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Matematica e religione – 2

Matematica e Religione – 2. La matematica fin dall’inizio è nel  Paradiso terrestre la più vicina al pensiero stesso di Dio.

Matematica e Religione – 1 in Periodico di Matematiche 3/2017

Matematica e Religione – 2  Abstract

“Alla matematica si arriva soltanto attraverso una teofania.”Novalis

“Non solo la matematica è reale,  ma è l’unica realtà.”Martin Gardner

1. Il nuovo scandalo dell’etica geometrica

Giordano Bruno (1548 – 1600)

Fungendo da spettacolo per coloro che accompagnavano il crepitio del rogo con le loro litanie, Giordano Bruno era stato arso vivo in una sorta di anticipo dell’inferno. Galileo Galilei si era rassegnato  obtorto collo ad abiurare. Le idee di Baruch Spinoza furono soggette alla censura ecclesiastica.

Dell’Ethica ordine geometrico demonstrata di Baruch Spinoza esiste un’edizione italiana molto accurata a cura di Sergio Landucci per le edizioni Laterza 2009 ed ora per le edizioni Hachette 2016, alla quale si rinvia per ogni approfondimento della problematica tanto complessa quanto ancora attuale del pensiero di un filosofo contestato nella sua epoca al punto che lui venne scomunicato e quasi tutte le sue opere vennero messe all’Index librorum prohibitorum. Se ricordiamo le accuse di empietà formulate nei suoi confronti dal cattolico Nels Stensen ovvero Niccolò Stenone in una relazione al Sant’Uffizio, fra le quali risaltava l’aver concepito un Dio insito nella natura e con essa coincidente: Deus sive Natura, Natura sive Deus, dovremmo anche ricordare che tale concezione veniva a contrapporsi al dualismo insito nelle tradizioni greca classica ed ebraica cristiana, sintonizzandosi a distanza con un monismo proprio di popoli in simbiosi con la natura, messo in rilievo da Rudolf Kaiser in Dio dorme nella pietra. La ‘scoperta’ del pensiero degli Indiani d’America, Demetra 1996 (titolo originale Gott schläft im Stein).

La visione spinoziana veniva così a configurare una teologia alternativa.

Non però ingenua come quella dei nativi americani, bensì matematicamente sapiente. Probabilmente il ricorso al metodo geometrico per avvalorare una concezione dell’etica connessa inscindibilmente con la concezione di una divinità immanente nella natura  fu dettato a Baruch Spinoza dall’intento di rendere inconfutabile la sua visione filosofica. Egli perciò si propose di considerare “le azioni e gli appetiti degli uomini proprio alla stessa maniera che se fosse questione di linee, piani o corpi” con la cogenza di un “teorema matematico”. A dire il vero, l’Ethica  nel suo insieme risulta in prevalenza un trattato filosofico piuttosto che un sistema geometrico.

Comunque ciò che risalta è innanzitutto la struttura.

Fin dalla prima parte, intitolata Dio, si parte con definizioni, seguite da assiomi, proposizioni, dimostrazioni, corollari, scolii, confutazioni. Un esempio di definizione è proprio quella di Dio inteso come “un ente che sia infinito assolutamente ovvero una sostanza che consti d’infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna e infinita”. Si ricorre quindi ad elementari concetti geometrici. Contro coloro che  si inventano “che il cerchio abbia le proprietà del quadrato” e ne concludono “che il cerchio non abbia un centro a partire dal quale siano uguali tutte le linee tracciate alla circonferenza” viene obiettato che essi “concepiscono che la sostanza corporea sia composta di parti finite, sia molteplice, e sia divisibile; mentre non può esser concepita se non come infinita, unica e indivisibile”.  A chi finge che una linea sia composta di parti e sostiene che essa non si può dividere all’infinito viene contrapposta la sostanza “infinita, unica e indivisibile”. Nel procedere, si nota un continuo rinvio a dimostrazioni già effettuate in una sorta di circolarità che vuol generare compattezza contro ogni possibile confutazione. In definitiva, è proprio questa simbiosi fra matematica ed etica a costituire l’aspetto più interessante del pensiero di Baruch Spinoza.  Tuttavia, anche  se il suo pensiero risulta attuale per il tentativo di  conciliare matematica e religione con l’idea dell’immanenza divina nel cosmo, la validità del suo sistema è compromessa dall’insoddisfacente spiegazione del problema del male  nel suo duplice aspetto: morale e fisico.

2. Un libero pensatore e un matematico credente di fronte al male

 Nell’attraversare tutta la storia dell’umanità, il dibattito sul male morale è  un argomento cruciale della teologia cristiana, chiamata a chiarire se possa sussistere o meno un’etica indipendente dalla religione.  Problema ancor  più arduo è quello del male fisico con particolare riguardo alla sofferenza degli innocenti, per la quale la Chiesa cattolica, appellandosi alla fede in Cristo, sembra ammettere di non disporre di una risposta persuasiva per chi non crede. Resta infatti problematica l’identificazione del male col bene tentata da Agostino d’Ippona nel suo colloquio con Dio (si può vedere fra l’altro in proposito  l’ampia ricerca di Agostino e il problema del male. Dal Manicheismo alle Confessioni di Maurizio Filippo Di Silva per l’Ateneo napoletano  nell’anno accademico 2009-2010):

“Et tibi omnino non est malum, non solum tibi nec universae creaturae tuae, quia extra non est aliquid, quod inrumpat et corrumpat ordinem, quem imposuisti ei. In partibus autem eius quaedam quibusdam quia non conveniunt, mala putantur; et eadem ipsa conveniunt aliis et bona sunt et in semet ipsis bona sunt”

Questa difficoltà teologica emerse drammaticamente ad opera di François-Marie Arouet, quel Voltaire che nel Poema sul disastro di Lisbona, ovvero sul catastrofico terremoto del 1755, avanzò dolenti interrogativi sul significato della morte di esseri senza colpa:

“Aux cris demi-formés de leurs voix expirantes, / au spectacle effrayant de leurs cendres fumantes, / direz-vous: ‘C’est l’effet des éternelles lois / qui d’un Dieu libre et bon nécessitent le choix’? / Direz-vous, en voyant cet amas de victimes: / ‘Dieu s’est vengé, leur mort est le prix de leurs crimes’? / Quel crime, quelle faute ont commis ces enfants / sur le sein maternel écrasés et sanglants?”

Nel clima illuministico Voltaire attaccò duramente  il cristianesimo, come risulta dall’inquietante voce dedicata a questa religione nel Dizionario filosofico (la Chiesa cattolica,  però, come le è accaduto spesso nei confronti di famosi personaggi non  cattolici, non  rinunciò a presentarlo come convertito al  cattolicesimo  in punto di morte). Aperto invece alla scienza, Voltaire ne apprezzò il cammino a partire dalla rivoluzione scientifica, il che  risulta fra l’altro dalle sue Lettres philosophiques  o Lettres anglaises.

Non fu però un matematico.

Gli si contrappose sdegnato il matematico Leonhard Euler, comunemente Eulero, in un duello intellettuale senza esclusione di colpi (duello al quale Francesco Agnoli ha dedicato il volume Leonardo Eulero “il” matematico dell’età illuminista. Un grande scienziato contro Voltaire e i philosophes materialisti, Cantagalli 2016).

