In Triangolo di pensieri, tre eminenti matematici dialogano interpretando la realtà, la mente dell’uomo, il mondo, le sue verità.
Le grandi scoperte scientifiche del XX secolo come la relatività generale, la meccanica quantistica o il teorema di Gödel hanno modificato profondamente la nostra percezione della realtà. Di questi mutamenti, allo scadere del secolo, hanno dialogato Alain Connes, André Lichnerowicz, Marcel Paul Schutzenberger. Tre straordinarie figure di matematici, fisici e scienziati pluridisciplinari.
Triangle de pensées è il libro che registra il loro dialogo.
Fu pubblicato in Francia nel 2000. Esattamente vent’anni fa. L’edizione italiana apparve l’anno successivo, presso Bollati Boringhieri.
Gli eminenti scienziati dialogano interpretando la realtà, la mente dell’uomo, il mondo, le sue verità, ciò che è dimostrabile e ciò che è indecidibile, il rapporto della matematica con le altre scienze e l’essere scienza, l’inconciliabilità di relatività generale e meccanica quantistica, il linguaggio e l’esistenza di realtà non verbali, come la musica; infine, il tempo.
Lo fanno con una competenza strabiliante e illuminante.
La lettura disvela un mondo nuovo di significati, di connessioni, di legami fra cose apparentemente lontane. È un libro per la persona colta che vi trova cose che forse non aveva ancora capito. Un libro che un matematico fresco di studi deve leggere, anzi studiare, per salire ad un livello più elevato di comprensione.
Un livello fertile per chi deve fare ricerca, ineludibile per chi vuole anche insegnare.
Il lettore non vi trova molto di formule, teoremi, dimostrazioni, calcoli presentati nelle loro forme canoniche. Ma ragionamenti sì, e tanti da fargli apparire ciò che ha studiato e sa, di formule e teoremi, in una dimensione diversa e con un’intensità di luce che gli era sconosciuta. Tutto ciò non senza sforzi e impiego di tempo. Quelle pagine, infatti, non si lasciano dominare facilmente.
Sarebbe lodevole un lavoro di ri-elaborazione per renderle intelligibili ad un più vasto pubblico. Potrebbe compierlo un gruppo di ricercatori, fisici e matematici, sufficientemente competenti e comunicativi.
Il dialogo che i tre sviluppano è armonico anche se non privo di momenti di controversia.
Accade per la stessa realtà matematica che Connes definisce arcaica, primitiva. Termini che non piacciono a Schutzenberger che ne ha peraltro di suoi. Ad esempio: le tesi sulla natura degli oggetti matematici, le etichetta staliniane e leniniane. In questo modo Connes è leniniano, mentre Lichnerowicz sarebbe staliniano, cioè espressione del volontarismo che domina, ad esempio, la costruzione di un teorema come atto di volontà. Per Lichnerowicz, in matematica, l’«essere delle cose» è secondario, «messo tra parentesi».
Anche la discussione sul teorema di Gödel è vivace.
Schutzenberger ricorda che risale agli anni ’30 del Novecento ma che almeno per un trentennio è rimasto per lo più incompreso e sottovalutato. Addirittura ignorato. Divenne di moda solo negli anni ’60 grazie allo sviluppo del computer e al tentativo dei logici di impadronirsi dell’informatica. Il teorema dice:
«Qualunque cosa voi facciate, quali che siano gli assiomi da cui si parte, non esaurirete mai l’insieme delle verità aritmetiche, non esaurirete mai questa realtà. Essa è altra, non fa parte delle conseguenze meccaniche degli assiomi, è altrove. Non è esauribile dagli assiomi».
Per Lichnerowicz il teorema di Gödel implica soltanto che, per fare qualcosa, bisogna ricorrere a una meta-meta-metamatematica. Connes dissente: Il contenuto del teorema di Gödel non è soltanto l’indecidibilità, cioè l’esistenza di proposizioni indecidibili, qualunque sia il sistema di assiomi. Vi è qualcosa di molto più importante: in qualunque sistema logico-deduttivo (sufficientemente elaborato per trattare i numeri naturali) vi saranno sempre delle proposizioni vere, ma indimostrabili. Un concetto difficile da digerire e che porta a distinguere tra verità e dimostrabilità.
Non sempre è però possibile dare una sintesi ai “pensieri” espressi, anche perché, come già è stato detto, viaggiano ad un’altezza che spesso è molto elevata.
È dunque calzante l’immagine del triangolo: ciascuno dei dialoganti ne occupa un vertice.
Il lettore è invitato a collocarsi al suo interno, come in un campo semantico, attratto ora dall’uno ora dall’altro dei conversatori. E forse il modo migliore per farsi un’idea complessiva del libro potrebbe consistere proprio nel tracciare le diverse linee di pensiero che ciascuno porta avanti.
Per questo al lettore può essere d’aiuto sapere qualcosa degli autori.
Alain Connes è il più giovane dei tre. È lui che ha portato avanti il lavoro della pubblicazione dopo la scomparsa di Lichnerowicz nel 1998, a ottantaquattro anni, e di Schutzenberger due anni prima, nel 1996. La pubblicazione è dunque postuma ed è completata proprio da succinti tratti biografici di Schutzenberger e Lichnerowicz, scritti rispettivamente da Moshe Flato e Alain Connes.
L’introduzione, ovviamente, è di Connes e otto sono i capitoli. Logica e realtà. La natura degli oggetti matematici. Il Giano fisicomatematico. Teoria fondamentale e calcoli reali. Matematica e descrizione del mondo. Cosmologia e grande unificazione. L’interpretazione della meccanica quantistica. Riflessioni sul tempo.
