Leggere e scrivere il web. Non si riflette abbastanza su ciò che significa leggere e scrivere il web.
Come fra concorrenti in campo sportivo, fra i siti web c’è competizione. Si compete per il ranking, che corrisponde allo score. Possiamo intendere il ranking come classifica, graduatoria, posizionamento, punteggio. C’è analogia con gli indici di gradimento in ogni altro campo. Quelli relativi, ad esempio, ai voti e giudizi scolastici o ai festival di canzoni. Del resto nella vita quotidiana ognuno ha i suoi ordini di preferenza.
Si cerca di regolare la gara informatica col SEO – acronimo di Search Engine Optimization.
Per ottimizzare un sito, occorre tener presente una quantità di fattori. Uno di questi è la leggibilità di un testo. L’indice di leggibilità si riferisce alla leggibilità da ritenere ottimale. Sui modi di attivarlo e governarlo esistono diverse scuole. Scuole che variano a seconda degli scopi di questo o quel sito.
La scrittura aziendale mira ovviamente all’utile.
Il coinvolgimento aziendalistico tende ad accattivarsi l’utente visto come consumatore. La regola fondamentale è la massima semplicità di espressione in ossequio al KISS. No, non è il bacio, o, se lo è, può essere il bacio di Giuda: KISS è l’acronimo di Keep It Simple for the Stupid. Il consumatore viene visto e trattato come una sorta di allocco.
Usability testing è la tecnica che consente di sondare le inclinazioni del pubblico, per fidelizzarlo.
Allo scopo si cerca di conciliare la rapidità di consultazione con la persistenza della memorizzazione. Gli indici di leggibilità sono condizionati fortemente da questi due fattori. Esiste una varietà di siffatti indici. I problemi sorgono quando ci si sposta dall’ambito commerciale a quello culturale.
Per la lingua italiana esiste l’Indice Gulpease, detto così dal GULP – acronimo del Gruppo Universitario Linguistico Pedagogico, coordinato a suo tempo da Tullio De Mauro, operante presso il Seminario di Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. L’Indice Gulpease è il risultato di una formula che tiene conto del numero di lettere di ciascuna parola, del numero delle parole e del numero delle frasi. La lettura dovrebbe esserne agevolata. Per la lingua inglese esiste il Fre Index. Fre è l’acronimo di Flesch Reading Ease. Trae il nome da Rudolf Flesch, che lo elaborò insieme con J. Peter Kinkaid, per calcolare la facilità di lettura. Nella formula per il calcolo di questo indice i parametri considerati sono il numero di sillabe per parola e il numero di parole per frase.
Gli indici citati sono fra i più noti, ma non gli unici.
Comunque tutti gli indici del genere finora elaborati sono criticabili per una serie di motivi. A partire dal fatto che si riducono a semplici calcoli numerici, senza tener conto di quel fattore fondamentale che è la semantica. Questo fattore investe la parola come nucleo essenziale della frase. Consideriamo i versi di Giuseppe Ungaretti “M’illumino – d’immenso”. Confrontiamoli con un slogan come “Pannolini bellini” (per intero potrebbe essere completato, che so, da “per i culetti dei vostri bambini – paffuti, rosei e carini”, ma la possibile espansione ora non ci interessa). I versi di Ungaretti contano sette sillabe e diciassette lettere. Lo slogan conta sette sillabe e sedici lettere. Uguale il numero di sillabe. Solo una lettera in meno per lo slogan. Chi potrebbe sostenere che a parità di numero di sillabe e a quasi parità di numero di lettere la semantica dei verso equivalga a quella dello slogan?
Nella frase seguente uso il termine comunicazione.
Occorre ripensare la teoria della comunicazione in ambiente virtuale. Comunicazione conta tredici lettere e sei sillabe. Potrei abbreviare, ristrutturando. Si perderebbe però qualcosa nell’andamento del discorso. Gli indici di leggibilità non bastano. Soprattutto quando si affrontano problematiche culturali di alto specialismo.
L’ICT – Information Communication Technology e l’ HCI – Human Computer Interaction spingono a ricordare due classiche teorie.