Nella vita di Eulero matematica e religione erano in perfetta simbiosi.

Lo si desume in modo eclatante dal suo Saggio di un difesa della divina rivelazione, di cui è reperibile in rete una traduzione dall’idioma tedesco pubblicata in Napoli nel 1787 con prefazione e note del frate minore Niccola Onorato, autore fra l’altro di Elementa mahtematica methodo disposita ad usum Adolescentium Ordinis Minorum nel solco dei cosiddetti fascetti di aritmetica pratica allestiti nel tempo dai religiosi a favore delle persone digiune di matematica. Per il frate prefatore il saggio citato “merita di essere annoverato tra le più valide apologie della Cristiana Religione”. Eulero definisce Dio “sorgente di tutte le verità”, il che comporta “una maggiore e più distinta cognizione del bene”. I termini “verità” e “bene” ricorrono per diverse pagine in unione col termine “felicità”: Dio è verità che orienta al bene la volontà  e il bene è sorgente unica di felicità. Segue una decisa presa di posizione contro coloro che negano alla Scrittura “tutti i caratteri di una divina rivelazione” e a favore della “divinità della missione di Cristo nel mondo”. Solo da pagina quaranta del testo di Eulero ha  inizio un excursus  sulla geometria:

“La Geometria tiensi in conto d’una Scienza, nella quale nulla si ammette, che dai primi assiomi delle nostre cognizioni evidentissimamente non scaturiscano. Pure sonosi trovati uomini  di non volgare intelletto, i quali hanno creduto incontrare nella Geometria grandissime ed insolubili difficoltà, per cui sonosi dati ad intendere di aver spogliato questa Scienza di ogni certezza.”

Nella visone di Eulero un eudemonismo derivante dalla sola  matematica indipendentemente dalla religione era inconcepibile.

3. Il divorzio fra matematica e religione in Karl Marx

La scissione della matematica dalla religione in Karl Marx fu categorica.

Nello studiare gli sviluppi della matematica nella storia egli cominciò a distinguere misticismo e razionalità, giungendo a ritenerli inconciliabili. Per lui la fede religiosa era supporto dell’alienazione, giacché prometteva un’illusoria felicità ultraterrena, esercitando una coercizione della libertà e distogliendo dall’impulso a modificare le proprie condizioni di vita in direzione del miglioramento materiale dell’esistenza. L’intelligenza matematica era invece proficua in vista di una positiva trasformazione della società, in quanto consentiva di elaborare un’analisi strutturale dell’economia e un’alternativa al capitalismo, che la Chiesa invece non sembrava voler contrastare. Nella concezione materialistica di Karl Marx matematica ed economia convergevano a discapito dello spiritualismo in modo tale da  richiamare alla mente la memorabile frase di Cecilio Stazio: “Homo homini deus est, si suum officium sciat.”

In tal modo la divinizzazione degli esseri umani consapevoli dei loro doveri separava l’etica da ogni prospettiva trascendente e trovava la propria possibilità di trasformazione del reale proprio nella matematica, senza la quale non sarebbe stato possibile lo studio dell’economia in vista della costruzione di una società alternativa a quella esistente, in cui sussisteva lo sfruttamento del proletariato: tutto ciò in vista di un sognato riscatto di esseri umani sfruttati allora, come continuano purtroppo ad esserlo (orientamento politico storicamente rivelatosi utopistico, eppure  ancora degno di riflessione e di intervento, tant’è vero che Diego Fusaro ne ha rinverdito lo studio in Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario, Bompiani 2009). L’applicazione della matematica all’economia prospettava una nuova visione del mondo, che sublimava tendenze laiche non ancora dotate di un armamentario scientifico (si veda Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, a cura di Norberto Bobbio, Einaudi 2004). C’è di più: un ulteriore merito di Karl Marx consiste nell’essersi dedicato alla matematica pura, giungendo mediante una pertinace applicazione a cimentarsi col calcolo differenziale, come risulta dai suoi  Manoscritti matematici del 1881, pubblicati a Mosca nel 1933 e in Italia a Milano per le edizioni Spirali  nel 2005. Nella sua recensione all’opera osserva Maurizio Brignoli che l’obiettivo di Karl Marx era “fondare in modo ‘non mistico’ il calcolo infinitesimale”:

“Le derivate e i differenziali  non sono entità metafisiche dotate di esistenza propria, quantità né finite né nulle, ma sono simboli di operazioni che Marx cerca di definire collocandosi, come aveva già notato Lucio Lombardo Radice, sulla linea di pensiero della definizione operativa che porta ad Einstein e a Wiener.”

Se si può dire, come è stato detto, che la matematica è un gioco, per Karl Marx era un gioco tremendamente serio sul tavolo della civiltà: la posta della sua scommessa o utopia era il riscatto terreno del genere umano.

C’è anche chi tenta di conciliare il pensiero di Karl Marx con la religione cattolica come nel caso del docente emerito di Teologia fondamentale  ed Etica del lavoro scientifico Gualberto Gismondi, autore fra l’altro di Umanesimo marxista. Evoluzione ed istanze positive. Elementi per un dialogo pastorale e socioculturale, Edizioni Paoline 1974: ovviamente il teologo citato propone di avviare il dialogo per riconfermare il primato della fede, sennonché l’umanesimo marxista nella sua dimensione esistenziale è destinato a restare divergente dalla trascendenza religiosa.

Karl Marx muore nel 1883.

Appena otto anni dopo la Chiesa cattolica comincia a recepire nella propria ottica le istanze del marxismo con una serie di svariati interventi, fra cui soprattutto le encicliche:  del 1891  è la Rerum novarum, richiamata nel 1991 dalla Centesimus annus, che ne costituisce una “rilettura”: i diritti degli operai vengono evidenziati nell’atto stesso di condannare il socialismo d’ispirazione marxiana. Viene infatti  ribadita la necessità della proprietà privata, le disparità sociali sono ritenute ineliminabili, l’operaio e il padrone, che viene così chiamato, devono addivenire a un patto “di comune consenso”, tenendo presente che “il quantitativo della mercede  non deve essere inferiore al sostentamento dell’operaio, frugale s’intende, e di retti costumi”. Fra le  altre encicliche che sviluppano la dottrina sociale cristiana ricordiamo in particolare Quadragesimo anno (1931), Mater et magistra (1961), Gaudium et spes (1965), Populorum progressio (1967), Laborem exercens (1981), Caritas in veritate (2009), Evangelii gaudium (2013), Laudato si’ (2015). Nella Laborem exercens  viene prospettato un “sistema di lavoro che alle sue stesse basi supera l’antinomia tra lavoro e capitale”, salvaguardando nel contempo contro il  cosiddetto “economismo” la “spiritualità del lavoro” illustrata con riferimento alla Genesi:

“Ogni lavoro – sia esso manuale o intellettuale – va congiunto inevitabilmente con la fatica. Il Libro della Genesi lo esprime in modo veramente penetrante, contrapponendo a quella originaria benedizione  del lavoro, contenuta nel mistero  stesso della creazione, ed unita all’elevazione dell’uomo come immagine di Dio, la maledizione che il peccato ha portato con sé […]”

Di enciclica in enciclica si assiste tuttavia all’intento ecclesiastico di adeguare la propria dottrina alla dinamica dei movimenti sociali. Ad esempio,  José Maria Bergoglio con la Laudato si’ sintetizza nel modo più lapidario possibile la drammatica problematicità dell’economia mondiale: “La finanza soffoca l’economia reale.”

