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Matematica e pedagogia in John Barrow

Il ricordo di John Barrow. Matematica necessaria, principio antropico e rapporto fra matematica e pedagogia

Cenni biografici

John D.  Barrow (1952-2020)

Nato a Londra nel 1952, dal 26 settembre 2020 John David Barrow non è più in vita. Ormai resta nascosto fra gli universi possibili presenti nella sua ricerca scientifica. Possiamo immaginarcelo fra gli astri, intento a studiarli da vicino. Da vivo su questo pianeta è stato matematico, cosmologo, astrofisico. Alcune tappe del suo prestigioso curriculum: studente alla  Oxford University, laureato in matematica presso la Durham University  e dottore in astrofisica presso la Oxford University, docente alla Oxford University e alla California University di Berkeley,  docente di matematica e fisica all’Università di Cambridge, docente e direttore dell’Astronomy Center dell’Università del Sussex, direttore del Millennium Mathematics Project.  Numerosi i premi da lui ricevuti in carriera.

Il suo personale addio al mondo

Il “Corriere della Sera” dell’8 novembre 2020 ha pubblicato nella traduzione di Pino Donghi  il testo del videomessaggio d’addio che John D. Barrow ha voluto rivolgerci. In questo testamento autobiografico, destinato soprattutto ai giovani, narra che fin da ragazzo sentiva legate scienza e vita. Ricorda che giunse così a proporsi di indagare sul principio antropico. Il collegamento fra coscienza e universo divenne un suo precipuo campo di ricerca. Possiamo aggiungere che aspirava anche a un collegamento fra coscienze. I risultati della ricerca scientifica non dovevano restare patrimonio degli specialistici. La sua era una visione democratica del sapere. Voleva spiegare come dalla semplicità delle leggi naturali scaturiscano effetti di straordinaria complessità e come, per studiarli, sia indispensabile la matematica.

La matematica necessaria per lo studio dell’universo

Non concepiva una matematica destinata a restare avulsa dalla  realtà dell’universo:

“In ogni aspetto del mondo naturale  che abbiamo preso in considerazione, abbiamo visto che il linguaggio della matematica si adatta meravigliosamente alla natura del mondo e al suo funzionamento”.

Nel riprendere la definizione galileiana della matematica come linguaggio, si proponeva di andare oltre, spiegandone la specificità. E ha nettamente ribadito che per studiare l’universo è ineludibile  il coinvolgimento della matematica  nell’impresa conoscitiva dei fisici. Oltre che stabilire uno stretto legame fra matematica e fisica, ha aperto la ricerca delle scienze definite esatte a un connubio con le scienze umane. In particolare ha sempre insistito sulla necessità di intensificare il rapporto fra matematica e pedagogia all’interno di processi di insegnamento e apprendimento orientati verso una sempre maggiore efficacia.  La sua opera ha interessato anche la teologia, al punto che Papa Francesco lo ha nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze.

Alcune sue opere

Alla sua imponente produzione scientifica affiancò anche un altro  impegno desumibile dai  titoli delle tante  sue opere.  Ne ricordiamo qui solo alcune in edizione italiana: Perché il mondo  è matematico?, Laterza; Dall’io al cosmo. Arte, scienza. Filosofia, Raffaello Cortina;  Da zero a infinito. La grande storia del nulla, Mondadori; Il principio antropico, Adelphi; L’infinito. Breve guida ai confini dello spazio e del tempo,  Mondadori; I numeri dell’universo, Mondadori; 100 cose che non sapevi di non sapere sulla matematica e le arti, Mondadori; 1 + 1 non fa (sempre) 2. Una lezione di matematica, Il Mulino. Sono titoli che rispecchiano i suoi interessi scientifici e nello stesso tempo l’intenzione di mettere un vasto pubblico al corrente del progressi della scienza.

John D. Barrow autore teatrale

John D. Barrow  mostrò interesse anche per le  arti teatrali. Autore dello spettacolo Infinities andato in scena per la prima volta a Milano nel 2002 con la regia di Luca Ronconi, il cui programma di sala evocava diversi infiniti: matematico, fisico, trascendentale, privilegiando quello matematico:

“I matematici sono soddisfatti di aver compreso il ‘loro’ concetto di infinito. Sanno come gestirlo combinando i vari infiniti, aggiungendo o sottraendo … Questo perché la matematica è una raccolta di tutti gli schemi possibili e immaginabili, dai più banali ai più complessi. Perché l’uomo possa esistere è necessario che l’universo abbia un ordine e, con esso, esistono anche alcuni di questi schemi. La matematica serve per descriverli. Non sorprende che il mondo, per potere essere compreso, abbia bisogno della matematica. Sorprende che modelli matematici così semplici siano in grado di scrivere un mondo così variegato, così complesso”.

Lo spettacolo si articolava in cinque scenari. Primo: l’albergo di Hilbert. Secondo: contraddizioni di una vita che durasse all’infinito. Terzo: esistenza di un numero infinito di universi. Quarto: il teorema di Cantor sugli infiniti. Quinto: viaggi fantascientifici nel tempo. Non mancavano riferimenti letterari, fra cui il richiamo alla Biblioteca infinita di Borges. Così il suo impegno scientifico veniva ad arricchirsi dell’apporto umanistico.

