HomeMatematica e Società

Leopardi e il teorema del sorriso

Leopardi e Minsky insegnano a valorizzare il sorriso. Saranno i robot a ereditare la terra ma, come gli uccelli, non sapranno sorridere. Il teorema del sorriso.

La Gioconda di Leonardo

Un’Accademia dei Sillografi non c’è mai stata. È Giacomo Leopardi che la inventa per satireggiare umoristicamente sul suo tempo del quale parla come età delle macchine e secolo fortunato. La immagina che istituisce un bando di concorso per il conferimento di tre premi destinati agli inventori di tre macchine. Tre automata, come si diceva allora. Oggi, tre robot. Il primo disposto a fare le parti di un amico sincero e disinteressato, il secondo quelle di un uomo atto a compiere opere virtuose e magnanime, e il terzo gli uffici di una donna fedele.

Le ragioni che hanno indotto l’Accademia a tale bando di concorso pubblico poggiano sostanzialmente su due considerazioni.

La prima è che le macchine non tarderanno ad occuparsi, oltre che di cose materiali, anche di cose umane e spirituali. È probabile cioè che in un futuro non lontano  «si abbiano a ritrovare, per modo di esempio, non solo parafulmini ma qualche parainvidia, qualche paracalunnie o paraperfidia o parafrodi, o altre macchine che ci scampino dal soffrire del predominio dell’egoismo e della mediocrità degli umani». L’altra ragione, che è poi la principale, è che le macchine lasciano intravedere la possibilità di curare «i difetti del genere umano».

Ecco allora i tre premi individuati per tre macchine che possano riuscire allo scopo di sostituire uomini e donne, in modo da superarne non tanto i limiti materiali, quanto migliorarne le qualità etiche e morali.

La proposta dell’Accademia è una delle Operette morali che più sembra sollecitare oggi una sua rilettura, tanto chiaramente richiama ciò che quotidianamente siamo portati a leggere, a vivere e a riflettere in modo non più scherzoso di macchine parainvidia o paracalunnie, ma realisticamente di macchine capaci di “pensare” e di “sentire”.

Il film del 1980 Io e Caterina con il grande Alberto Sordi era ancora un film satirico divertente come i robot pensati dai Sillografi. Tutt’altra cosa è il tema delle Intelligenze Artificiali e degli assistenti virtuali, che oggi è all’ordine del giorno e sembra dare concretezza ai vagheggiamenti di Giacomo Leopardi nell’immaginare un esercito di robot atti a sostituire uomini e donne in ciò che peggio possa loro riuscire.

Marvin Minsky ( 1927 – 2016)

E quasi a voler richiamare quello scritto leopardiano, qualche decennio fa Marvin Minsky, padre dell’A.I. e della robotica,  affermava che sarà proprio così.

Che saranno loro, i robot, a ereditare la Terra, come «nostri figli» ai quali avremo affidato la memoria di tutto ciò che è stato il prodotto dell’evoluzione del genere umano, perché le sue fatiche, compiute nell’arco di secoli e millenni, non vadano sprecate. Un’affermazione che avrebbe forse fatto gioire il Leopardi, ma in ogni caso l’avrebbe tranquillizzato offrendogli la risposta ad uno dei suoi pensieri più intensi ed elevati, tutt’altro che umoristico:

«Il tempo manca: cresce lo scibile, lo spazio della vita non cresce, ed esso non ammette più che tanto di cognizioni […] Bastando appena il tempo a conoscere le innumerabili osservazioni che si fanno da’ contemporanei, quanto si può profittare di quelle d’un tempo addietro ? […] Gli uomini imparano ogni giorno, ma il genere umano dimentica, e non so se altrettanto».

È nello Zibaldone dei pensieri e porta la data del 13 Maggio 1829: è un pensiero maturo, intriso della tristezza per l’amara constatazione che ci sono limiti individuali all’acquisizione di conoscenze e che per di più buona parte di queste è condannata all’oblio collettivo. Non sarà proprio così. Le macchine non elimineranno i limiti all’umano apprendimento, potranno però aiutare gli uomini ad apprendere di più e più velocemente  e, quel che è certo, li aiuteranno a non dimenticare. C’è  tra Minsky e Leopardi una corrispondenza di pensiero molto forte, tale che in una sorta di ideale accostamento temporale l’uno sembra evocare l’altro.

Passero solitario

Accade anche per il teorema del sorriso di Minsky e l’Elogio degli uccelli, un’altra delle Operette Morali.

Minsky nel suo voler insegnare alle macchine a pensare è portato a stabilire una scala delle operazioni ordinarie compiute dall’uomo, graduandole dalle più semplici alle più complesse. E al primo gradino di questa scala Minsky colloca insieme con altre semplici operazioni quotidiane  le operazioni matematiche, il che è una sorpresa per tutti quelli che reputano la matematica una materia difficile. Invece la matematica è la prima cosa che le macchine hanno imparato a fare, a partire dalla addizionatrice di Pascal, e così bene che oggi ci riescono meglio e molto più velocemente degli uomini.

A un gradino superiore Minsky pone operazioni quali il riconoscimento di una forma, ad esempio un volto amico in mezzo alla folla. E a un gradino ancora più elevato un’operazione elementare e quotidiana quale  quella di rifare il letto o infilare il cuscino in una federa. E si capisce la complessità di queste operazioni se si considera la grande mobilità spaziale che esse comportano e la conseguente difficoltà di fissare una geometria in cui tutto ciò avviene. Alla sommità della scala, però, Minsky pone il sorriso umano. Le agenzie mentali che vi sono coinvolte sono, sulla base dei suoi studi, tante e tali da rendere il sorriso un’operazione ultrasofisticata, non trattabile dal punto di vista formale e numerico. Ecco allora il teorema:

Recanati, Casa Leopardi

«Mai avremo un robot che sappia sorridere».

Il sorriso è un privilegio dell’uomo. E più della ragione è destinato a rimanere, alla luce del teorema, il suo carattere “proprio e particolare”. L’uomo continuerà a caratterizzarsi, anche dopo che le macchine avranno imparato a ragionare, animale risibile, come già ricordava il Leopardi:

«Cosa certamente mirabile è questa, che nell’uomo, il quale infra tutte le creature è la più travagliata e misera, si trovi la facoltà del riso, aliena da ogni altro animale».

È così che Giacomo Leopardi scrive nell’Elogio degli uccelli, i quali sono naturalmente le più liete creature del mondo. Gli uccelli, Leopardi li invidia, e vorrebbe «per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita». Una cosa però gli uccelli non hanno: non hanno il sorriso. A seguire Minsky, non l’avranno neppure i robot di domani. Mirabile sarà allora l’uso che noi malgrado tutto, malgrado ogni grande tristezza d’animo, incapacità di ogni gioia, privazione di ogni speranza continueremo a fare di questa facoltà, solo nostra: «nondimeno ridere».

 

Autore

  • Emilio Ambrisi

    Laureato in matematica, docente, preside (dal 1983) e ispettore ministeriale (dal 1991). Dal 2004 al 2015 responsabile, per il settore della matematica e della fisica, della Struttura Tecnica del Ministero dell'Istruzione. Dal 1980 Segretario Nazionale della Mathesis e, successivamente, Vice-Presidente. Dal 2009 al 2019 Presidente Nazionale e direttore del Periodico di Matematiche.

COMMENTS

WORDPRESS: 0
DISQUS: 0