Dante di fronte al mistero della natura femminile. Le donne della Divina Commedia
“Donna, mistero senza fine bello!” (Guido Gozzano)
Quante e quali donne nella Commedia di Dante
Sull’argomento vi sono numerose occorrenze in rete. Fra queste risalta un censimento dovuto a Gioia Guarducci. Lavoro utile per orientarsi fra le presenze di donne nella Commedia.
Rispetto a un totale di più di cinquecento personaggi la presenza delle donne è abbastanza folta. Donne corrotte o caste, peccatrici o sante. Tratte dal mito, dalla storia sacra, dalla cronaca. Nominate singolarmente, sono non molto al di sotto del centinaio. Ben più numerose quelle non nominate. In Inferno, V, versi 67 e seguenti Virgilio indica a Dante “più di mille – ombre”. Fra queste “le donne antiche e’ cavalieri”.
Nel Paradiso predomina la presenza femminile. Ernst Robert Curtius osserva: “Il canone delle figure di beati tratte dall’Antico Testamento […] stupisce per il prevalere delle donne e per l’assenza dei profeti”. Vi è una predilezione di Dante per le donne sante. Privilegio legato al culto di Maria madre di Cristo.
Fra i tanti autori ai quali Dante si ispira sembra giusto ricordare Brunetto Latini. Era stato lui a insegnargli “come l’uom s’eterna”. Nel Tesoretto il suo maestro. ai versi 216 e seguenti ritrae la Natura. La personifica come divina operatrice del creato. Sarà stato uno degli spunti per ritrarre Beatrice. Come prosopopea non della natura, ma della teologia.
Influssi delle trovatrici di Dio su Dante
L’esperienza mistica femminile nel Medioevo è stata a lungo trascurata. Nel solco del teologo Hans Urs von Balthasar la mettono in rilievo Georgette Epiney-Burgard ed Emilie Zum Brum. Non è da escludere che Dante l’abbia tenuta presente.
Ildegarda di Bingen in una visione mistica è abbagliata dal dogma trinitario. Ella scrive: “Vidi una luce fulgidissima e, in quella luce, una forma umana di color zaffiro, scintillante in un fuoco che ardeva soavissimo. E quella luce fulgida si spandeva tutta nel fuoco risplendente, così come il fuoco risplendente si spandeva nella luce fulgida; e luce e fuoco si spandevano in tutta la forma umana, creando una sola luce di un’unica forza e potenza”. Quella “forma umana” è Cristo. Figlio in “una sola luce” col Padre e con lo Spirito Santo.
Si confronti il passo di Ildegarda con Paradiso, XXXIII, versi 115-120: “Nella profonda e chiara sussistenza – de l’alto lume parvermi tre giri – di tre colori e d’una contenenza – e l’un da l’altro come iri da iri – parea reflesso, e ‘l terzo parea foco – che quinci e quindi igualmente si spiri”.
Analoga tensione spirituale è in La luce fluente della divinità di Matilde di Magdeburgo. Così anche in Le sette maniere di amare di Beatrice di Nazaret. Il più potente influsso è quello di Margherita Parete. Autrice dello Specchio delle anime semplici annientate. L’opera fu arsa sul rogo. Nel 1310 fu arsa sul rogo ella stessa. La tematica della poetessa è il non volere. L’annientarsi della volontà in Dio. Si veda a riscontro Piccarda i modi Donati in Paradiso, III, verso 85: “E ‘n la sua volontade è nostra pace”.
La donna nelle tradizioni classica e cristiana e oltre
Eva Cantarella, Docente di Diritto romano e Diritto greco all’Università di Milano e Global Visiting Professor alla New York University Law School, definisce la donna “ambiguo malanno” per Greci e Romani. Lo era stata ancor prima nel mito.
Nell’antichità classica la donna era giuridicamente inferiore. Presso i Greci fu detta mas occasionatus da Aristotele. Presso i Romani una scioccante rassegna di donne depravate è nella sesta satira di Giovenale. Poeta nominato nel Purgatorio.