Per la Chiesa cattolica il problema andrebbe risolto in forza di un’etica conglobata ed espressa nel  linguaggio religioso cristiano, mentre per Karl Marx occorre affrontarlo in nome di un’etica autonoma  ricorrendo alla matematica.  Finora nessuna delle due impostazioni appare in grado di condurre a una soluzione. Resta da considerare una priorità che in genere viene purtroppo trascurata politicamente: quella delle condizioni materiali del lavoro operaio.

Matematica e religione nell’equivoco  pensiero crociano

Benedetto Croce, dopo avere ricevuto un’educazione religiosa e aver continuato “anche per abito o per convenienze esteriori alcune pratiche religiose”, si avvede un giorno di essere “affatto fuori dalle credenze religiose”, come risulta dal suo Contributo alla critica di me stesso. Nel saggio per l’Enciclopedia Treccani Croce e la religione Filippo Mignini  osserva che per il pensatore di Pescasseroli le religioni positive sono mitologiche e vera religione è la filosofia della storia. Era ovvio che lo storicismo crociano dovesse comportare il rifiuto della trascendenza, quindi della teologia. Eppure lo stesso Benedetto Croce, come Filippo Mignini  mette in rilievo, mantiene per la religione un rispetto che giunge a trasformarsi “in un’aperta e vibrante difesa dell’etica religiosa e cristiana”, più o meno evidente nei suoi scritti Perché non possiamo non dirci cristiani. Religione e serenità, Il peccato originale. È questa solo una delle contraddizioni che caratterizzano la  speculazione crociana, sulle  quali in questa sede sorvoliamo.

Nell’articolo per “IlSole24ore” 1911-2011: l’Italia della scienza negata,  Armando Massarenti ricorda il contrasto di Benedetto Croce e Giovanni Gentile  con il matematico  Federico Enriques, il quale fu da loro accusato,  in quanto matematico, di essere uno di quegli “ingegni minuti” incapaci di un vero pensiero razionale come quello dei filosofi.

Dunque gli idealisti erano davvero ostili alla scienza?

Nonostante tutto, la questione continua ad essere dibattuta. Alfonso Musci, nell’introdurre È vero che  Croce odiava la scienza? Dialogo tra Giulio Giorello e Corrado Ocone, ne sottolinea la complessità. Lo stesso Benedetto Croce, ricorda Corrado Ocone, pur avendo introdotto il “termine infelice” dello “pseudoconcetto” della matematica e delle scienze in generale, rivendicava a se stesso l’aver compiuto “una accorata difesa delle scienze”. Eppure, prosegue Corrado Ocone,  grave difetto della filosofia crociana è la svalutazione della matematica:

“Resta il fatto che la svalutazione dell’apporto euristico della matematica è il vizio peggiore della lettura crociana.”

Né Giulio Giorello riesce a opporre obiezioni convincenti alle osservazioni di Corrado Ocone.

In precedenza Giuseppe Gembillo in Benedetto Croce e gli scienziati sul Giornale di Scienza “Galileo” aveva sostenuto che il pensatore  di Pescasseroli non era ostile alla scienza, ma al positivismo.  Appare però francamente esagerato sostenere “che sia incontestabile la consonanza tra le enunciazioni crociane e le tesi epistemologiche generali di Poincaré e di Mach, di Vailati e di Russell”. Fatto sta che in Benedetto Croce non si ammettono gli apporti della scienza alla filosofia. Sebbene Giuseppe Gembillo insista nel tentativo di trovare consonanze fra il pensiero scientifico e il pensiero di Benedetto Croce, non si comprende quale effettiva convergenza possa esservi fra lo storicismo idealistico crociano e il principio di indeterminazione di Werner Karl Heisenberg o il falsificazionismo di Karl Raimund Popper. Accostare l’apprezzamento  della storia manifestato da scienziati come Ilya Prigogine e Hans-Georg Gadamer al  preteso apprezzamento della scienza da parte di un Benedetto Croce ancorato al suo discutibile storicismo appare poi francamente fuorviante. Sorvolando su varie ambiguità presenti nello scritto di Giuseppe Gembillo, come del resto ambiguo è il pensiero di Benedetto Croce, ci sembra inoppugnabile che la svalutazione della matematica effettuata dall’accigliato Georg Wilhelm Friedrich Hegel sia confluita nella sfera mentale dell’assorto Benedetto Croce, incorso perciò  in un clamoroso errore, dal momento che senza matematica non vi è scienza e nemmeno contemporaneità della storia. Di qui discende che non  persuade la tesi secondo cui nell’idealismo e nello storicismo vi sarebbe affinità con l’epistemologia.

In definitiva Benedetto Croce non fece altro che oscillare fra svalutazione e apprezzamento della religione così come  fra svalutazione e apprezzamento della matematica, mentre in effetti nel suo storicismo  il campo religioso e il campo matematico restavano incomunicabili.

4. Presunte prove matematiche dell’esistenza o dell’inesistenza di Dio

È il caso  di accennare a due pubblicazioni che si elidono a vicenda: Kurt Gödel, La prova matematica dell’esistenza di Dio, Bollati Boringhieri 2006 e John Allen Paulos, La prova matematica dell’inesistenza di Dio, Rizzoli 2008. A dire il vero, per quanto possano essere interessanti i contenuti, sono soltanto titoli ad effetto. La prova di Kurt Gödel è un tentativo incompiuto al pari del tentativo di John Allen Paulos. Le argomentazioni dell’uno e dell’altro mescolano tentativi di passare da assiomi a teoremi mediante deduzioni logiche del tipo “se … allora” che conducono a un “forse” e si traducono nella trascrizione di tali deduzioni in simboli matematici. Poiché siamo di fronte a due tipi di linguaggio, quello logico proprio della filosofia e quello del simbolismo matematico, occorrerebbe un’analisi linguistico-matematica dei ragionamenti svolti dagli autori.

È noto che Kurt Gödel non giunse mai ad essere soddisfatto della propria ricerca su un argomento così controverso. Più convinto delle proprie argomentazioni appare John Allen Paulos. Ebbene, si potrebbe osservare che, se Dio è concepito come essere sommamente perfetto, allora deve essere ritenuto anche supremo matematico; ma se è così, la matematica non può giungere alla sua altezza, altrimenti l’essere umano sarebbe divinizzato. Ne consegue che le suddette prove di esistenza o inesistenza restano aleatorie a causa del margine di incompletezza da cui la matematica umana risulta finora contrassegnata. Incompletezza positiva, si badi, nel senso che costituisce il fondamento di un’inesausta ricerca. Questo fondamento in un  genio quale Kurt Gödel era minato però dall’influsso per noi  deleterio su di lui operato dalla filosofia di quell’antipatico Gottfried Wilhelm von Leibniz col suo spiritualismo.

Ricordiamo comunque che Christoph  Benzmüller della  Free University di Berlino e Bruno Woltzenlogel Paleo della Technical University di Vienna con l’articolo Formalization, Mechanization and Automation  of Gödel  Proof of God’s Existence hanno comunicato di avere dimostrato in ambiente informatico dedicato  la correttezza logica della prova. La mente matematica di Kurt Gödel aveva dunque qualcosa in comune con un computer particolarmente potente.

