo ordine e poi? Si enuncia il teorema di Cramer e se ne omette la dimostrazione, per me questo significa dichiarare che un quasi giovanotto di 13-14 anni non è in grado di capirlo, imperdonabile errore!
A quell’età i ragazzi hanno la mente sveglia e sono in grado di comprenderne la relativa teoria, presentare i rimanenti tre metodi, senza adeguata formalizzazione, non favorisce lo sviluppo delle capacità logiche; ma si fa perdonare perchè ho visto, per la prima volta in un libro scolastico, il teorema del sommo Euclide che dimostra l’esistenza di infiniti numeri primi (presentato come lettura, merita di essere inserito nel programma), occorre più coraggio: si abbandoni quel dogma, la strada è quella giusta, e si abbia l’audacia di essere un pochino più nazionalisti. In varie pubblicazioni straniere (e nazionali) di carattere scientifico, nelle quali si descrive o viene soltanto citato, il principio dell’induzione matematica, sistematicamente viene omesso il nome dell’inventore: Francesco Maurolico da Messina (1494-1975).
Nel settimanale per bambini, che amavo leggere durante la mia fanciullezza, qualcuno scriveva “Se non lo sapete voi ve lo dico io” parafrasando questo ricordo, mi viene da scrivere “se non lo scrivete voi ci penso io”.
Con questo intendimento formulerò tre proposizioni che considero indispensabili in qualsiasi testo.
Teorema(1).- Se il rapporto fra un numero naturale A e un numero primo B è ancora un naturale C, allora B è un fattore primo di A.
Dimostrazione.– Per ipotesi A:B=C quindi, per la proprietà fondamentale della divisione: A=BC.
Poichè B è un numero primo, quindi non scomponibile il teorema finisce a questo punto, anche se C fosse un numero composto, nella decomposizione di A sarà presente in modo esplicito B.
Teorema(2).– Moltiplicando o dividendo i termini di una frazione per un numero naturale (per me 0 non appartiene alla categoria), si ottiene una frazione uguale a quella iniziale.
Dimostrazione.– Sia data la frazione a/b, moltiplicandone numeratore e denominatore per il naturale c (qualsiasi) si ottiene la frazione (ac)/(bc) . Applicando il principio della convalida, si suppone che il teorema sia vero, cioè (ac)/(bc) = a/b, pertanto chiamato s il valore comune delle due frazioni risulta a=bs ed anche ac=bcs=bsc=ac, la quale essendo una identità chiude il procedimento. [Per il principio della convalida vedere il mio articolo sul Periodico di matematiche [3]]
Teorema(3).- La scomposizione in fattori primi di qualsiasi numero naturale è unica (Euclide?).
Dimostrazione.- Si supponga che il numero naturale m abbia due diverse scomposizioni, ossia m = a(1)a(2)a(3)…….a(p) prima e poi m = b(1)b(2)b(3)……..b(q) seconda. Si inizia col supporre p<q e che i fattori primi sono scritti in ordine generalmente crescente quindi si possono presentare delle ripetizioni.
Naturalmente si può scrivere: a(1)a(2)a(3)…….a(p) = b(1)b(2)b(3)……..b(q)
dato che a(1) è non nullo è possibile dividere questa relazione e ottenere
[a(1)a(2)a(3)…….a(p)]/a(1) = [b(1)b(2)b(3)……..b(q)]/a(1)
la quale, per il teorema precedente, diventa
a(2)a(3)…….a(p) =[ b(1)b(2)b(3)……..b(q)]/a(1) dato che il primo membro è un numero naturale, deve esserlo anche il secondo.
Questo implica, per il Teorema(1), che qualche fattore a secondo membro coincide con a(1) e può scriversi
a(2)a(3)…….a(p) = c(1)c(2)c(3)……..c(r) ove r = q-1.
