Esiste una qualche forma di solidarietà fra gli oggetti della matematica? Se ne parlò vent’anni fa, al concorso a cattedre di matematica.
Era l’11 gennaio di vent’anni fa, il 2000. L’ anno internazionale della matematica. Era il giorno in cui in tutta Italia si svolgeva la prova scritta del concorso a cattedre per l’ambito 8 (matematica e fisica). Poco prima di mezzogiorno, una telefonata alla Struttura Tecnica degli Esami di Stato del MIUR, avvertiva che nelle tracce di matematica doveva esserci un “pesante” errore.
A telefonare, da una delle sedi regionali di svolgimento della prova scritta, un docente della commissione d’esame. Segnalava che il primo quesito del gruppo 2 conteneva quel termine “solidarietà” che doveva essere certamente un errore. Che a segnalarlo, lamentandosene, era lo stesso presidente di commissione: un professore universitario. Solidarietà non è un termine che si usa in matematica. È estraneo al suo vocabolario. Ne era convinto. Quindi doveva trattarsi di una svista, ovvero l’alterazione di qualche altro vocabolo.
In definitiva, il Ministero chiarisse il lapsus.
Non era, infatti, possibile affrontare un quesito che chiedeva ai candidati di spiegare qualcosa che non si capiva cosa fosse: la solidarietà locale- globale stabilita per i polinomi dalla formula di Taylor. Sicuro solidarietà?
In effetti di lì a poco la lamentela cominciò a perdere di peso e cessò del tutto quando si trasmise, a chi l’aveva richiesta, la prova documentale che non si trattava di un errore. Si rese nota cioè, la documentazione comprovante che l’uso di quell’espressione nella letteratura specifica, specialistica e divulgativa, era consolidato da tempo.
L’episodio è da ricordare (anche per quel che avvenne nel successivo concorso).
Lo è sul piano scientifico della comunicazione della matematica, del vocabolario utilizzato e della sua letteratura e lo è per i risvolti della procedura concorsuale non negli aspetti generali quanto nel nucleo delle questioni specifiche e tecniche. Dà l’idea di quanto tutto sia importante. Di quanta accortezza e precisione ci sia bisogno. E quanto sia facile creare dubbi e critiche e contenzioso giuridico. Contenzioso che ha assunto dimensioni paralizzanti. Pare che nessun concorso nazionale si possa fare più senza essere accompagnato da un mare di ricorsi alla magistratura ordinaria e amministrativa.
Forse il concorso del 2000 fu l’ultimo celebrato senza grossi strascichi giudiziari.
Per i concorsi a cattedre in via di espletamento la “storia” dovrebbe essere maestra. I programmi di studio declinano argomenti non sempre chiari e per i quali non c’è una letteratura consolidata né tantomeno una documentazione normativa di riferimento. Questo ad esempio è particolarmente evidente per il tema Didattica della matematica e in particolare, per i nodi concettuali, epistemologici, linguistici e didattici. Ne ha parlato intelligentemente Giuseppe Ariano. In una forma cioè che non esclude che altri possano declinare “nodi” diversi mancando, appunto, riferimenti certi e condivisi. In conclusione, se ne può discutere. Anzi può essere un tema da sviluppare a livello collettivo, esaminarne i significati, valutarne le implicazioni e il valore sul piano della didattica e della sua organizzazione.
In generale, però, sulle questioni non chiare sarà bene non assegnare quesiti.
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