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La valutazione spetta ai docenti

La proposta di usare l’Invalsi per la maturità non va bene. La valutazione spetta ai docenti.

Vedere che cosa c’è sotto. Sotto la proposta di usare Invalsi per la maturità. Perché questa diffidenza? Perché la proposta non proviene da uomini di scuola. Proviene dall’ambiente bancario. Da quell’ambiente tenta di invadere cultura e scuola l’Invalsi. Ente che dovrebbe limitarsi a  misurare qualcosa a mo’ di termometro o radiogramma (metafore di misurazione coniate dall’ente stesso). Misurare a campione e non a tappeto. Senza insidiare in modo strisciante l’ambito del valutare.

La valutazione spetta ai docenti.

Valutazione che non riguarda le sole capacità di risolvere test non testati a monte. Capacità spacciate per competenze. Esprimere giudizi è questione che coinvolge non i fantasmi di docenti e studenti. Coinvolge le loro persone. Le loro personalità. Intrufolarsi in ciò compromette la libertà d’insegnamento. Questa viene accusata generalmente di arbitrarietà. Come se non sapessimo che ai diritti rivendicati corrispondono  i doveri da compiere.

L’accusa approfitta di una funzione ispettiva svilita.

Quella che dovrebbe fornire come un tempo gli elementi per distinguere libertà e arbitrio. Per converso si può sospettare che dia fastidio un controllo ispettivo tecnico sul campo. Che sia comodo pontificare dall’alto (se dall’alto si può dire). Noncuranti del territorio, ove la scuola vivente germoglia.

La mentalità economico-finanziaria sposa l’ente che vuol valutare al di fuori del contesto. Sembra che le nozze siano state celebrate da tempo.  Sembra che si voglia festeggiarle prendendo spunto dall’emergenza pandemica. Per ora non si sa se il Ministero dell’Istruzione sia stato invitato. Certamente fra gli invitati non figurano docenti e studenti. Perlomeno docenti e studenti non internati in quello che Stefano D’Errico definisce “Invalsicomio (la scuola-quiz)” in La scuola distrutta. Trent’anni di svalutazione sistematica dell’educazione pubblica e del Paese, Mimesis Edizioni, 2019,

Si è espresso più volte in proposito Lello Voce, poeta. Rammentando tempo fa all’allora Ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, poi dimissionario, una verità. Verità dei poeti e non dei banchieri. Cioè che  agli  studenti “nel mondo, oltre all’economia e al danaro, sarà […] utile anche la sensibilità, la profondità, il coraggio di sognare che la poesia potrà dare loro”. Il Fatto quotidiano  ha il merito di aver ospitato la voce di Lello Voce.

Ci  rammenta da poeta la stessa verità anche Dante.

Inveisce contro la brama di lucro. Lo fa in nome della sua visione etico-religiosa. Inutile celebrarlo coi Dantedì, se non ne ascoltiamo il messaggio. Ciò che rinfaccia alla sua Firenze vale su scala planetaria:

“La gente nuova e i sùbiti guadagni – orgoglio e dismisura han generata”.

La prospettiva dei test  è economicistica. In essi non v’è etica. Invece il legame fra economia ed etica non va reciso.

Contro ogni proposta, una volta valutata, ci può essere una protesta. L’auspicio è che ci sia. Se onoriamo i nostri doveri, possiamo e dobbiamo rivendicare ogni diritto costituzionalmente protetto. Altrimenti lasciamocene pure espropriare. Dimenticheremmo così ciò che vuol  ricordarci un pittoresco detto partenopeo: “È trasuto ‘e sicco e s’è avutato ‘e chiatto” (è entrato di sbieco e si è spaparanzato).

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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