Teoria degli assi del linguaggio dovuta a Ferdinand de Saussure e perfezionata da Louis Hjelmslev: il linguaggio comporta operazioni di scelta delle parole sull’asse paradigmatico e di combinazione delle parole sull’asse sintagmatico. Teoria dei fattori e delle funzioni della comunicazione di Roman Jakobson: ai fattori mittente, contesto, messaggio, contatto, codice, destinatario corrispondono rispettivamente le funzioni emotiva, referenziale, poetica, fàtica, metalinguistica, conativa. In ambiente virtuale le due teorie assumono caratteristiche in parte diverse rispetto ad altri contesti. Semplificando, a noi interessa l’interazione tra mittente e destinatario mediata dalla tecnologia informatica. Mittente dedito alla scrittura e destinatario impegnato nella lettura.
Il breviario dello scrittore per il web preoccupato della leggibilità contempla una serie di precetti.
Esporre l’essenziale all’inizio. Usare parole brevi. Esprimere un concetto per frase. Evitare un’eccessiva lunghezza dei capitoli. Preferire lo stile nominale. A ciò si aggiunge il suggestivo richiamo degli effetti grafici. E così via.
Ci si ricollega in qualche modo al classico contrasto fra asianesimo e atticismo, stile ampolloso e stile essenziale, Demostene e Lisia. Ciò che cambia radicalmente è la situazione. Ora l’ἀγορά è il web. Gli argomenti non si inquadrano agevolmente nei generi deliberativo, giudiziario, epidittico. Si assume che dal lettore provenga la richiesta enunciata da Steve Krug: Don’t make me think. È il titolo di un suo manuale sul come scrivere per il web. È bene riflettere su ciò che egli scrive a proposito del fattore tempo: “If something requires a large investment of time — or looks like it will — it’s less likely to be used”. Il lettore non ama ciò che richiede molto tempo o anche soltanto sembra richiederlo.
Chi scrive per il web sarebbe tenuto dunque ad assecondare la mancanza di riflessione del lettore.
Mettiamoci dalla parte dei lettori di un sito culturale.
Per loro il problema delle leggibilità si configura in forme peculiari. Dico per loro, ma potrei dire per voi, dato che questo è un sito culturale. Chiedere a un sito culturale un risparmio di tempo è legittimo. Questo risparmio però non dovrebbe andare a scapito della riflessione. Una riflessione alla quale non sfugga il valore delle parole. Ciò vale per la terminologia specialistica. Ma vale anche per la parola in genere.
A questo proposito mi sembra opportuno ricordare quanto scrive Luisa Carrada su blog.mestierediscrivere.com nel paragrafo Per salvare le parole, (audacemente) usarle: “L’allarme sui pericoli di attingere a un vocabolario sempre più ristretto è fondato. L’anno scorso una metà abbondante di italiani non ha aperto nemmeno un libro e a leggere i giornali è ormai solo un’élite. Con poche parole si sopravvive, certo, si vivacchia, ma non si vive una vita ricca e piena perché non riusciamo ad allineare l’espressione alle intenzioni, a concepire pensieri alti e ad articolare ragionamenti convincenti, quindi a comunicare e raggiungere ciò che desideriamo”. Ricordiamo anche Luisa Carrada, Paroline & paroloni. Attingere a piene mani al tesoro del vocabolario, Zanichelli, 2018.
La sovrabbondanza di informazioni presenti sul web pone certamente il problema del risparmio di tempo.
Navigare in rete e non naufragarvi è la meta da raggiungere.
Come di consueto, la scuola italiana non adotta le dovute misure. Da tempo ci si gingilla coi dati Invalsi, senza che da questi provenga alcun beneficio, per non dire dei danni che essi arrecano. Ora si annuncia l’intenzione di introdurre il pensiero computazionale nella scuola elementare. Sull’educazione (non istruzione) informatica siamo in ritardo di parecchi decenni. A partire dagli anni Settanta del Novecento.
Non si riflette su ciò che significa leggere e scrivere il web.
Soprattutto leggerlo. Educare alla lettura critica del web: questo il tempo da riempire utilmente. Invece di istupidire i bambini col coding. Si vorrebbe farli tutti programmatori informatici. Chissà se avremo mai un ministero dell’istruzione che si preoccupi di formare cittadini.
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