La matematica poetica di Giacomo Leopardi e le grandi opere di fisica e di matematica di cui fece uso per scrivere la storia dell’Astronomia.
La Storia dell’Astronomia, opera di Giacomo Leopardi adolescente, è ricca di pregi, letterari e scientifici, più volte sottolineati su Matmedia. È anche un’opera però che costituisce un riferimento sicuro per una più completa conoscenza del suo autore. In particolare per una valutazione degli studi compiuti e della sua raggiunta competenza in campo scientifico e matematico. La Storia, infatti, oltre al suo contenuto, offre una bibliografia che è illuminante per tale finalità.
Le “Opere di cui si è fatto uso nello scrivere la Storia della Astronomia” che Leopardi elenca, sono, oltre che una vetrina della cultura dell’epoca che è interdisciplinare, scientifica e matematica, la fonte dei suoi studi. I titoli sono riconducibili a 228 autori, antichi e moderni. Alcuni autori sono ovviamente presenti con più opere. Cicerone e Virgilio, ad esempio. Anche Galileo Galilei figura con più opere. E non è solo una presenza figurativa. Galileo, Leopardi l’ha studiato e lo conosce bene; ne darà prova anche in seguito, parlandone in più occasioni con piena competenza. Che è poi una costante di Leopardi. Lo riconosce anche Italo Calvino scrivendo che Leopardi quando parla della luna sa di che cosa sta parlando. Un riconoscimento dovuto, perché Leopardi è convinto che un modo per non mostrare i limiti del proprio sapere è di non superarli [Zibaldone]. È il credo comportamentale al quale si attiene, e limiti, dovunque siano, Leopardi non ne mostra.
Quello che mostra è che ne sa sempre di più di quanto scrive!
La bibliografia però non è completa. All’elenco vanno aggiunti numerosi altri volumi consultati e citati. Ad esempio La storia della matematica di Montucla. La cita più volte nelle note interne al testo. Si tratta d’altronde di un’opera ben nota all’epoca e molto citata anche da d’Alembert nella voce Mathematique dell’Encyclopédie. Voce che risulta, insieme ad altre, nella bibliografia, e che, fatto importante, Leopardi dà in più occasioni segnali di aver apprezzato e assimilato. In particolare, per un’affinità di giudizi sullo sviluppo storico della matematica e sui personaggi che vi hanno avuto un ruolo importante. Di Newton, ad esempio, ha metabolizzato, come d’Alembert, l’elogio che ne ha scritto Bernard Le Bovier de Fontenelle. Di Newton ha “fatto uso” anche della fondamentale Philosophiae Naturalis Principia Mathematica nell’edizione cum commentario perpetuo PP. Le Seur et Jacquier.
Allora, parafrasando Calvino, Leopardi, quando parla di Newton, sa di chi e di cosa parla.
Parla delle leggi del moto, della gravitazione e dell’ottica delle quali ha ben compreso i princìpi fisici e matematici e che esprime in forma originale, letterariamente gradevole, con una ricchezza di lessico che i matematici in genere evitano “restringendosi” al solo loro tecnicismo. Ecco un esempio:
La legge di gravitazione, questa forza a distanza che è universale, lo affascina, e scrive:
L’attrazione che agisce in ragione inversa dei quadrati delle distanze
Quanto sopra è una dimostrazione che Leopardi la fisica l’ha studiata e che a quindici anni ne sa già a sufficienza.
Fonti dei suoi studi sono stati: il Dictionnaire de Phisique di Aimé-Henri Paulian; la Phisica di Pierre Gassendi, la Fisica esperimentale di G. M. Brisson e anche il modernissimo (allora) Corso elementare di fisica ad uso delle Università e dei Licei del Regno d’Italia composto da Gianbattista Moratelli nel 1805. Ancora, gli Elementi di Fisica sperimentale del Poli e i Dialoghi sopra l’ottica Neutoniana di Francesco Algarotti, e finanche la Lettera sopra l’uso della Fisica nella poesia del Roberti (1765).