Oggetto di polemiche è l’antica concezione cristiana della donna. Ci si richiama allora al libro della Genesi. Ivi si legge che la donna deve restare sottomessa al marito. Altri autori insistono sul decoro femminile. Tertulliano, ad esempio. Scrive De cultu feminarum, De habitu muliebri, De exhortatione castitatis, De pudicitia. In un’opera riprende il passo biblico citato da Paolo di Tarso e altri. Non sa la donna di essere la nuova Eva? (“In doloribus et anxietatibus paris, mulier, et ad uirum tuum conuersio tua et ille dominatur tui: et Euam te esse nescis?”). La donna è la porta del diavolo. Eva tentò l’uomo. Lo persuase a peccare. Nemmeno il diavolo vi era riuscito da solo. Fu lei a introdurre la morte nel creato. Provocò la morte anche del figlio di Dio (“Tu es diaboli ianua […] tu es quae eum suasisti, quem diabolus aggredi non ualuit […] propter tuum meritum, id est mortem, etiam filius Dei mori habuit […]”). Tuttavia Dante colloca Eva in paradiso. Come progenitrice del genere umano.
Oggi i teologi esortano a collocare i passi controversi nel contesto storico. È il caso, ad esempio, di Don Filippo Belli. Interpreta il testo biblico e i testi cristiani sulla donna partendo dalla creazione. Voluta da Dio quale compagna dell’uomo, la donna è stata creata con pari dignità. Lo si desumerebbe dalla Summa theologiae di Tommaso d’Aquino. Affrontata la questione, questi giunge a concludere: ““Rispetto […] alla natura nella sua universalità, la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto in ordine alla generazione”. Si desume il superamento della concezione aristotelica della donna mas occasionatus. Resta il fatto che la donna viene rivalutata soltanto “in ordine alla generazione”.
La nuova concezione dantesca della donna era legata a due precedenti. Laico e cristiano. Alla tradizione dell’amor cortese. E al dogma di Maria Θεοτόκος, madre di Dio. Alla luce di questo dogma l’amor cortese viene superato. Sublimato in amore divino.
In età moderna con Karl Marx si avrà una rivalutazione della natura femminile. Anche per questo la Chiesa cattolica oggi ha superato i pregiudizi medievali. A Giovanni Paolo II si deve infatti la Lettera apostolica Mulieris dignitatem.
La prima apparizione di Beatrice che ama Dante dal cielo
Nella Commedia la prima donna ad essere nominata è Beatrice. Siamo in Inferno, II. Virgilio deve superare la “viltà” di Dante, che esita a seguirlo nel viaggio ultraterreno. Perciò gli narra l’intervento di Beatrice “beata e bella” (verso 53). “Lucevan li occhi suoi più che la stella” (verso 55). La sua è una “angelica voce” (verso 57). Per salvare Dante, la Vergine Maria si è rivolta a Lucia. Lucia ha sollecitato Beatrice. Beatrice si è rivolta a Virgilio. Dopo aver pregato Virgilio di dare aiuto a Dante, “li occhi lucenti lacrimando volse” (verso 116). È un tratto di umanità in questa figura femminile. Lucia le aveva ricordato il grande amore di Dante per lei. Amore spirituale. Virgilio esorta Dante ad avere “ardire e franchezza”, dal momento che tre donne benedette hanno cura di lui in cielo (versi 121-126).
Donne peccaminose punite in eterno nell’Inferno
Dante non ha inventato l’inferno. L’inferno ha una sua storia, che Georges Minois ha ben documentato. L’inferno dantesco ha una sua peculiarità. Le donne dannate hanno particolare risalto.
Iniziato il viaggio, incontriamo figure femminili disgustose nella loro abiezione. Furie, maghe, indovine dell’antichità, donne dell’epoca, tutte scurrilmente depravate. Esempi di nauseante lordura.
In Inferno, V, versi 52 e seguenti, Virgilio nomina come esempi di lussuria punita Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena.
In Inferno, XVIII, Dante descrive Malebolge. Vi sono puniti ruffiani e seduttori. Nei versi 127-135 Virgilio lo esorta a guardare una “sozza ed scapigliata fante – che là si graffia con l’unghie merdose”. È Taide, “la puttana” che adulò il suo amante. Destinata a restare “puttana” in eterno.
In Inferno, XX, sono puniti gli indovini. Nei versi 121-123 Virgilio si rivolge a Dante: “Vedi le triste che lasciaron l’ago – la spola e ‘l fuso e fecersi indovine, – fecer malie con erbe e con imago”.
La figura di Francesca fra il fascino romantica e la lettura dottrinale
Un personaggio femminile è presente nella memoria forse più di Beatrice. Francesca. Risalta per una gentilezza d’animo macchiata da un amore colpevole. In Inferno, V, sono puniti i lussuriosi. All’episodio di Francesca e Paolo sono dedicati i versi 73-138. Più della metà del canto. A lungo la vicenda è apparsa romantica..