Continuando il procedimento si ottiene l’uguaglianza falsa (ricordare che un numero primo è maggiore di 1 ed ha soltanto due divisori: il numero stesso e l’elemento neutro della divisione)
1 = z(1)z(2)…..z(w) con w = q-p>0.
Se p = q si ottiene l’uguaglianza 1 = 1 dopo avere stabilito che le due scomposizioni coincidono.
In entrambe le eventualità si perviene ad un assurdo, pertanto il teorema è dimostrato.
Non ho mai visto da nessuna parte la dimostrazione precedente, ma sarei uno sciocco se pensassi che sono stato il primo ad ottenerla. Una diversa si trova in “CHE COS’È LA MATEMATICA? pg. 64-65 [1].
Per fare in modo che i giovani mettano in dubbio la validità dell’affermazione “la matematica è arida e astratta” e possano apprezzarne lo spirito che la pervade, propongo di esporre il problema di teoria dei numeri:
“dato il numero naturale m determinare il numero dei numeri primi con m e non superiori ad m”,
un’autentica sfida intellettuale, di questo si trova una succinta esposizione della formula conclusiva, riguardante il caso generale, nel volume che la RBA ha dedicato a C.Gauss [10]. Una volta all’università si studiava al primo anno, poi è sparito non so perchè. Certamente il caso generale non è semplice, però quando m è primo, quando ha un solo divisore primo o due si può trattare in terza media, per poi riservare il caso dei tre e dei quattro divisori al superiore. Meraviglia delle meraviglie, piuttosto raffinato concettualmente, ottimo per saggiare la potenza del pensiero matematico, dal punto di vista tecnico è sufficiente essere bravi soltanto a mettere in evidenza.
Quella dell’Editore è senza dubbio una delle professioni più belle in assoluto.
Mi richiama alla memoria un celebre e indimenticabile film, visto in gioventù, dal titolo Casa Ricordi, frequentata al tempo della massima fama da giovani e da affermati musicisti, non meno anzi deve essere maggiormente interessante, vivere circondati da molti esponenti di espressioni culturali differenti, il poeta, il giurista, lo scienziato, il filosofo, l’economista, lo storico e altro ancora.
Da una parte si richiamano capolavori del passato, dall’altra si lanciano e si diffondono le idee che in qualche modo guideranno il futuro. A questi professionisti rivolgo un appello, fate in modo che le moderne tecnologie non uccidano la carta stampata, non posso descrivere il rimpianto che provo al pensiero che i miei tre articoli migliori, circolano soltanto supportati dalle onde elettromagnetiche.
Tornando al tema iniziale, raccomando che la scelta di accettare per la pubblicazione un libro di testo, non avvenga in base al numero di esercizi proposti, si esamini prima l’esposizione della teoria e se questa è accompagnata passo-passo da esempi convincenti. Successivamente esaminare se la raccolta dei quesiti da risolvere è varia e capace di stimolare l’interesse dei discendi.
Un volume di 618 pagine che ne impiega 267 per trattare la parte teorica, accompagnata da una buona raccolta di esempi, per destinarne ben 351 agli esercizi in generale e meno di venti riservate ai problemi, non lo ritengo equilibrato, valorizza esageratamente le tecniche a scapito delle idee e sono queste ultime che hanno prodotto la nascita e lo sviluppo della tanto maltrattata matematica.
Per chiudere, limito la mia bibliografia al nuovo millennio, non accuso nessuno, ho segnalato soltanto alcuni difetti che i giovani colleghi possono facilmente eliminare.
In matematica si va sempre alla ricerca della perfezione, il mio appello va considerato soltanto uno stimolo a “fare” sempre meglio.
BIBLIOGRAFIA (estesa)
- Courant R – Robbins H.- Che COS’E’ LA MATEMATICA? Ed. Boringhieri, Torino, 1964
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- Zappalà G. – Dall’infinito poetico all’infinito matematico (attraverso il filosofico), ed. Aracne 2016, selezionato dalla giuria del PREMIO ASIMOV 2017
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