La teoria del tutto

John D. Barrow ammette che siamo lontani dal poter formulare una teoria del tutto, ovvero una teoria che spieghi in termini scientifici l’intero universo. Formulare tale teoria resta forse impossibile per la scienza. Al momento non è dato trovare un raccordo fra la  relatività da quella ristretta a quella allargata e la meccanica quantistica. Il rapporto fra macrocosmo e microcosmo continua a sfuggirci. Una teoria del tutto, per essere attendibile almeno in via provvisoria,  dovrebbe essere espressa nei termini delle scienze matematiche, sennonché in aggiunta al principio di indeterminazione di Heisenberg e al criterio di falsificabilità di Karl Popper i  teoremi di incompletezza di Kurt Gödel rendono aleatoria ogni ipotesi basata sull’applicazione di modelli matematici alla totalità dell’universo fisicamente considerato. Sussiste poi un’altra difficoltà: quella di conciliare la teoria del tutto con il principio antropico.

Il principio antropico

Il principio antropico,  edito da Adelphi nel 2002, è la traduzione di John D. Barrow-Frank J. Tipler, The Anthropic Cosmological Principle, edito da Oxford University Press nel 1988. Esistono varianti successive del principio, da debole a forte, da forte a ultimo. Gli autori del principio antropico cosmologico lo considerano principio ultimo. In base ad esso l’universo avrebbe avuto origine e sviluppo secondo costanti tali da favorire l’emergere della vita dalle forme primordiali fino alla coscienza e all’intelligenza degli esseri umani. Su questa teoria si è acceso un intenso dibattito. Vi ha preso parte ovviamente anche Stephen Hawking, il quale non ha nascosto le sue perplessità in proposito.

Cenni storici essenziali sull’argomento possono essere reperiti su digilander.libero.it nel saggio Il Principio Antropico.  In definitiva accettare il principio antropico significa ammettere che l’universo non è nato per caso, ma ha in sé un finalismo. Si tratta di stabilire fino a che punto il finalismo sia compatibile con la scienza.  Il dibattito sul Big Bang e sui buchi neri comporta la ricerca sulla natura dell’energia. L’origine dell’energia è il mistero.

Il coraggio degli scienziati

Colmare il vuoto di conoscenza scientifica resta ancora un’impresa di filosofi e teologi. Impresa formidabile, alla quale gli scienziati non si sottraggono, determinati a sfidare il mistero. Sfida che richiede tanta passione quanto coraggio. L’una e l’altro coesistevano ammirevolmente in  John D. Barrow. Ribadiamo che a lui si deve riconoscere anche il desiderio di non escludere dall’avventura della conoscenza i non iniziati. Vi era in lui l’attitudine descritta da Paolo Zellini nell’articolo Ci vogliono i miti per spiegare a tutti la matematica sul “Corriere della sera”. L’attitudine a riferirsi al senso comune:

“Il riferimento al senso comune  era una delle prerogative, secondo Ernst Mach, spesso implicite e riconoscibili in una teoria scientifica, per quanto astratta o innaturale questa potesse apparire. Anche un altro filosofo, Ludwig Wittgenstein, che leggeva Mach, non era lontano dal pensarlo. Un valente matematico britannico dell’Ottocento, William Kingdon Clifford, era autore di un libro dal titolo Il senso comune nelle scienze esatte (1885), in cui avvertiva che sarebbe senza dubbio  cattiva algebra quella che, voltata nella nostra lingua, non soddisfi il senso comune”.

Questa attitudine la si può riscontrare, ad esempio, in John D. Barrow, Perché il mondo è matematico?, Editori Laterza, 1992. In prefazione egli spiegava che si era proposto di “essere conciso e di rendere il discorso accessibile anche a quei lettori che non hanno una preparazione specialistica nella matematica o nelle scienze”. Analogamente in L’infinito. Breve guida ai confini dello spazio e del tempo, Mondadori, 2005 si rivolgeva così ai lettori, coinvolgendoli:

“Immaginiamo una fila di soldati che marciano l’uno dietro l’altro: ciascuno di essi può dure chi è davanti a lui e chi è dietro di lui. Ma facciamoli marciare in cerchio: ora ognuno di loro è sua avanti che dietro a chiunque altro! Non c’è più alcuna successione.  Se il tempo diviene circolare in maniera analoga, risultano possibili i viaggi nel tempo e si può concepire ogni sorta di strani paradossi. Per esempio, voi leggete questo libro e poi viaggiate all’indietro nel tempo per riferirmi, parola per parola, tutto ciò che contiene. Ma allora da dove è venuta l’idea del libro? Voi l’avete avuta da me, ma io l’ho avuta da voi. Sembra che sia stata creata dal nulla … un po’ come l’universo”.

Ricordare John D. Barrow significa anche riconoscergli questo merito: aver messo in rilievo che, per insegnare, bisogna avere il coraggio di sentire e far sentire la necessità di comprendere un mondo il cui significato continua a sfuggirci.

 

 

 

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