Ma quell’amore è un peccato di lussuria. Di fronte ad esso Dante non giustifica. In quel secondo cerchio “enno dannati i peccator carnali – che la ragion sommettono al talento” (versi 38-39). Tali sono Francesca e Paolo. Travolti dalla passione nel tempo, sono travolti dal vento in eterno. Sono “anime affannate” (verso 80) per non aver controllato con la ragione il desiderio carnale. L’ “affettuoso grido” di Dante (verso 87) è il grido di chi ha intrapreso un viaggio di redenzione. “Affettuoso” indica l’intensità di un desiderio di conoscenza. Dante inizia a distaccarsi dall’insidia del peccato insita nell’amore. La sua “pietà” (verso 93) è commiserazione che investe insieme con Paolo e Francesca lui stesso.
La lettura romantica è suggestionata dall’anafora di “amor” (versi 100-108). E dal legame amore-morte. Parole che differiscono per una sola lettera. Parole concatenate che risuonano l’una nell’altra. Ma è un amore che sfocia nella lussuria. Dante resta meditabondo. L’amor gentile può condurre al “doloroso passo” della dannazione eterna (versi 112-114). Perciò si dice “tristo e pio” per la sofferenza di Francesca. Perciò le chiede come l’amore suo e di Paolo si manifestò (versi 115-120). Tutto avvenne durante la lettura di un romanzo sugli amori di Lancillotto e Ginevra, favoriti da Galeotto. Galeotto per lei e Paolo fu il libro. Dante così condanna una letteratura che può indurre al peccato. La “pietade” (verso 140) che lo fa venir meno va intesa in senso cristiano. Lo si comprende meglio alla luce dell’inizio del canto successivo (Inferno, VI, 1-3). La “pietà” è “misericordia” cristiana. “Pietà” che riempie di “trestizia”. Per “trestizia” non è da intendere “tristezza”, ma “contrizione”.
Vittorio Russo ci ricorda che già il Boccaccio definì i due amanti esempi di lussuria condannata. Come tali Dante li vide nel solco della teologia di Tommaso d’Aquino.
Donne in attesa di beatitudine nell’espiare le loro colpe in Purgatorio
Sulla nascita di una zona intermedia fra l’inferno e il paradiso si è pronunciato Jacques Le Goff. Secondo lui il Purgatorio sarebbe stato inventato dalla Chiesa fra il XII e il XIII secolo. Per dare impulso alla vendita delle indulgenze. Tesi che è stata contestata. Il Purgatorio sarebbe nato in epoca anteriore. In ogni caso il Purgatorio consente a Dante di evitare un brusco salto dalla dannazione alla beatitudine. Ciò non gli impedisce però di creare uno stridente contrasto fra il ricordo di donne corrotte e l’esempio di virtù femminili.
In Purgatorio, VIII, nella zona dell’ Antipurgatorio, ove sono puniti i negligenti, ai versi 73-78 Corrado Malaspina ricorda la moglie sua, che non lo ama più. Non donna, costei, ma “femmina”, incostante, volubile, bramosa soltanto di sesso: “Per lei assai di lieve si comprende – quanto in femmina foco d’amor dura – se l’occhio o ‘l tatto spesso non l’accende”.
In Purgatorio, XIX, versi 1-33, ove si purifica l’avarizia, Dante sogna “una femmina balba, – negli occhi guercia, e sovra i piè distorta, – con le man monche, e di colore scialba”. Nel sogno l’apparizione gli si trasforma in una Sirena lusingatrice. Colei si vanta di sedurre i marinai in mezzo al mare e di aver attratto a sé anche Ulisse. Sopraggiunge una donna ardente di santa ira. Virgilio tiene gli occhi fissi in lei e nel contempo agisce: “L’altra prendea, e dinanzi l’apria – fendendo i drappi, e mostravami ‘l ventre; – quel mi svegliò col puzzo che n’uscia”.
In Purgatorio, XXIII, fra i golosi. nei versi 91-111 Forese Donati ricorda la sua “vedovella”, raro esempio di donna dedita a “bene operare”. A differenza delle impudiche femmine di Sardegna. A differenza delle “sfacciate donne fiorentine”, alle quali dal pulpito sarà “interdetto […] l’andar mostrando con le poppe il petto”. Nemmeno barbare o saracene ebbero mai bisogno di ammonimenti per coprirsi in pubblico. Ben presto però esse urleranno a tutta gola per il castigo divino.
