Il dominio di una funzione e la sua derivabilità. Un quesito della maturità preso da Bruno de Finetti e da taluni giudicato sbagliato.
Nel 2001, a tutti i candidati alla maturità scientifica, in Italia e all’Estero, la prova scritta di matematica propose di affrontare una medesima questione. Tra i quesiti, infatti, ne figurava uno – con formulazioni diverse, ma con una predominanza della forma interrogativa – riguardante una questione che è certamente tra le più fondamentali nello studio delle funzioni.
Nell’indirizzo di ordinamento della sessione ordinaria, la questione fu posta nel seguente modo, classico e diretto:
Sia f(x) una funzione reale di variabile reale, derivabile in un intervallo [a,b] e tale che, per ogni x di tale intervallo, risulti f ’(x) = 0. Dimostrare che f(x) è costante in quell’intervallo.
Negli altri indirizzi e nelle scuole italiane all’estero la formulazione fu diversa.
Essa ribaltava la questione affidandola alla forma interrogativa, la più diffusa nei libri di Analisi:
- Calcolare la derivata della funzione: f(x) = arcsenx + arccosx. Quali conclusioni se ne possono trarre per la f(x)? (PNI – q. 4)
- Calcolare la derivata della funzione: f(x)= 2arcsenx – arccos (1-2x2). Quali conclusioni se ne possono trarre per la f(x)? (Sperimentazioni autonome, Suppletiva, q.5)
- Calcolare la derivata della funzione:
Dal risultato quali conseguenze se ne possono trarre per la f(x)? È una costante? (Europa, q.4)
- Calcolare la derivata della funzione
Quali conclusioni se ne possono trarre per la f(x)? (Suppletiva PNI, q2)
La questione, posta in modo così generalizzato nel 2001, non fu però abbandonata.
Fu riproposta anche negli anni successivi.
- Il dominio della funzione:
è l’unione di tre intervalli. Si dimostri, calcolandone la derivata, che la funzione è costante in ciascuno di essi; indi si calcoli il valore di tale costante. (2006, Europa)
- La funzione reale di variabile reale f(x) ammette derivata nulla in tutti i punti di un intervallo J, tranne che nel punto a di J, dove la funzione non è continua. Si può concludere che la funzione f(x) è costante in J? Fornire una spiegazione esauriente della risposta. (2006, Stati Uniti, q. 6)
Ancora proposto nel 2014, con una variazione abbastanza significativa.
- Si consideri la corrispondenza che al numero reale x associa:
La corrispondenza è una funzione? Se sì, quale ne è il dominio? Cosa si può dire della sua derivata? la funzione è costante?
Sarebbe il caso di soffermarsi sul perché questo riandare al concetto di funzione, alle corrispondenze e dunque alle applicazioni, alle relazioni, al domino e al dominio naturale, all’insieme di definizione, al campo di esistenza, all’insieme sorgente o di partenza. Quegli aspetti cioè di terminologia che è così ampia da costituire non una ricchezza ma una bolgia semantica. A monte, c’è ovviamente un problema di definizione. E, diceva già Tommaso Hobbes, se il discorso non comincia da una definizione termina sempre in una opinione. Al riguardo, la NOTA a margine fornisce un ricordo che potrebbe risultare paradigmatico.
Alle formulazioni già riportate, si aggiunge la seguente che è rimasta la più “famosa”:
«Si dimostri, calcolandone la derivata, che la funzione è costante, indi si calcoli il valore di tale costante».
Fu proposta nel 2005 e, si può assicurare, in modo voluto. L’obiettivo era di sollecitare una riflessione seria su un argomento altrettanto serio e che la forma interrogativa mascherava platealmente. Il quesito, così formulato, era preso dal testo Matematica logico intuitiva di Bruno de Finetti [Vedi] dove quell’ “indi si calcoli il valore di tale costante” deve intendersi intenzionalmente diretto a far comprendere che occorre necessariamente compiere, separatamente, le operazioni, in ciascuno degli intervalli in cui la funzione è definita e derivabile. Altrimenti, di che funzione o derivata si parla? Naturalmente, le segnalazioni dell’errore, più che da ragioni di sostanza, originavano anche da quel piacere alla critica che la prova scritta di matematica, per il suo ruolo, ha sempre stuzzicato. Critiche il più delle volte enfatiche e inconcludenti.
È questo uno dei motivi che ha portato alla stesura della presente “raccolta di quesiti” oltre ovviamente a ricordare il grande lavoro che le prove di maturità hanno sempre richiesto coerentemente alla loro forte funzione “pubblica”. La raccolta comunque è stata anche suggerita dal fatto che in queste settimane le statistiche delle letture delle pagine del sito presentano un aumentato interesse per le discussioni sulla traccia di maturità del 2005. In particolare il dominio naturale di una funzione.
NOTA
Tra i ricordi personali di chi scrive riaffiora il Convegno Mathesis di Paestum, 1983. La riforma degli studi secondari di secondo grado sembrava cosa imminente. Si discuteva dei nuovi programmi. In particolare del biennio, che si prevedeva comune a tutti gli ordini. Il progetto che si presentava partiva dal concetto di funzione. Il giudizio dei convegnisti sul documento fu molto duro: raffazzonato. Ad usare quell’aggettivo fu la prof.ssa Elda Valabrega, stimata ed autorevole docente dell’Università di Torino. Perché raffazzonato? Perché non si può parlare di funzione se non si è parlato di insiemi, di prodotto cartesiano e di relazioni fra insiemi. L’idea dei proponenti ovviamente era molto diversa: mirava a introdurre il concetto di funzione come primario cioè che “viene prima”, non ha bisogno di alcun duro lavoro propedeutico. Niente di assoluto, ovviamente. Solo scelte pedagogiche diverse per diversi itinerari didattici! Così com’è ancora oggi anche se è dominante la concezione della “macchina” come equivalente didattico del concetto di funzione con l’accortezza è ovvio di precisare dove si prendono gli x in ingresso e dove essi vanno a finire.

da: Roger Penrose, La strada che porta alla realtà (2020)
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