Di André Lichnerowicz deve aggiungersi anche la grande notorietà internazionale per il suo impegno nei progetti di riforma dell’insegnamento della matematica. Sua peraltro la battaglia contro il morbo della trinomite che fu ripresa in Italia da Bruno de Finetti. E sue, nel libro, sono le tante osservazioni rilevanti sul piano didattico.
In un punto del dialogo, Lichnerowicz affronta il capitolo dell’analisi matematica – che a suo parere nasce con Zenone – e ne discute il rapporto con la fisica.
La cosa più complicata, dal punto di vista dell’analisi, – afferma – è dimostrare che il principio delle geodetiche è una conseguenza diretta delle equazioni di Einstein.
Connes gli ricorda allora l’episodio di von Neumann che durante un seminario stava dimostrando un teorema alla lavagna quando Pauli lo apostrofò:
«Se fare fisica consistesse nel dimostrare teoremi, tu saresti un grande fisico».
La risposta di Lichnerowicz:
Pauli era un fisico-matematico, e si mostrava severissimo se ciò che la gente raccontava non era matematicamente corretto. Terrorizzava un po’ gli altri fisici di tutto il mondo, persino Louis de Broglie o Heisemberg, che evitavano i seminari nei quali egli era presente. Nel 1955 Pauli presiedette un convegno per il cinquantesimo anniversario della relatività ristretta, e lo concluse con queste parole:
«I fisici della nostra epoca non credono che la gravitazione e la relatività generale appartengano alla fisica. Di relatività si occupano due specie di persone: i matematici e gli astronomi. Nessun fisico normale si interessa alla relatività».
Ecco Lichnerowicz. Il suo dialogare è una narrazione pedagogica.
Le sue spiegazioni sono ricche di episodi e riferimenti storici che ne aumentano efficacia e comprensibilità. Altre volte sono giudizi secchi e di singolare chiarezza. [Vedi: Aforismi]
Quanto a Alain Connes, classe 1947, all’epoca del dialogo è, rispetto agli altri due, giovanissimo. Ma è già blasonato e vanta pure la medaglia Fields conquistata nel 1982. Le conversazioni discontinue con Lichnerowicz e Schutzenberger sono ovviamente per lui motivo di ulteriore vanto, ma rappresentano anche momenti di intensa felicità che gli piace far conoscere.
Connes è, professionalmente, nella fase creativa e i suoi interventi lo evidenziano.
Partecipa non con il distacco dei suoi interlocutori, ma con la foga di chi è coinvolto nella compe
tizione scientifica. Le sue predilezioni le manifesta con forza e convinzione, a partire dal fatto che la matematica ha globalmente oggetti che sono altrettanto reali di quelli delle scienze. Oggetti non materiali, non localizzati né nello spazio né nel tempo, ma che rendono la realtà matematica più forte della realtà esterna.
La sua è la voce più presente nel libro e soprattutto, lo è nel capitolo conclusivo.
Qui si dialoga sul tempo. Connes comincia con l’osservare che la prima proprietà del tempo è la connessione. C’è poi un tempo matematico, molto più lento, e un tempo della meccanica newtoniana il cui modello è la retta affine, ma senza un’origine privilegiata. C’è il tempo della relatività ristretta la cui novità è la sua dilatazione. E c’è un tempo della relatività generale. C’è ancora un tempo individuale, dell’uomo, che è il tempo psicologico, quello di cui facciamo esperienza nel corso della nostra esistenza quotidiana. Un tempo che non è inscrivibile in un presente atemporale o «eterno presente» come lo è quello del computer.
Per il tempo individuale azzarda anche un modello.
L’immagine che dà è quella della «pasta sfoglia» di Kronecker: una retta che si arrotola in modo irrazionale sopra un toro, che si può prendere di dimensioni grandissime». La descrizione del modello non è priva di fascino. E, alla conclusione, vi ritorna per una ulteriore precisazione:
«il modello unidimensionale del tempo è troppo riduttivo per il tempo individuale. Non si può comprendere filosoficamente che cos’è il tempo proprio di un individuo proiettandolo sul tempo della fisica. Direi quasi che una definizione dell’individualità, dell’io, dovrebbe essere intimamente legata alla nozione di tempo proprio».
La conclusione del libro, dunque, conduce all’io.
Un pensiero che forse ne avrebbe generato altri se il dialogo non fosse stato interrotto dalla scomparsa di Schutzenberger prima e di Lichnerowicz dopo. E ciò lo interpreta bene Moshe Flato nell’ ultima pagina del libro. Dichiara che la lettura del testo gli ricorda il Libro di Giobbe che è “la perla di quel monumento della letteratura universale che è la Bibbia”. Lo riporta cioè a quest’uomo giusto e buono colpito da una serie di sciagure inenarrabili che lo spingono a interrogarsi sul significato dell’esistenza e della vita. Moshe Flato scrive:
«C’è una “verità arcaica” che, come la fatalità, sarebbe preesistente e che l’uomo potrebbe soltanto scoprire? Oppure al contrario c’è posto per una creazione matematica, analoga alla libera scelta dell’uomo, frutto del cervello umano e tale da rifletterlo? Come si è potuto dire che l’uomo creò Dio a propria immagine, è allora naturale che gli enti matematici così creati siano molto spesso utili alla comprensione del mondo e della realtà fisica esterna quali il cervello umano li percepisce. Allo stesso modo esiste una verità universale (arcaica o no) indipendente da ogni considerazione di morale o di giustizia (questioni che d’altronde ogni scienziato tende a porsi), il che apporterebbe una risposta possibile alle sofferenze di Giobbe? La Bibbia sembra aver fatto la sua scelta, cosa naturale visti gli assiomi sui quali si basa, ma dobbiamo fare lo stesso?».
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