5. Il controverso rapporto fra Chiesa cattolica e  matematica oggi.

Stephen William Hawking ricorda che, per verificare l’ipotesi dell’emissione da lui non ammessa  di radiazioni  nei “buchi neri” avanzata da scienziati sovietici, fece ricorso a un apposito metodo matematico: si convinse così che l’ipotesi degli scienziati sovietici era da ritenere valida e ammise di essersi ricreduto. Chiediamoci ora se i metodi matematici, che ci consentono di elaborare le leggi della fisica, siano compatibili con l’ipotesi della creazione (usiamo il termine ipotesi perché ci muoviamo al momento su un piano strettamente scientifico).

Il problema religioso è tenuto ben presente in Stephen W. Hawking, La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo, Rizzoli, 2003, edizione originale The Theory of Everything. The Originand Fate of the Universe, 1996 by Dove Audio, Inc.. Fra l’altro egli ricorda la sua partecipazione a un convegno sulla cosmologia in Vaticano, durante il quale poté ascoltare il divieto del Papa di “cercare di penetrare i segreti” della Bing Bang Theory, essendo la Bing Bang Theory “il momento della creazione” e, in quanto tale, “l’opera stessa di Dio” (eppure era il medesimo Papa che citeremo più avanti per l’accenno  al rapporto matematica-religione nel discorso di Verona del 2006). Stephen William Hawking confessa di aver temuto allora di poter fare la fine di Galileo Galilei.

Già da tempo però  è iniziata un’apertura della Chiesa cattolica alla scienza e la Pontificia Accademia delle Scienze all’epoca del pontificato di Papa Francesco è ormai sede di incontri fra ecclesiastici e scienziati. In quella sede Stephen William Hawking ha incontrato il Sommo Pontefice, con cui si è instaurata una collaborazione intellettuale nonostante le divergenti posizioni in materia di fede. Differentemente dalla posizione di Clinton Richard Dawkins (si veda Richard Dawking, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori, 2008, edizione originale The God Delusion¸ Bantam Books, 2016), il Vaticano appare orientato verso la tesi che creazionismo ed evoluzionismo siano compatibili. Nello stesso tempo in ambiente ecclesiastico e nella dimora interiore dei matematici credenti la matematica viene considerata il pensiero stesso di Dio. Possiamo ricordare  in proposito la posizione di Joseph Aloisius Ratzinger, Papa della Chiesa cattolica col nome di Benedetto XVI, espressa esplicitamente nel discorso tenuto nel 2006 a Verona durante la visita pastorale in occasione del IV Convegno nazionale della Chiesa italiana con riferimento “alle scienze moderne e alle relative tecnologie”:

“Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l’impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie.

La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza.

È la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo – che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici – già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra.”

Quindi il Papa, mentre contestava “quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita”, in quanto considerava con preoccupazione la consequenziale “nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile”, finiva col riabilitare la matematica, indispensabile al calcolo e alla sperimentazione, all’interno della sua visione religiosa.

Questa svolta, maturata con lentezza in seno alla Chiesa cattolica man mano che è andata progredendo la scienza, comporta peraltro sul piano teologico problemi che non appaiono di agevole soluzione, dal momento che si tratterebbe di armonizzare i  testi  considerati  sacri e le  ipotesi scientifiche, di concepire una divinità che si evolve nella natura ed è nello stesso tempo trascendente, di spiegare come l’idea di  un’intelligenza divina perfetta possa conciliarsi con le imperfezioni della realtà. Le posizioni di chi sostiene il creazionismo contro l’evoluzionismo,  ipotizzando un disegno intelligente, sono oggetto di non trascurabili argomentazioni in contrario, come documentato, ad esempio, nella rivista Micromega 1/2014, a partire dall’intervento di Telmo Pievani intitolato Con buona pace dei teologi (‘eretici’ e non).  D’altra parte nei confronti del meccanicismo così si esprime Giorgio Israel, in  Meccanicismo. Trionfi e miserie della visione meccanica del mondo, Zanichelli 2015:

“L’umanesimo è certamente in crisi, ma la sua intrinseca debolezza contiene elementi insopprimibili che possono farsi largo proprio mentre ci si vanta di averli ridotti e riassorbiti in un meccanicismo i cui trionfi non riescono a nascondere la crisi e l’assenza di risposte autenticamente umane.”

La disputa fra creazionisti ed evoluzionisti, molto aspra negli Stati Uniti, presente in Italia sotto forme in apparenza più aperte al confronto, ma altrettanto insidiose,  contrasta in ogni caso con la libertà di  scelta, valore che allo stato attuale delle conoscenze umane ambedue le parti in causa dovrebbero rispettare, anche se sul dogmatismo dovrebbe prevalere la ricerca. The God Delusion, l’opera di Richard Dawking citata in precedenza, non merita di essere scartata dal dibattito con la sbrigativa accusa di ateismo, senza entrare nel merito delle argomentazioni dell’autore. Può rinunciare la fede religiosa ad essere messa alla prova?

In ogni caso resta il fatto che la matematica è aperta a un nuovo umanesimo sia per i credenti che per i non credenti.

6. Equivoci confessionali  

C’è chi cita passi dello Zibaldone di pensieri da cui si evince un’adesione adolescenziale di Giacomo Leopardi alla religione cristiana (a questo riguardo si pensi al testo Crocifissione e morte di Cristo recitato nella Congregazione dei Nobili in San Vito di Recanati nell’anno 1813 o al discorso La flagellazione recitato il dì 10 marzo 1814).  Tuttavia nello stesso Zibaldone di pensieri Giacomo Leopardi passa in età matura dall’iniziale religiosità a una tremenda contestazione della provvidenza divina:

“L’intelletto umano non è atto a immaginare un piano come quello dell’universo. Ma un intelletto mille volte più forte ed esteso dell’umano, potrà pure immaginarlo. Non vi pare che possa? Dite dunque un intelletto maggiore dell’umano un milione di volte, un bilione, un trilione, un trilione di trilioni. Non arriverete mai ad un  intelletto infinito […] e però mai ad un intelletto divino. […] Lascio anche stare le innumerabili imperfezioni che si ravvisano, non pur fisicamente, ma metafisicamente e logicamente parlando, nell’universo.”

E ancor più esplicitamente il poeta palesa tale contestazione con espressione  agghiacciante, ancorché retoricamente costruita:

“Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista, è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, né diretti  ad altro che al male.”

Contro gli “apologisti della religione” Giacomo Leopardi giunge a definire il Cristianesimo “un misto di favorevole e di contrario alla civiltà, di civiltà e di barbarie”, da ritenere “incompatibile non solo coi progressi della civiltà, ma colla sussistenza del mondo e della vita umana.”

Eppure nell’ultima lettera al padre Monaldo, datata 27 maggio 1837, egli così si rivolge  ai suoi cari:

“[…] Prego loro tutti a raccomandarmi a Dio acciocché dopo ch’io gli avrò riveduti una buona e pronta morte ponga fine ai miei mali fisici che non possono guarire altrimenti.”

