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La storia della DaD e la magia digitale

Fra il  Natale Digitale del Ministero dell’Istruzione e la Natività reale. La storia della DaD e la magia digitale che trasforma in meglio tutto ciò che si digitalizza

La magia digitale

Il Natale nell’emergenza pandemica offre lo spunto per una serie di riflessioni. L’espressione anno scolastico va diventando sempre più un eufemismo. Gli studenti non comprendono che senso possa avere quest’anno un esame conclusivo del corso di studi. Ecco allora il ricorso a una sorta di magia. Digitale è ormai un aggettivo magico. Trasforma in meglio tutto ciò che si digitalizza. Anche il Natale. Infatti il 17 dicembre 2020 il Ministero dell’Istruzione  ha avviato le celebrazioni del Natale Digitale. Tutto online. Progetti didattici e attività laboratoriali in ambiente informatico allieteranno le festività. Ormai i computer sono divenuti amuleti o talismani, anche se mancano. Non più tutto andrà bene, ma tutto va bene. Nonostante la pandemia, anzi proprio grazie ad essa. Forse ci sarà anche la Pasqua Digitale.

Integrare o disintegrare la didattica

Nel momento stesso  in cui si invoca il ritorno alla didattica in presenza, si esalta la didattica digitale, definita per l’occasione integrata dal MI:  Ministero dell’Istruzione. Un tempo MIUR: Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica. Naturalmente è ridotta a sigla anche la didattica digitale integrata: DID, detta anche BOT: Blended and Online Teaching, magari con la modalità BYOD: Bring Your Own Device,  in opposizione  alla semplice  didattica a distanza: DAD. La DID comporta la PUA: Politica d’Uso Accettabile delle TIC: Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione ovvero Technology Information Communications.  La PUA va integrata col DPS, ossia Documento Programmatico sulla Sicurezza.

Eravamo partiti dal POF: Piano dell’Offerta Formativa e siamo arrivati agli IDEI: Interventi Didattici Educativi e Integrativi, alla ECDL: European Computer Driving Licence poi sostituita dalla ICDL: International Computer Driving Licence, al CLIL: Content and Language Integrated Learning, ai PCTO: Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento in sostituzione di ASL: Alternanza Scuola Lavoro, per non  dire del PON: Programma Operativo Nazionale, che si avvale del FSE: Fondo Sociale Europeo, e del FESR: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, e chi più acronimi ha più ne metta, preferibilmente con gli anglismi alla  moda come anche  in politica e nella pubblicità.

Così la didattica, nell’integrarsi, si disintegra. Vengono ignorati i classici della pedagogia, che appaiono come anticaglie nei confronti di una società di ascendenza futurista per la sua idolatria della velocità. Viene vilipesa l’esigenza dell’ordine sottolineata  nella Didattica magna da Comenio, per il quale “il fondamento delle scuole da riformare è un  ordine accurato in tutto”. Da Comenius, Didactica magna, Principato, 1957 stralciamo questo passo nella traduzione di Giuseppe Barone:

“Se consideriamo che cosa sia quello che conserva nel suo essere questo universo con tutte le minime cose, troveremo che nient’altro è se non l’ordine […] L’arte dell’insegnare  pertanto non richiede altro che una ingegnosa disposizione del tempo, degli argomenti e del metodo.”

Come è possibile mettere ordine nella congerie di percorsi evocata?

La didattica liquida

Riecheggiando Zygmunt Bauman, potremmo parlare di didattica liquida, nel senso che si disperde in miriadi di rivoli nel momento stesso in cui cerca di imporla e controllarla il MI, magari con l’INVALSI: Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione, copia del PISA: Programme for International Student Assessment, promosso dall’OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, in inglese  OECD:  Organization for Economic Cooperation and Development. Non è chiaro fino a che punto la realtà della scuola riesca a non restare frastornata da questa congerie di iniziative.

L’offerta formativa mediante la televisione e la rete risulta scollegata dagli statuti disciplinari. Comunque ai Dirigenti scolastici delle Istituzioni scolastiche ed educative e per conoscenza ai Direttori e dirigenti titolari degli Uffici scolastici regionali è stata diramata una Circolare del Ministero dell’Istruzione – Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione avente a oggetto: Misure per la didattica digitale integrata. Articolo 21 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137. Decreto del Ministro dell’Istruzione 2 novembre 2020, n. 155. Intanto Sciltian Gastaldi, intervistato da Antonio Fundarò per Orizzonte Scuola, richiamandosi a un non  meglio identificato Bryan Chapman, giunge a esternare questa preoccupante direttiva:

“Sono necessarie 79 ore di preparazione per creare ogni ora di didattica digitale dignitosa.”