Se queste sono opere specifiche della fisica, tra quelle elencate ve ne sono altre che hanno il sapore dell’epoca. L’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers di Diderot e d’Alembert ha fatto da apripista a tutta una serie di Dizionari, tra i quali, oltre al già citato Dictionnaire de Physique, anche il Dictionnaire historique del Moreri e quello Universale di Chambers. Ma ricorrono anche titoli caratteristici della volgarizzazione della scienza quali: La chimica per le donne del 1796 di Giuseppe Compagnoni, che richiama il notissimo Newtonianismo per le dame di Algarotti del 1789, e anche Il vago e dilettevole Giardino contenente cose istoriche spettanti anche alle scienze e alle arti di Luigi Contarini, che però è nettamente più datato risalendo addirittura al 1589.
A queste va aggiunta l’opera di Alexandre Savérien (1720-1805) Histoire des progrès de l’esprit humain dans les sciences exactes, et dans les arts del 1766 e più volte riedita, che contiene una storia dell’aritmetica, dell’algebra, della geometria, della gnomonica, eccetera.
Tornando alle opere specifiche fisico-matematiche, vanno menzionati i tanti trattati “sulla sfera”, da quello di Proclo del V secolo tradotto e annotato da Egnatio Danti a quello di Giovanni Sacrobosco (1195-1256) e a quello fondamentale di Galileo Galilei.
Opere più specialistiche e aggiornate sono poi:
il Epistolarum mathematicarum fasciculus di Giovanni Poleni che contiene la corrispondenza con Guido Grandi e altri matematici suoi contemporanei su questioni di coniche e calcolo differenziale, e le seguenti che hanno per autori personaggi che della matematica sono stati i principes. Sono: il Traité sur le flux et le reflux de la mer di Daniel Bernoulli, il De causa physica fluxus ac refluxus maris di Mac Laurin e l’Inquisitio physica in causam fluxus ac refluxus maris di Eulero. Sono i tre importanti scritti premiati dall’Académie Royale des Sciences per il concorso indetto del 1724. Sono “lavori importanti che rappresentano tutto ciò che è stato fatto sulla teoria delle maree tra la pubblicazione dei Principia di Newton e le indagini di Laplace”[Babson]. I tre lavori furono pubblicati nel volume III dell’edizione dei Principia di Newton del 1739 consultata da Leopardi.
«Was Leopardi a scientist?».
L’interrogativo se lo pose anni fa un giovane ricercatore propendendo nettamente per il sì [E. Ambrisi, 1998]. Ugualmente ci si potrebbe chiedere: fu fisico e matematico? E ancora: filologo e filosofo? La risposta l’hanno data in tanti, compreso Emanuele Severino [E. Ambrisi, 1994]: fu sommo poeta perché fu tutto questo: linguista e filologo, scienziato e scrittore, fisico e matematico cui mancò il tempo. «Il tempo manca cresce lo scibile, lo spazio della vita non cresce e non ammette più che tanto di cognizioni», scrisse il 13 maggio del 1829 nello Zibaldone. Un pensiero profondo, frutto di una ingordigia di sapere, esigenza costante di un cervello abituato ad alimentarsi di conoscenze, in ciò trovando ragione d’essere e vero piacere. Che lezione per i tanti che discettano oggi di saperi funzionali e non funzionali…senza sapere che cos’è lo studio!
A Leopardi certamente mancò il tempo.
Avrebbe forse donato altri pezzi di matematica leopardiana, poetica e piena di significato. La Storia dell’Astronomia ne è piena. Anche quando parla di Bernoulli: “A somiglianza di Archimede, che fe’ porre la sfera e il cilindro sul suo sepolcro, egli volle che si scolpisse sulla sua tomba una linea curva spirale, col motto: «Eadem mutata resurgo», alludendo alla speranza della resurrezione rappresentata in qualche modo dalle proprietà di quella linea”. Sulla tomba era stata scolpita, per errore, la spirale di Archimede, mentre il desiderio di Eulero era che si scolpisse la spirale logaritmica il cui andamento dà in qualche modo, come scrisse Leopardi, il senso della resurrezione: eadem mutata resurgo.
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