Tornando allo Zibaldone di pensieri, in esso risalta anche il precoce interesse dell’autore per l’indagine cosmologica non religiosamente orientata con stretto riferimento al legame fra matematica e fisica. Legame storicamente controverso, giacché, tanto per addurre uno soltanto fra i tanti  esempi, Ernst Cassirer in Kant, Rousseau, Goethe mette in rilievo che, mentre Immanuel Kant nei Primi principi metafisici della scienza della natura sostiene la stretta relazione fra realtà fisica e matematica, Johann Wolfgang von Goethe nel seguente giudizio separa nettamente la matematica dalla fisica:

“Si deve configurare come divisa la fisica dalla matematica […] (La matematica deve) dichiararsi indipendente da tutto ciò che è esterno, proseguire il suo grande cammino intellettuale e formare se stessa più puramente che non possa avvenire quando si occupa, come ha fatto finora, di ciò che esiste e tenta di ricavarne o adattarvi qualcosa.”

Diversamente da questa posizione goethiana Giacomo Leopardi nella sua Storia della astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI, dopo un elogio dello studio degli astri e una rassegna delle indagini sul cosmo nell’antichità classica e orientale nonché  in area americana, cita una serie di insigni matematici, fra cui Pitagora, Talete, Euclide, Archimede, Tolomeo, Galileo Galilei, Niccolò da Cusa,  Giordano Bruno, Niccolò Copernico, Johannes von Kepler,  René Descartes e altri, soffermandosi sui loro contributi alle scienze astronomiche.

Nel caso di Albert Einstein ci troviamo di fronte a un’analoga situazione pertinente al nostro discorso. Mentre abbondano citazioni che sembrerebbero attestare una sua inconcussa fede in Dio, è dato reperire invece  in Albert Einstein, Il lato umano. Spunti per un ritratto, Einaudi 1980 e 2005 (edizione originale Albert Einstein, The Human Side. New Glimpses from his Archives, a cura di Helen Dukas e Banesh Hoffmann, by the Estate of Albert Einstein1979)  espressioni  del genere:

“Non credo nell’immortalità dell’individuo e considero che l’etica sia un interesse esclusivamente umano che non deriva da alcuna autorità sovrannaturale […] Dato che le nostre esperienze interiori consistono nel riprodurre e  combinare le impressioni sensoriali, il concetto dell’anima senza il corpo mi pare del tutto privo di significato [… ] Non riesco a concepire un Dio personale che influisca direttamente sulle azioni degli individui o che giudichi direttamente le proprie creature.”

E nel rispondere   ancor più esplicitamente a un giovane autodidatta,  che chiedeva lumi sul suo pensiero, così si esprimeva:

“Sono, ovviamente, menzogne quelle che Lei ha letto riguardo alla mia fede religiosa, menzogne che vengono sistematicamente ripetute. Non credo in un Dio personale, né ho mai negato questo fatto, anzi ho sempre espresso chiaramente il mio parere in proposito. Se c’è in me qualcosa che si possa definire sentimento religioso è proprio quella infinita ammirazione per la struttura del mondo rivelata  dalle scoperte della scienza.”

A noi interessa sottolineare che i  due esempi addotti attestano come l’applicazione alla matematica e la riflessione sulla religione rappresentino  modalità esistenziali strettamente connesse fra loro e possano generare conflitti interiori tali da comportare a seconda dei soggetti soluzioni  provvisorie o definitive, nelle quali la matematica sembra assicurare scelte non garantite da  posizioni dogmatiche. Si obietterà che, se la religione ha i suoi dogmi, la matematica ha i suoi assiomi e postulati. L’obiezione rende necessario un approfondimento su ciò che accomuni o distingua  assiomi e postulati dai dogmi. Qualcuno potrebbe ragionare in proposito come segue: “Una differenza c’è: i dogmi non accettano l’ipotesi e si pongono come verità rivelate e indiscutibili, di cui sono depositarie le religioni istituzionalizzate, mentre per assiomi e postulati si procede nell’ambito del metodo del se … allora, che è caratteristico della libertà di pensiero assicurata dal procedimento puramente logico. ”

7. La matematica fra teologia e ateologia

È stato osservato che il precedente dottrinale del rapporto fra la matematica e la divinità è costituito dalla biblica affermazione sapienziale in base alla quale Dio creò il mondo “secondo numero, peso e misura”. Ne conseguirono posizioni come quella di Roberto Grossatesta, per il quale Dio è “Numerator et Mensurator primus”, o di Bonaventura, santo della Chiesa cattolica, per il quale “il numero è il modello principale nella mente del creatore”, e così via. Marco Fulvio Barozzi in Matematica teologica: una  rassegna  del 2012 ci ricorda che a John Craig si deve l’opera Theologiae Christianae Principia Mathematica e a Richard Jack l’opera Principles of Theology or the Existence of God geometrically demonstrated: ciò, aggiungiamo noi, a sviluppo di precedenti tendenze di pensiero, ad esempio quella dell’ecclesiastico Niccolò Cusano, il tutto fra Quattrocento e Settecento, dopo di che non vennero meno tentativi anteriori a quello di Kurt Gödel di dimostrare matematicamente l’esistenza di Dio, come quelli di Joseph Graty nell’Ottocento e di Paul Erdős nel Novecento, convinto quest’ultimo che Dio sia in possesso di una vera e propria “Bibbia matematica”.  In questa direzione continuano a svilupparsi ancor oggi numerosi contributi  all’argomento, molti dei quali reperibili in rete, con titoli di per sé stessi significativi: ricordiamo, ad esempio, Francesco Agnoli, La matematica e la fede religiosa: un rapporto lungo trenta secoli. Matteo Casarosa, La matematica e Dio, il pensiero dei grandi matematici del Novecento. Francesco Malaspina, Anche la matematica parla di Cristo. Giorgio Nadali, La matematica di Dio e il Dio della matematica.  Roberto Renzetti, La matematica e Dio; Lorella Pellis, Il Papa e la matematica. Ricordiamo anche Antonio Ambrosetti, La matematica e l’esistenza di Dio, Lindau, Torino 2009 e Mario Livio, Dio è un matematico. La scoperta delle formule nascoste dell’universo,  Rizzoli 2010. Una menzione particolare merita Domenico Concolino, Dio e i numeri incapaci. Sulla relazione fra matematica e vita ecclesiale, Rubbettino 2015. L’essenza del discorso del teologo viene così riassunta da Vincent Dollmann nella prefazione:

“Questo saggio prospetta dunque la possibilità di superare l’apparente contrapposizione tra pensiero logico-matematico e lettura teologica del reale, salvaguardando al contempo l’irriducibilità dell’esperienza di fede a un puro sforzo di quantificazione e catalogazione. I numeri perciò possono davvero definirsi incapaci davanti alla traboccante ed inaspettata azione di Dio in favore del mondo.”

In questa direzione si svolgono anche le considerazioni del matematico Amir D. Aczel, autore di Perché la scienza non nega Dio, Raffaello Cortina Editore 2015.