Perché proprio 79 e non 80? Attenderemmo una spiegazione. Comunque,  mentre il docente andrà creando tante ore di “didattica digitale dignitosa”,  verrà meno ogni ragionevole proporzione rispetto al tempo scolastico e al tempo della vita.

Didattica in presenza  e lezione dell’ambiente

In tempi di pandemia la didattica in presenza diventa problematica. La popolazione studentesca ne scopre ora il valore. Dall’infanzia e dall’adolescenza se ne sente il rimpianto. Le cronache riportano episodi di protesta con alunni e alunne che studiano innanzi alle sedi scolastiche. Anche tante famiglie invocano il ritorno a scuola. Invano Ivan Illich esorta a descolarizzare la società. La società tende a scaricare sulla scuola ogni responsabilità, esorcizzando l’influsso dell’ambiente sulla formazione. Invece l’ambiente si configura come comunità educante. L’espressione comunità educante va intesa qui  in un senso diverso da quello che spesso le si attribuisce.

Qui si vuol dire che nell’ambiente, a partire dall’ambiente familiare, sono operanti esempi positivi e negativi. L’intera società è chiamata a dare esempi positivi. È tenuta a darli anche e soprattutto la politica. Né possono esimersi da  questo compito  la stampa quotidiana, i servizi radiotelevisivi, la comunicazione informatica. Se in un paese la devianza delle bande infantili, adolescenziali, giovanili dà origine a raccapriccianti episodi criminosi, non si può dire che la colpa sia della scuola. In presenza non dovrebbe essere soltanto la didattica. In presenza è prima ancora  il Sé in formazione nell’intero contesto del Paese.

Storia della DAD

La DAD – Didattica a Distanza è detta anche FAD – Formazione a distanza. Inizia nell’Ottocento tramite il servizio postale, che consente di attivare corsi per corrispondenza. Come veicolo di istruzione si aggiunge poi la radio. È d’obbligo qui ricordare quella benemerita educatrice che è stata Adelaide Miethle, ideatrice della School of the Air, poetica denominazione della didattica a distanza per i bambini australiani, che altrimenti non avrebbero potuto in alcun modo essere istruiti a causa delle enormi distanze nella vastità del loro continente. Nel Novecento un salto di qualità si ha con la televisione. Fin qui il destinatario non può interloquire con il mittente. Ciò è reso possibile dall’avvento dell’informatica. Il ruolo del discente può  trasformarsi quindi da  passivo in attivo. Il problema è quello di studiare in che modo la sua psicologia è influenzata in  positivo e in negativo nel contesto informatico.

Aspetti della DID

La DID – Didattica Digitale Integrata vuole offrire risorse di tipo informatico da utilizzare in ambiente scolastico e conciliarle con la didattica a distanza, rendendole fruibili negli ambienti domiciliari. A dire il vero, digitale non è la didattica: digitale è l’insieme degli strumenti che  la rendono possibile in ambiente virtuale. Per quanto concerne la fruizione a domicilio da  integrare non in sede scolastica, ma a distanza, non mancano le prescrizioni anche non ministeriali. Ad esempio,  un ente come Randstad Education è in grado di fornire un decalogo a mo’ di manuale di istruzioni.

È importante preparare l’ambiente in cui si tiene la lezione curando la postazione e l’abbigliamento, fornire gli strumenti digitali, dialogare con gli studenti, responsabilizzarli, socializzare  in ambiente virtuale, sperimentare nuove forme di didattica, riportare i contenuti disciplinari all’attualità, valutare le competenze oltre che le conoscenze, stabilire regole di comportamento, apprendere dalla scolaresca remota. Il testo del decalogo, tratto da Il Sole 24 Ore, lo si può trovare su http://www.edscuola.eu. Ma non basta. Come si è accennato, è importante anche chiedersi cosa accada a livello psicologico nel discente ed anche nel docente, svolgendo in proposito apposite ricerche sperimentali. Già in Wladyslaw Sluckin, Mente e macchine. Cibernetica e Psicologia, Editrice Universitaria, 1964 (Minds and Machines, 1954) si poteva leggere:

“Alcuni dei più concreti modelli della cibernetica sono forse destinati a stimolare progetti di indagine nell’ambito della psicologia dell’apprendimento e della psicologia del pensiero. La discussione cibernetica può forse stimolare studi ulteriori sulla percezione e sulla memoria tanto al livello fisiologico che a quello psicologico.”