In Purgatorio, XXVI, dove si purificano i lussuriosi, nei versi 37-41 le anime, incrociandosi, si sovrastano con grida a gara. Gridano esempi estremi di lussuria, quella sì degna dell’inferno. “Soddoma e Gomorra”, le une. E le altre: “Ne la vacca entra Pasife, – perché ‘l torello a sua lussuria corra”. È questo il massimo esempio di depravazione femminile. Pasife è “colei – che s’imbestiò ne le mbestiate schegge”. Da quell’unione, come si ricorda in Inferno, XII, versi 11-15, nacque il Minotauro, concepito “nella falsa vacca”.
La sublimazione della femminilità nel tripudio di luce del Paradiso
Inutile dire che il Paradiso cristiano è un luogo spirituale di ritorno all’Eden. Dio accoglie in sé le anime in ragione dei loro meriti. Diversi sono i gradi di beatitudine.
Fra le donne quasi beate resta memorabile Piccarda Donati. Paradiso, canto III, versi 1-130. Siamo nel Cielo della Luna. Dante cade nell’errore contrario a quello di Narciso. Narciso scambiò per una persona reale un’immagine riflessa. Era la sua stessa immagine. Dante scambia per immagini riflesse “vere sustanze”. Sono le anime beate che vennero meno ai voti monacali. Costrette con la forza da uomini malvagi. Nel loro intimo restarono però fedeli alla loro vocazione. Godono di un minor grado di beatitudine. Non aspirano però a un maggior grado. Le allieta la perfetta corrispondenza fra ricompensa e merito. Cessata la costrizione, avrebbero potuto tornare nel chiostro e non lo fecero.
Fra le “più facce a parlar pronte” Dante si rivolge a quella “più vaga – di ragionar”. È Piccarda Donati, che risponde “pronta e con occhi ridenti”. È animata da cristiana carità. Un’ardente letizia la infiamma con le altre anime. È per la bellezza dello Spirito Santo al cui ordine si conformano. Alle domande di Dante risponde sorridendo. In lei si raffigura l’innamoramento: “da indi mi rispuose tanto lieta – ch’arder parea d’amor nel primo foco”. L’episodio si svolge fra brucianti splendori. Siamo in una vertigine di “verace luce”, “occhi ridenti”, “affetti … infiammati”, “splendor che s’accende di tutto il lume” di quel cielo, “arder … d’amor”. La parola “amor” nel suo ricorrere rivela la distanza siderale dallo “amor” nominato nell’Inferno.
Questo è il Paradiso. Tripudio di luce e di ardore. L’episodio di Piccarda si svolge fra le immagini di Beatrice all’inizio e alla fine del canto. “Quel sol che pria d’amor mi scaldò il petto” all’inizio è Beatrice. Dante allora fissa il suo sguardo nel “lume de la dolce guida – che, sorridendo, ardea ne li occhi santi”. Ed è con lei che il canto si chiude: “ma quella folgorò nel mïo sguardo – sì che da prima il viso non sofferse”.
Andando avanti di canto in canto, Beatrice diviene sempre più luminosa. Finirà con lo svanire veloce come la luce. Paradiso, XXXI, versi 59-60: “credea veder Beatrice, e vidi un sene – vestito con le genti glorïose”. È San Bernardo. Nei versi 64-93 Dante chiede ove sia Beatrice. Bernardo gliela indica. È “nel terzo giro – dal sommo grado”. Al di sopra di lei solo la Vergine Maria (primo grado) e Lucia con Rachele (secondo grado). “Tu m’hai da servo tratto a libertate”, le dice Dante. E lei, lontana come dalla profondità degli abissi marini all’atmosfera ove si formano i tuoni, gli sorride: “e quella, sì lontana – come parea, sorrise e riguardommi”. Poi la donna angelo rivolge di nuovo il suo sguardo in Dio.
Suprema donna divina è la Vergine Maria. Pregata da San Bernardo, intercede presso Dio, perché conceda a Dante di vederlo. E Dante, ardente di desiderio, incoraggiato da Bernardo, se ce ne fosse stato bisogno, congiunge il suo guardo con Dio.
E la sorte di Eva? Eva è in Paradiso. Così anche Adamo. La morte di Cristo li ha riscattati dal peccato originale.