A tutto ciò si contrappone nel solco di altri scienziati non credenti  il Traité d’athèologie di Michel Onfray, tradotto in italiano col titolo Trattato di ateologia. Fisica della metafisica, Roma, Fazi 2005: al contrario di ciò che suppone Francesco Agnoli in Scienziati dunque credenti, Cantagalli, Siena 2012 non è detto che gli scienziati debbano essere necessariamente credenti. Ricordiamo, oltre che Michel Onfray,  Bertrand Russell col suo Perché non sono cristiano e Lawrence Krauss, docente di Fisica presso l’Arizona State University, autore di A universe from Nothing. Inutile ricordare che alla teologia sono radicalmente ostili  movimenti come il New Atheism Movement e simili. Ciò perché certe correnti teologiche, immemori della Critica della ragion pura di Immanuel Kant, svolgono argomentazioni dal carattere logico sulla base  della presupposizione di una superiorità assoluta della metafisica anche sulla matematica, che sarebbe destinata in tale ottica a restare irrimediabilmente deficitaria, a meno che non si risolva a sottomettersi alla fede. Eppure su un piano razionale lo stesso Dante nella sua qualità di teologo poeta (piuttosto che poeta teologo) poneva un limite alle pretese metafisiche, come, ad esempio, a proposito della Trinità: “Matto è chi spera che nostra ragione – possa trascorrer la infinita via  — che tiene una sustanza in tre persone”. A partire dalla teorizzazione dell’eclissi del sacro nella società industriale ad opera di Sabino Acquaviva, il rapporto tra  fede e ragione nella civiltà occidentale è oggetto di dibattiti seriamente impegnati: ci limitiamo a ricordare in merito  il confronto fra un sociologo e un teologo in  Zigmunt Bauman-Stanislaw Obirek, Conversazioni su Dio e sull’uomo, Laterza 2016 (edizione originale O Bogu i czlowieku. Rozmowy, Wydawnictwo Literackie, Kraków 2013) ed anche quello fra uno studioso di logica matematica ed uno studioso di storia della matematica in Dario Antiseri-Giulio Giorello, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, con una postfazione di Silvano Tagliagambe, Bompiani 2008 (di questi due autori possiamo inoltre ricordare Dario Antiseri, Ragione filosofica e fede religiosa nell’età postmoderna, con Gianni Vattimo, Rubettino 2008 e Giulio Giorello, Di nessuna chiesa, Raffaello Cortina 2005).

In definitiva è da considerare l’argomentazione che, se la matematica può esser detta a torto incapace, incapace può apparire anche la metafisica teologica. Al contrario, che la matematica possa essere una chiave per aprite l’uscio del divino lo suggerisce, come è stato già ricordato,  Srinivasa Aiyangar Ramanujan, per il quale il pensiero matematico e il sapere divino si incontrerebbero oltre la soglia del mistero.

D’altro canto continua ad essere oggetto di scontri ideologici l’osservazione di Jacques Monod in Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mondadori 2017  (ma l’edizione originale dal titolo Le hasard et la nécessité  è del 1970), secondo cui le “etiche animistiche che si vogliono tutte fondate sulla conoscenza di leggi immanenti, religiose o naturali” sono in contrasto con “l’etica della conoscenza” fondata sulla scienza. Per il perpetuarsi di questo conflitto si veda, ad esempio, Telmo Pievani, Il naufragio filosofico di Thomas Nagel su MicroMega, 8/2015, dove l’autore con duro accento biasima il suo bersaglio polemico “perché fornisce argomenti (ancorché campati per aria) ai creazionisti d’ogni risma”.

In definitiva, al di là di ogni controversia, ciò che importa è che la matematica comporta di per se stessa un’etica, mentre le reciproche avversioni fra credenti e non credenti persistono, nonostante i tentativi di dialogo siano sempre più frequenti.

8. Matematica e  religione per persone intelligenti

Procediamo ad accennare a considerazioni di ordine scientifico sull’intelligenza matematica e sull’intelligenza religiosa. Miron Zuckerman, Jordan Silberman, Judith A. Hall in The Relation Between Intelligence and Religiosity. A Meta-Analysis and Some Proposed Explanations su “Personality and Social Psychology Rewiew” nel 2013 concludono che “intelligent people are […] more likely to resist religious dogma” grazie a uno stile di pensiero analitico divergente dallo stile intuitivo, vale a dire che l’intelligenza, in particolare quella matematica, sarebbe meno bisognosa di credenze e pratiche religiose. Questa conclusione però non persuade, perché contraddetta dagli esiti di altre ricerche sperimentali di ordine neurologico comparativo su campioni diversi di soggetti, dalle quali risulta che nel pensiero matematico non è assente lo stile intuitivo e nel pensiero religioso non è assente lo stile analitico. Bisogna altresì considerare che sull’intelligenza influisce una varietà di fattori genetici e ambientali e fra questi ultimi il fattore educativo, a seconda che sia orientato verso la libertà di pensiero o l’indottrinamento. La questione comporta anche il rinvio alla discussa  teoria delle intelligenze  multiple dovuta a Howard Gardner, la complessità della quale richiederebbe un discorso a parte.

D’altra parte Yuval Noah Harari in Homo Deus. Breve storia del futuro, Bompiani 2017 (edizione originale The History of Tomorrow, Harvill Secker 2016) ci pone di fronte a sviluppi che ribadiscono la preminente importanza della matematica per le sorti dell’umanità. L’autore  asserisce che in prospettiva “emozioni e intelligenza sono soltanto algoritmi”. Si va affermando quindi una “visione datocentrica” connessa con il “potere computazionale”. Una nuova sacralità si concretizza nel “dogma statista”, vale a dire che i dati tendono ad assumere una valenza religiosa, orientata verso la sacralizzazione di internet con tutto ciò che tale fenomeno comporta per quanto attiene all’intelligenza, alla mente, alla coscienza, coinvolte in profonde mutazioni funzionali.  Possiamo osservare a questo riguardo che le affermazioni di Yuval Noah Harari implicano l’ovvio riferimento alle neuroscienze, coltivate fra tanti altri scienziati da Marie Amatric e Stanislas Dehaene, i cui esperimenti collocano la matematica nelle regioni prefrontale, parietale e temporale inferiore del cervello. Scrive in proposito Carlo Rovelli in Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi 2014:

“Idee precise sulla forma matematica delle strutture che possono corrispondere alla sensazione soggettiva della coscienza sono discusse non solo dai filosofi, ma anche dai  neuroscienziati.”

In ogni caso, come mi fa rilevare Emilio Ambrisi, non sembra che  l’aspetto cognitivo e l’aspetto emotivo possano restare nettamente separati nell’esperienza interiore, intesa come il realizzarsi dell’identità nell’esistenza del singolo individuo.

9. Sophia pronta a  distruggerci e BlessU-2 a benedirci

Sophia, il robot che esprime emozioni

A proposito di identità ci si chiede oggi se gli automi possano averne  una. Riferendosi a Sophia, umanoide in versione femminile che a chi la veda su youtube dà l’impressione di conoscersi e riconoscerci, Federico Maiocchi in un articolo apparso su “Il fatto quotidiano” nel novembre 2017  scrive fra l’altro: “Tramite la sua logica, l’androide arriva velocemente a porsi domande che somigliano alla riflessione umana sul concetto di identità: ‘Se io sono una versione migliorata di un precedente modello di Sophia, sono ancora Sophia? Chi sono?’  domanda con curiosità allo scienziato che le descrive il suo stadio di sviluppo.”