Oggi le linee di ricerca dell’Istituto per le Tecnologie Didattiche sul sito  http://www.cnr.it contemplano alcune problematiche relative alle comunità virtuali di apprendimento:

“In questo ambito, la ricerca tende a focalizzarsi su alcune tematiche/problematiche fra loro complementari: studio delle fenomenologie e delle dinamiche psico-sociali che si verificano nell’ambito di comunità virtuali di apprendimento; studio delle competenze necessarie per operare agevolmente ed efficacemente nell’ambito di comunità virtuali di apprendimento (si tratta soprattutto di abilità cognitive, meta-cognitive, sociali, nonché di capacità di controllo emotivo e motivazionale più che di competenze tecnologiche vere e proprie).”

Non sembra che la scuola italiana si stia dando molto da fare per colmare un certo ritardo  su queste ricerche.

Fra reale e virtuale

La scuola è chiamata a interrogarsi sul dibattito ancora in corso sul rapporto fra reale e virtuale nell’esperienza dei nativi e degli immigrati digitali. Le prese di posizione degli studiosi in proposito sono contrastanti. A Paul Virilio, che con La bomba informatica non nasconde il suo pessimismo, si contrappone Pierre Lévy, che con Il virtuale  si colloca  su posizioni ottimistiche. Nel segno di un ottimismo che appare esagerato si è andato muovendo anche Marc Prensky, che ha coniato l’espressione Homo Sapiens Digital.  La sua opera From Digital Natives to Digital Wisdom. Hopeful Essays for 21st Century Learning  è stata tradotta in italiano e edita da Erickson nel 2013 col titolo La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale. Lo studioso sostiene che la tecnologia informatica è in grado di renderci non solo più veloci, ma anche più saggi. Il pensiero ne viene potenziato.

Il virtuale integra le abilità preesistenti e rende più facile prendere decisioni ragionevoli. Il progresso digitale viene interiorizzato, diventando così  una componente dell’esistenza. L’Homo Sapiens Neanderthalensis pare destinato ad essere superato in saggezza dall’Homo Sapiens Digital. Su chi gestisce i processi educativi incombe il compito di governare e insegnare a governare questa transizione nei rapporti interpersonali fra reale e virtuale. Così, in sintesi, Marc Prensky. Sorge però il sospetto che andiamo piuttosto pericolosamente verso quello che con un’espressione dello psichiatra Vittorino Andreoli potremmo definire l’Homo Stupidus Stupidus. Perciò andiamo cauti. Non conviene far naufragare nel virtuale l’intelligenza analogica.

Matematica a  distanza

Sul sito internet di Il fatto quotidiano Mauro Sandrini, esperto in formazione e neuroscienze, narra una sua esperienza in qualità di docente nell’articolo del 4 dicembre 2020 La scuola resta scuola, anche a distanza. L’ho capito grazie alla domanda di un mio studente. Domanda: “A cosa serve la matematica?”. È stato tentato di rispondere che “la matematica serve perché è dappertutto”. Si è reso conto però che questa risposta non basta. Stimolato dalla domanda, ha trovato la risposta adatta, cioè “la matematica è prima di tutto un’esperienza collegata all’entusiasmo della scoperta”. Lo stesso entusiasmo di chi agli albori della civiltà  scoprì l’esperienza del contare, “esperienza arcaica” analoga a quella che si riscontra nelle “biografie dei grandi della matematica”. Forse l’entusiasmo, possiamo osservare, non è istantaneo.

Lo studente passa dallo stupore di comprendere all’assimilazione di ciò che si è compreso e alla gioia di essersi realizzato nella comprensione. Sul sito http://www.superprof.it sono presenti in proposito consigli ed esperienze con cui confrontarsi criticamente. A parte ciò, importa soprattutto presentare la matematica non come un insieme di regole cristallizzate, ma come un procedimento creativo caratterizzato da un interno dinamismo. L’entusiasmo della scoperta in ambiente digitale appare meno intenso rispetto alla didattica in presenza. In ogni caso la matematica resta affascinante per motivi  come quelli enunciati da Luciano Floridi, professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, in Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Raffaello Cortina Editore, 2020 (The Logic of Information. A Theory of  Philosophy  as Conceptual Design, Oxford University Press, 2029):

“Persino in matematica siamo abituati a equazioni che hanno più di una soluzione, infinite soluzioni, nessuna soluzione o soluzioni che possono essere solo approssimate.”