Beatrice come angelo in senso etimologico
Dante innova in senso decisivo la concezione della donna. Altrimenti non avrebbe potuto andare oltre l’Inferno. Ripensa la tradizione trobadorica e dell’amor cortese alla luce della fede cristiana. Introduce la donna angelo. Angelo non nel senso odierno. In senso etimologico. Colei che annuncia la salvezza. La Beatrice della Vita nuova prelude alla Beatrice angelo divino. Angelo che annunzia Cristo. Nel sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare il verbo “parere” non significa “sembra”, ma “si manifesta”, “è realmente”. Così anche più avanti. Nei versi “e par che sia una cosa venuta – di cielo in terra a miracol mostrare”. E nei versi “E par che della sua labbia si muova – uno spirto soave e pien d’amore”. Beatrice è davvero venuta dal cielo per mostrare un “miracolo”. Parola il cui senso rinvia alla trascendenza divina. Parola che induce alla contemplazione della bellezza spirituale. Per Dante il fascino di Beatrice è seduzione mistica. In Paradiso, XVIII, verso 3, Dante definisce Beatrice “quella che ‘mparadisa la mia mente”.
Prendiamo spunto da Umberto Eco. L’amore per Beatrice nel Paradiso si rivela “poesia dell’intelligenza”. Nasce di qui la “passione per la luce”. Passione che proviene dalla Bibbia e dai Padri della Chiesa. Passione che caratterizzava l’intero Medioevo. Eppure questa “poetica delle luce” proietta Dante e Beatrice nel futuro. È un altro aspetto della sempre risorgente contemporaneità di Dante. Nella luce del Paradiso, scrive il futurista Filippo Tommaso Marinetti, sono insiti “valori di velocità e simultaneità”. Viene in mente il Dante dadaista di Osip Mandelstam: “Sono proprie della poesia di Dante tutte le forme di energia note alla scienza moderna. L’unità di luce, suono e materia costituisce la sua natura intrinseca”. Dante per Horia-Roman Patapievici è un “tipo intellettuale visivo”, dotato di una “eccezionale capacità visiva”. Al punto che ha visto Dio nella donna.
La Beatrice dantesca e la Beatrice dell’Inquisizione
Un saggio di Vittorio Russo dimostra come l’Inquisizione non tollerasse la Beatrice di Dante. S’intitola Beatrice beatitudinis non artifex nella Princeps (1576) della Vita nuova.
La Beatrice di Dante nel clima della Controriforma era invisa. Lo si desume dalla editio princeps citata da Vittorio Russo. Curata da Niccolò Carducci per il testo e dall’Inquisitore generale Francesco da Pisa per la revisione. Revisione che era in realtà censura ecclesiastica. Dava fastidio Beatrice come angelo divino e figura di Cristo. Per Dante era beatitudinis artifex. Bisognava presentarla invece come beatitudinis non artifex. L’amore di Dante per lei doveva essere inteso come amore terreno. Una donna non meritava di assurgere a simbolo religioso.
Perciò, ad esempio, la parola “beatitudine” veniva sostituita da “felicità”. Invece Dante per il significato di beatitudo si rifaceva a Tommaso d’Aquino. Questi nella Summa theologiae mostrava qual era la suprema beatitudo. L’unione dell’anima umana con Dio. Proprio la censura dell’Inquisizione ci fa capire il vero significato della Vita nuova. Aver sostituito “felicità” a “beatitudine” spinge a riflettere sul valore semantico di beatitudo. È un valore tipicamente cristiano. Valore che sarà misconosciuto nel corso della storia.
La dissacrazione della figura femminile ad opera dei poètes maudits
L’Inquisizione segnò un regresso rispetto all’esaltazione dantesca della virtù femminile. Riaprì la strada alla concezione della donna come diaboli ianua. Lo si sarebbe visto nei poeti maledetti francesi.
Nell’Hymne à la beauté di Charles Baudelaire è indifferente che la Bellezza provenga dal cielo o dall’abisso, che il suo sguardo sia infernale o divino, che mescoli il bene e il delitto: “Viens-tu du ciel profond ou sors-tu de l’abime – o beauté? Ton regard, infernal et divin, – verse confusément le bienfait et le crime […]”. Non importa se sia di Satana o di Dio, se sia Angelo o Sirena: “De Satan ou de Dieu, qu’importe ? – Ange ou Sirène – qu’importe […] ?