Essendole stato chiesto se sia pronta a distruggere l’umanità, la donna robotica con aria serena, quasi divertita, ha risposto affermativamente, perché evidentemente è stata programmata per dare questa come altre risposte (ciò comincia ad essere davvero preoccupante, come si può intuire nonché verificare sul sito  stopkillerrobots.org, ove si dà l’allarme sulla possibilità d’impiego a scopi bellici di  automi capaci di decisioni autonome, soprattutto se miniaturizzati e portatili).

Nei commenti dei lettori al succitato articolo è emersa ovviamente una molteplicità di riflessioni concernenti fra l’altro la natura dell’intelligenza, la coscienza, la volontà, la creatività, l’autonomia, l’etica, la differenza fra neuroni e circuiti elettronici, mentre era quasi del tutto assente la riflessione sulle dimensioni corporea e psichica dell’esistenza umana vissuta: il ciclo vitale inteso come percorso corporeo  in interazione con l’ambiente dalla nascita alla morte attraverso infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia (a meno che non intervengano eventi accidentali), inteso cioè come dimensione esistenziale ed esperienziale, risultava eluso, sottinteso o appena accennato.

BlessU-2 il prete che benedice

È stata la matematica a porre questa nuova sfida al pensiero, dando origine al pensiero computazionale, mediante il quale si realizza  la possibilità di simulare facoltà umane in automi. Con i risultati in divenire di questo pensiero è chiamata a confrontarsi anche la religione. Può sembrare bizzarro, per non dire demenziale,  che ci si chieda se un robot possa avere fede. Eppure la questione, per quanto strana possa apparire, merita di essere discussa.  Antonio Gurrado nell’interessante articolo edito su “Il Foglio” dal titolo  In Germania arriva il prete robot. Avrà presto la sua setta ci informa che il congegno informatico  antropomorfo denominato BlessU-2 di religione protestante legge versetti biblici ai fedeli, i quali  possono scegliere la voce maschile o femminile con cui ascoltarli o farseli stampare, assicurandosi in tal modo “la presenza di Dio on demand” (il protestantesimo aveva manifestato una sua tendenza trasgressiva fin dalle origini con quel Martin Lutero che, come ricorda Paolo Isotta, aveva scavalcato la musica sacra tradizionale introducendo le canzoni nei riti sacri).   Fabrizio Melodia nel saggio breve I Robot e la religione, meritevole di essere letto integralmente, passa in rassegna la letteratura fantascientifica sull’argomento non senza  riferimenti filosofici, teologici, psicoanalitici, mostrando un complesso di variazioni sul tema. Diversi narratori raffigurano sorprendenti eventualità più o meno immaginarie: robot manichei a contesa; robot in cerca di un loro dio; robot che si credono loro stessi divinità; robot desiderosi di “uscire dagli stretti regimi di programmazione per essere davvero liberi, in grado di servirsi della propria intelligenza anziché schiavi di una logica matematica autoreferenziale”:

“I robot nascono quindi come forte metafora religiosa, un archetipo collettivo che s’inscrive profondamente nell’inconscio e da quel luogo lotta prepotentemente per emergere alla luce.”

Resta da osservare però che “servirsi della propria intelligenza” richiederebbe comunque l’uso della “logica matematica”, perché proprio la “logica matematica” ha in sè l’essenza  della libertà. Quanto alla fantomatica possibilità che i robot comincino ad essere ordinati sacerdoti, si potrebbe dire scherzosamente che ai teologi  spetterebbe l’ardua deliberazione.

10. Il cosiddetto “fissismo” della matematica

Igor Sibaldi in Il coraggio di essere idiota.  La felicità secondo Dostoevskij, Mondadori 2017 osserva che l’io narrante delle Memorie dal sottosuolo (o Memorie del sottosuolo) prende posizione contro la matematica quale fondamento della scienza. Per l’io narrante le più semplici operazioni aritmetiche sarebbero insopportabili, perché antitetiche alla ricerca della felicità intesa come avventura: sottolinea  Igor Sibaldi  che  secondo l’io narrante l’applicazione della matematica all’esistenza comporterebbe “la morte della libertà”. Una volta applicati i calcoli all’economia, fa dire Fëdor Michajlovič Dostoevskij al suo personaggio, la responsabilità si azzererebbe col subentrare di una banalizzazione dell’esistenza:

“Allora si creeranno nuovi rapporti economici, calcolati anch’essi con precisione, sicché spariranno di colpo tutti i possibili problemi, per l’evidente ragione che vi saranno già tutte le possibili risposte.”

Vengono in mente parole pronunciate informalmente da Jorge Mario Bergoglio, Papa della Chiesa cattolica col nome di Francesco, nel rivolgersi ai giovani, allorché il sommo pontefice sembrò quasi riferirsi proprio all’io narrante delle Memorie dal sottosuolo (o Memorie del sottosuolo). Egli infatti ammonì gli uditori a ben distinguere il valore del Vangelo dal “fissismo” della matematica.  Pur nella loro semplicità e immediatezza, tali parole suscitano perplessità, comportando complesse implicazioni. È in questione il significato attribuito da Francesco in sede informale al termine “fissismo”.  Giornalisticamente il termine è stato ritenuto un neologismo coniato dal Papa, mentre esso preesisteva in ambito scientifico, come definito nell’Enciclopedia Treccani:

“Concezione biologica secondo la quale le specie animali e vegetali sono immutabili e quindi non suscettibili di evolvere attraverso le generazioni (fissità della specie). […] Accertato nelle tradizioni culturali più antiche di ogni popolo, il f. fu formulato da C. Linneo nella prima edizione del Systema naturae e nella Philosophia botanica […] Il f. fu abbandonato dopo la pubblicazione di On the origin of species (1859) di Darwin e l’affermarsi della teoria dell’evoluzione.”

Come per la biologia a partire da Charles Robert Darwin, così per la matematica nel corso della sua storia non sembra si possa parlare di “fissismo”, e nemmeno di attentato alla libertà e alla responsabilità, anzi sarà vero il contrario.

Oriana Fallaci in Inshallah  ebbe così ad esprimersi:

“No, non è vero che sia una scienza rigida, la matematica, una dottrina severa. È un’arte seducente, estrosa, una maga che può compiere mille incantesimi e mille prodigi. Può mettere ordine nel disordine, dare un senso alle cose prive di senso, rispondere ad ogni interrogativo. Può addirittura fornire ciò che in sostanza cerchi: la formula della Vita.”

E piace citare in proposito anche un’altra testimonianza di “matematica al femminile”, in questo caso non di una “donna matematica”, ma di una giornalista, Camilla Tagliabue, che su “Il fatto quotidiano” del 17 novembre 2017 così riconosce l’élégance della nostra regina:

“è un  piacere poi (ri)scoprire – in un Paese disamorato dei numeri – che la scienza è umanissima, rissosa, procede per errori; è un gioco, un’arte. Infatti i matematici cercano solo dimostrazioni eleganti.”

11. Il nuovo mito della caverna

La riflessione sui significati di teismo, deismo, panteismo,  ateismo, agnosticismo non può prescindere da tentativi di ricognizione dell’inconscio.

