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Libri di matematica perduti e alcuni ritrovati

La matematica dei libri di Archimede in lingua greca: le continue scomparse e i ritrovamenti. La storia di una lettera che inizia: Archimede ad Eratostene, salute.

Siracusa, 225 a.C.. La lettera di Archimede è sulla nave diretta ad Alessandria.

Il destinatario è Eratostene, il matematico e astronomo misuratore del raggio terrestre che a Alessandria, la città fondata da Alessandro Magno il 7 aprile del 331 a. C., è il direttore del Museo. La lettera contiene il Metodo sui teoremi meccanici, cioè la radice del calcolo infinitesimale, ed è scritta in dialetto dorico su fogli di papiro arrotolati. «Confido – scrive Archimede – che alcuni dei matematici attuali o dei futuri, essendo loro stato mostrato questo metodo, ritroveranno anche altri teoremi da noi non ancora escogitati».

È certo che la lettera arrivò a destinazione e fu consegnata a Eratostene che ne dovette disporre la riproduzione in più copie, una anche per il Serapeo poco distante dal Museo. Il Metodo è dunque da quell’anno nelle biblioteche di  Alessandria, a disposizione degli studiosi. Quanti? Pochissimi! Tant’è che la certezza che il Metodo sia giunto a destinazione ce la dà solo Erone, quasi tre secoli dopo citandolo nella sua Metrica. Erone, da ingegnere qual era, s’interessava alla costruzione di edifici con la volta a crociera. Trova la risposta al suo problema nella determinazione della parte comune all’intersezione di due cilindri ortogonali, che, egli scrive, «Archimede dimostra in quel libro [il Metodo] e ciò è utile per le volte costruite in questo modo».

La testimonianza di Erone risale, secondo calcoli fatti da Otto Neugebauer, al 62 d.C..

Dopo Erone per un’altra testimonianza dello studio di Archimede ad Alessandria bisogna attendere Pappo vissuto tra il 290 e il 350 circa. Pappo non parla però del Metodo ma di un’altra opera di Archimede: Sui poliedri semiregolari. Un trattato completamente scomparso di cui non si hanno altre notizie al di fuori del Commento che ne ha lasciato lo stesso Pappo. Oltre ad Erone e a Pappo, è probabile che altri scienziati avranno letto o studiato quei trattati di Archimede, ma non ne hanno lasciato traccia. Archimede è famoso, ma la sua matematica è difficile, alla portata di pochi. L’intera sua opera rischia di scomparire del tutto.

La sua sopravvivenza si deve in massima parte ad Eutocio, nato ad Ascalona in Palestina, verso il 480 d.C..

Giunto ad Alessandria, il vescovo Ammonio lo autorizza ad una ricognizione delle opere di Archimede ancora presenti nelle biblioteche. Quei trattati sono orami datati, scritti peraltro con termini e simboli non più in uso da tempo. Eutocio ci lavora e ne prepara un’edizione non più in papiri. Sfrutta la più moderna tecnologia delle pergamene che si possono raccogliere in un codice, ovvero nella forma dell’attuale libro. Siamo nel VI secolo. Da duecento anni il mondo vive trasformazioni profonde. Delle molte copie delle lettere di Archimede che dovevano essere presenti ad Alessandria e altrove nel III sec. d.C. , non ne sopravvisse alcuna alla fine del VI secolo, cioè ancor prima del fatidico anno 641, l’anno del grande falò di libri ordinato da Omar,  conquistatore di Alessandria. Fortunatamente Eutocio non lavorava in isolamento.

Dal film Agorà, Ipazia

Mentre lui è ad Alessandria, Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto lavorano a Costantinopoli.

Sono architetti. Sono stati incaricati della realizzazione della basilica di Santa Sofia, il capolavoro d’arte voluto dall’imperatore Giustiniano fra il 532 e il 537. Conoscono e studiano Archimede attraverso il codice di Eutocio. Ciò è provato dal fatto che il commento di Eutocio al primo libro del trattato Sulla sfera e sul cilindro si è conservato grazie a Isidoro che a sua volta lavorava ad un’altra edizione delle opere di Archimede e l’aveva fatto copiare da un suo discepolo. È un momento felice per l’opera di Archimede. Dopo la morte di Isidoro, però,  scompare dalla storia scritta per quasi trecento anni, come quasi tutti i classici. Non se ne parla più nelle cronache, ma Costantinopoli è la capitale dell’impero romano d’Oriente e le sue mura assicurano una eccellente protezione alla sua sopravvivenza.

Dei trattati di Archimede si torna a parlare, infatti, nel IX secolo grazie a Leone di Tessalonica.

Era detto anche Leone il Matematico e le opere di Archimede le aveva studiate e insegnate. A lui si deve la loro trascrizione nella forma più moderna che utilizzava le lettere minuscole e non più le maiuscole degli originari papiri e dei codici di Eutocio e Isidoro. Gli amanuensi del IX e del X secolo trascrissero quei trattati di Archimede nel  nuovo e più veloce sistema di scrittura. Dopo mille e duecento anni e tante trascrizioni, quei trattati non avevano più alcuna somiglianza con i testi che Archimede aveva scritto. È probabile che Archimede non li avrebbe affatto riconosciuti come suoi.