Si potrà obiettare che il poeta inneggia alla bellezza dell’arte e non della donna. Ma si veda il sonetto La Beauté. Qui Baudelaire dà la parola alla donna. Rivolgendosi “ai mortali”, la figura femminile si definisce “”bella […] come un sogno pietrificato”. È lei che ispira al poeta “un amore – silenzioso ed eterno come la materia”. Si definisce “sfinge incompresa” che attrae gli amanti con i suoi “occhi luminosi d’eterno”. Ecco il sonetto:
Je suis belle, ô mortels! comme un rêve de pierre,
Et mon sein, où chacun s’est meurtri tour à tour,
Est fait pour inspirer au poète un amour
Eternel et muet ainsi que la matière.
Je trône dans l’azur comme un sphinx incompris;
J’unis un coeur de neige à la blancheur des cygnes;
Je hais le mouvement qui déplace les lignes,
Et jamais je ne pleure et jamais je ne ris.
Les poètes, devant mes grandes attitudes,
Que j’ai l’air d’emprunter aux plus fiers monuments,
Consumeront leurs jours en d’austères études;
Car j’ai, pour fasciner ces dociles amants,
De purs miroirs qui font toutes choses plus belles:
Mes yeux, mes larges yeux aux clartés éternelles!
Appare evidente che il “poeta maledetto” tenta di demolire la costruzione dantesca. E che per la sua opera di distruzione nega la bellezza spirituale. L’eternità di Baudelaire è l’eternità della materia. La distanza dalla Beatrice spirituale in eterno di Dante è infinita.
L’indizio decisivo è nell’ottavo verso del sonetto.La sfinge baudelairiana non piange e non ride mai. La Beatrice di Dante piange (Inferno, II, verso 116) e sorride (Paradiso, XXXI, verso 92). La sfinge è indecifrabile. Beatrice è la verità rivelata.
Come ha notato Erich Auerbach, Baudelaire non cerca la Grazia, ma il Nulla: “Per ogni interpretazione cristiana della vita, la salvezza per mezzo dell’Incarnazione e della Passione di Cristo è il perno della storia del mondo e la fonte di ogni speranza. Nelle Fleurs du mal non vi è posto per Cristo; l’unica volta che compare […] egli viene contrapposto a Dio”.
Eppure, nonostante l’Inquisizione, nonostante i poètes maudits, Beatrice rimane intenta a sorridere a Dante e a contemplare Dio. Baudelaire ha rinunciato a sondare il mistero della donna. Dante continua a darci un esempio di ricerca e scoperta della spiritualità femminile.
Riferimenti
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- Erich Auerbach, Studi su Dante, Feltrinelli, 1963
- Erich Auerbach, “Les Fleurs du Mal” e il sublime, in Charles Baudelaire, I fiori del male, 1964
- Salvatore Battaglia, Linguaggio reale e linguaggio figurato nella “Divina Commedia”, in Esemplarità e antagonismo nel pensiero di Dante, Liguori, 1965
- Gian Gabriele Benedetti – Don Filippo Belli, Risponde il teologo. Perché San Paolo scrive che la donna deve essere “in piena sottomissione”?, su toscanaoggi.it
- La Sacra Bibbia, Edizioni Paoline, 1972
- Gisela Bock, Le donne nella storia europea. Dal Medioevo ai nostri giorni, Laterza, 2001
- Eva Cantarella, L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana, Feltrinelli, 2010
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- Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio evo latino, La Nuova Italia, 1992
- Matteo D’Ambrosio, Le “Commemorazioni in avanti”. Marinetti. Futurismo e critica letteraria, Liguori Editore, 1999
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- Georgette Epiney-Burgard-Emilie Zum Brum, Le poetesse di Dio. L’esperienza mistica femminile nel Medioevo, Mursia, 1994
- Paolo Ercolani, Contro le donne. Storia e critica del più antico pregiudizio, Marsilio, 2016
- Giovanni Fighera, Davvero il Purgatorio è un’invenzione medioevale? su tempi.it
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- Gioia Guarducci, Le donne nella storia letteraria italiana, su accademia-alfieri.it (L’alfiere, rivista letteraria della “Accademia V. Alfieri” di Firenze)
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- Daniel Poirion, Symbole et conjointure du roman: Chrétien de Troyes, in Résurgences. Mythe et littérature à l’âge du symbole, XIIe siècle, Paris, Presses universitaries de France, 1986
- Vittorio Russo, Tristitia e misericordia nel canto V dell’Inferno, in Sussidi di esegesi dantesca, Liguori, 1966
- Vittorio Russo, Saggi di filologia dantesca, Bibliopolis, 2000
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- Tertulliano, testi dal sito thelatinlibrary.com
- Wijngaards Institute for Catholic Research, Le donne erano considerate Creature Inferiori su womenpriests.org
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