Il libro a stampa grande assente

Johann Gutenberg è dispiaciuto. In questa ridda di proposte che si presumono innovative sulla didattica digitale integrata un problema di capitale importanza viene ignorato: pare che la parola libro sia ormai un tabù. Invece il libro a stampa è fondamentale. Lo è come una presenza reale. Di pagina in pagina dialoghiamo in silenzio con la persona dell’autore. Attraverso il testo avviene un intimo incontro interpersonale fra l’io proprio e l’altrui. Possiamo evocare l’esperienza di questo tipo di lettura mediante le parole di Niccolò Machiavelli nella lettera all’amico Francesco Vettori:

“Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.”

Una simile esperienza è impossibile di fronte allo schermo di un computer. Manca la possibilità di raccoglimento e meditazione offerta dalle pagine dei libri. La fruizione dei contenuti in ambiente informatico resta negativamente condizionata. Difendere l’analogico dal digitale, se necessario,  non è da passatisti.

I libri di testo

Per quanto riguarda i libri di testo, il clamore sulla didattica digitale integrata li fa passare sotto silenzio. Eppure una didattica senza libri di testo resta priva di qualcosa di importante. Naturalmente anche i libri di testo possono avere i loro difetti. Negli ultimi tempi tendono a diventare farraginosi e dispersivi insieme,  indulgendo inoltre  al vezzo di assimilarsi alla grafica computerizzata. Non parliamo poi dell’effetto negativo prodotto dalla smania di conformarli ai dettami dei test standardizzati.

Il libro di testo dovrebbe essere uno strumento pregnante ed agile insieme, congegnato in modo da offrire non  soltanto contenuti, ma anche spunti di riflessione sui nuclei concettuali generativi dei contenuti stessi, quindi sugli statuti epistemologici delle discipline.  Chi studia dovrebbe essere così stimolato a ripercorrere i procedimenti mentali che hanno portato a raggiungere certi risultati. Per tutto questo occorre  una concentrazione che può essere favorita per l’appunto dal libro a stampa rispetto alla dispersione propria dell’ambiente digitale.

La didattica breve

Quando il tempo scarseggia, i programmi ne risentono. Come svolgerli senza depauperarli? Sembra impossibile. Eppure Filippo Ciampolini da tempo ha dimostrato che non è così. Sul sito http://www.libreriafilosofica.com l’argomento è trattato da Armando Girotti in Che cos’è la didattica breve? ed è corredato da un’ampia bibliografia e un’ampia sitografia. Si tratta di ottimizzare i tempi di insegnamento-apprendimento:

“Due punti qualificanti escono dalla proposta metodologica, il primo riguarda la concentrazione in un tempo ridotto di ciò che si vuol far apprendere, il secondo la revisione in senso di sfoltimento riorganizzato dei contenuti disciplinari. Sullo sfondo è sempre presente il fruitore della crescita, lo studente, che viene riconsiderato per le difficoltà di approccio con la disciplina; questa attenzione può essere definita come un terzo punto qualificante che pone lo sguardo sulle tecniche utilizzate nell’affrontarne esposizione e studio.”

Non mi risulta purtroppo che l’utilità della didattica breve sia stata tenuta presente in situazioni di emergenza pandemica tali da comportare dispersione delle attività di studio e  depauperamento del tempo scolastico.

Il punto di partenza di qualsiasi didattica

Buon NataleUna mole di prescrizioni che diventano imposizioni non rende onore alla figura del docente. Sembra che chi insegna debba sottostare di necessità   a regole stabilite, per così dire, dall’alto. L’informatica non è un totem. Ben diverso è il punto di partenza,  condizione ineliminabile per l’elaborazione del sapere. Partiamo dalle  conquiste pedagogiche del passato, che  non  vanno messe da parte per soddisfare una pretenziosa ansia di modernismo. Il primo precetto  per ogni docente può essere tenuto a mente come lo enunciò in modo chiaro e semplice nell’Ottocento Francesco De Sanctis:

“Egli dee entrare in comunione intellettuale con la gioventù e farla sua collaboratrice.”

Una comunione intellettuale che trova la sua piena realizzazione nei rapporti interpersonali in presenza.

Auguri digitali

Però, anche se in ambiente virtuale,  a tutti gli amici e a tutte le amiche di Matmedia è bello porgere auguri digitali di serene festività.

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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