A Costantinopoli le opere di Archimede avevano dunque trovato sia protezione che una moderna sistemazione. Questo fino all’aprile del 1204, quando gli eserciti che partecipavano alla IV crociata, diretti a Gerusalemme, pensarono bene di saccheggiare la città di Costantino i cui abitanti si professavano ancora cittadini romani. La città, come è stato osservato da più fonti, contava più libri che persone. Fu la più grande calamità che colpì il mondo della cultura. Dei trattati di Archimede copiati dagli amanuensi sopravvissero  tre codici, in seguito denominati A, B e C, diversi, ma con parti comuni. Tutti e tre contenevano Sull’equilibrio dei piani; l’A e il B la Quadratura della parabola; l’A e il C contenevano Sulla sfera e il cilindro, La misura del cercho e Spirali; e il B Sui corpi galleggianti. Il codice A era l’unico a contenere Conoidi e sferoidi e l’Arenario, mentre il codice C era l’unica testimonianza del Metodo e dello Stomachion. Che siano sopravvissuti è cosa certa.

A e B approdarono in Italia e furono tradotti finalmente in latino.

B fu tradotto nel 1269 dal monaco Guglielmo di Moerbeke mentre era al servizio a Viterbo di papa Clemente IV. Scomparve definitivamente nel 1311. Da allora non se ne è saputo più nulla. Il codice A nel 1450  fu affidato da papa Nicola V a Jacopo da Cremona che lo tradusse in latino. A continuò ad essere utilizzato per copie e traduzioni dagli umanisti dell’epoca tra i quali Angelo Poliziano per madato di Lorenzo il Magnifico. Il codice A è pur esso scomparso dalla scena. Dal 1564 non se ne hanno più notizie. Intanto nel 1544 a Basilea era stata realizzata un’edizione, in greco e in latino, delle opere conosciute di Archimede.

Nicolas Bourbaki commenta così:

«Mentre i grandi classici della letteratura e della filosofia greca, furono tutti stampati in Italia, da Aldo Manuzio e dai suoi emuli, e quasi tutti prima del 1520, solo nel 1544, a Basilea e ad opera di Hervagius apparve l’edizione principe di Archimede, greca e latina, […]. Assorbiti nelle loro ricerche algebriche, i matematici di questi tempi erano ben lungi dal subirne l’influsso e fu necessario attendere Keplero e Galileo, ambedue astronomi e fisici più che matematici, perché questo influsso si manifestasse. A partire da allora, e senza interruzione fino al 1670, nessun nome, negli scritti dei fondatori del calcolo infinitesimale, ricorre più spesso di quello di Archimede. Numerose le traduzioni ed i commenti; tutti, da Fermat a Barrow, lo citano continuamente; tutti dichiarano di trovarvi al tempo stesso un modello ed una fonte di ispirazione».

E il codice C, il solo dei tre a contenere il Metodo?

Era divenuto un libro di preghiere. Fu il danese Johan Ludvig Heiberg a trovarlo nel 1906 in un monastero di Costantinopoli e a scoprire che sotto quelle preghiere v’erano state trascritte e poi raschiate opere di Archimede. Tra queste, da esperto qual era, capì che si trattava della copia perduta del Metodo. Una grande scoperta. Lo sforzo di Heiberg fu enorme e fra il 1910 e il 1915, curò una riedizione completa delle opere di Archimede per inserirvi ciò che aveva potuto leggere nel palinsesto ritrovato. Molto però c’era ancora da scoprire e da interpretare, ma il palinsesto, quasi seguendo il destino che aveva accompagnato la storia degli altri codici di Archimede, scomparve. Di colpo se ne persero le tracce.  Ricomparve però a New York nella più nota casa d’asta del mondo.

Da Christie’s, il 29 ottobre 1998 fu acquistato per due milioni di dollari.

L’acquirente lo consegnò ad un’equipe guidata da Reviel Netz e William Noel che, un secolo dopo Heiberg e la disponibilità di strumenti più adeguati hanno potuto avere di nuovo fra le mani il testo di quella lettera partita dal porto  di Siracusa nel 225 a. C. e che iniziava così: Archimede ad Eratostene, salute.

Quanto è stato scritto sopra, ad eccezione di poche cose, come il riferimento a Bourbaki, è preso dal magnifico libro in cui Netz e Noel  hanno raccontato la storia del loro lavoro e le emozioni vissute riportando alla luce quella lettera partita da Siracusa: Il codice perduto di Archimede. Storia di un libro ritrovato e dei suoi segreti matematici. RCS Libri 2007.

Un libro che ha per protagonisti altri libri.

Anzi, i libri in generale, perché essi sono le storie di papiri arrotolati, di pergamene, di lingue e sistemi di scrittura, di biblioteche e di città, distrutte e saccheggiate. Ma sono anche le storie di studiosi appassionati e di amanuensi che li conservano e li trasformano per tramandare l’opera dei grandi, come quella vi è centrale: i papiri ai quali Archimede consegna le sue ricerche e scoperte matematiche, alcune così avanzate da richiedere secoli e secoli  prima di poter essere pienamente comprese e continuate.

Autore

  • Emilio Ambrisi

    Laureato in matematica, docente e preside e, per un quarto di secolo, ispettore ministeriale. Responsabile, per il settore della matematica e della fisica, della Struttura Tecnica del Ministero dell'Istruzione. Segretario, Vice-Presidente e Presidente Nazionale della Mathesis dal 1980 in poi e dal 2009 al 2019, direttore del Periodico di Matematiche.

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