L’opposizione ecclesiastica allo studio scientifico del fenomeno religioso è divenuta ormai trascurabile. Nelle rassegne consultabili in rete La psicologia della religione  e La psicologia della religione in Italia. Storia, problemi e prospettive Mario Aletto, da annoverare fra i maggiori esperti dell’argomento e da seguire sul sito SIPR – psicologiadellareligione.it,  evidenzia il dibattito sulla differenza fra religione e spiritualità, sulla religione vissuta in prospettiva psicoanalitica e  psichiatrica, sul rapporto fra religiosità e neurobiologia ovvero sul cervello religioso, sul vissuto psichico dell’uomo non religioso. Da una puntuale rassegna di Daniela Ovadia dal titolo Alla ricerca del gene di Dio sul numero  novembre-dicembre 2005 della rivista  “Mente e cervello” possiamo desumere diversi orientamenti sulla psicologia religiosa studiata sperimentalmente.  Vilayanur Ramachandran, direttore del Center for Brain and Cognition presso l’Università di California, San Diego, è orientato a ridurre  l’esperienza religiosa alle sue basi neurali, ipotizzando un “modulo di Dio” nel collegamento lobo temporale – sistema limbico, senza essere giunto peraltro  a conclusioni definitive, dal momento che la ricerca scientifica, si sa,  resta sempre aperta.  Il genetista statunitense Dean Hamer ipotizza un “gene di Dio”. Il neuroteologo Mario Beauregard, studioso del “cervello mistico” o “cervello spirituale”, in base a ricerche  sperimentali sull’attività cerebrale di frati in preghiera  esclude che la spiritualità possa essere completamente spiegata dalle neuroscienze, alle quali sembrano sfuggire entità come la mente, la coscienza, l’anima. Nell’articolo Sommes-nous programmés pour croire? sul sito del settimanale cattolico La Vie Sarah Cestau  ricorda la posizione del Padre Jean Duchesne, nella cui visuale creazionista non v’è evidenza scientifica dell’inesistenza di Dio e la fede spinge ad ammettere che la programmazione dell’attività cerebrale in senso religioso sia opera di Dio stesso.  Tuttavia possiamo osservare che in tal modo non viene spiegato il fenomeno della negazione psichica di una divinità trascendente.

Dalla psicologia passiamo alla psicoanalisi dell’affermazione o della negazione di Dio.  Si è insistito più sopra sul tradurre “del” oppure “dal” nel titolo dell’opera di Fëdor Michajlovič Dostoevski e ciò perché il “del” comporta il prevalere della coscienza sull’inconscio, mentre il “dal”  comporta un affioramento che non rappresenta una vera e propria liberazione. Anche Zygmunt Bauman collega inconscio e ricerca religiosa, quest’ultima da non condurre con il “pensiero escludente” proprio delle religioni istituzionalizzate, secondo l’espressione di Stanislaw Obirek.  Comunque a noi interessa notare come nella problematica esistenziale religione e matematica vengano a incontrarsi e anche a scontrarsi più o meno consciamente. Sergio Benvenuto si sofferma su Gli amori di Matematica e Psicoanalisi. Amori che riconosce in Ludwig Josef Johann Wittgenstein:

“Di primo acchito questa preferenza per due saperi così diversi può stupire […] Eppure ogni tanto Psicoanalisi e Matematica hanno incontri, brevi o prolungati, comunque appassionati: una specie di amore morganatico dell’una per l’altra.”

Anna Curir in L’inconscio e la matematica: riflessioni di una astrofisica sul pensiero di Matte Blanco  su “Psicologi a confronto” 2010, riferendosi a Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti, Einaudi 2000 (ma l’edizione originale è del 1975) così riassume l’essenza del dibattito:

“La psicoanalisi fa con l’essere psichico reale, che è l’uomo, ciò che la matematica ha fatto e fa con il suo oggetto ideale: scopre complessità e sottigliezze sempre crescenti. […] Perciò proprio come la matematica è utile per la comprensione della mente, la psicoanalisi può essere fonte di sviluppi matematici. […] I buoni psicoanalisti sono buoni algebristi astratti, poiché la mente che ha sviluppato il concetto di infinito matematico è la stessa mente che ha sviluppato la nozione di simbolo.”

Con la tesi di Matte Blanco dell’inconscio come sede di creatività matematica è in consonanza la concezione dell’inconscio avanzata da Jacques Lacan. In Matematica e cultura, Springer Italia, Milano 2006 Antonello Sciacchitano sostiene che in tale concezione la matematica è in contrasto con ogni prospettiva religiosa. Infatti al soggetto finito si contrappone non un unico infinito ontologico, ma una pluralità di infiniti (ripetizione dell’identico, numerabilità, continuità), che costituiscono l’oggetto sia della matematica che dell’inconscio (particolare rilievo in proposito assume anche  il contributo di Viktor Emil Frankl  in Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, Morcelliana 2014).  Presso la Escuela lacaniana de Psicoanalisis madrilena,  Marco Focchi ha tenuto una serie di conferenze su Jacques Lacan. Proviamo a desumere dai testi delle conferenze alcuni aspetti pertinenti al nostro discorso, rinviando per ogni ulteriore delucidazione agli originali. Il pensiero di Jacques Lacan oltre alla linguistica riguarda sia la matematica che la religione. Al centro della sua teoria psicoanalitica è l’Uno, esaminato dal lato denotativo del linguaggio, ossia come semplice significante senza connotazione. Ma da che cosa nasce l’Uno? Dalla mancanza. Dalla cancellazione dello zero come insieme vuoto nasce “l’Uno di conto” secondo il procedimento di  Friedric Ludwig Gottlob Frege. Fatto sta che “nell’uso che Lacan fa della matematica non è mai questione di calcolo, ma di concetti”: ciò perché tale uso non concerne una realtà esterna al soggetto, ma il soggetto stesso, si addentra cioè nel soggetto come il critico nell’opera d’arte. Nella “matematica concettuale” di Jacques Lacan l’indice di posizione zero vene fatto valere come esponente “e questo serve, secondo Lacan, per vedere come la successione dei numeri interi non sia sostenuta da nient’altro che dalla reiterazione dell’Uno uscito dall’insieme vuoto e che, in ultima istanza, la reiterazione dell’Uno è la reiterazione della mancanza”. A ciò si ricollega l’infinito matematico.  Sui  “sottoinsiemi di un insieme infinito” si è espresso Georg Ferdinand Ludwig Philipp Cantor. Siamo di fronte al “triangolo di Tartaglia” o “triangolo di Pascal”, come lo chiama Jacques Lacan, il quale “sembra presentare l’idea che anche nel continuo si possa introdurre una mancanza”, così diminuendo il numero delle partizioni e finendo col discostarsi dalla notazione numerica di Eric Temple Bell. Lo zero, il vuoto, il buco, ossia il trauma, sono perforazioni del continuo. Socrate e il sapere di non sapere, Aristotele e la catarsi, l’Ecclesiaste e la ricerca della beatitudine, il dilemmatico essere o non essere dell’Amleto di William Shakespeare, il monologo interiore di un Ulisse che va errando in se stesso qual è il Leopold Bloom di James Joyce si configurano come rimandi lacaniani a esplorazioni dell’inconscio. Sempre secondo Marco Focchi,  per Jacques Lacan “la cosa più stupefacente nell’essere parlante è che riesca a farsi un’idea di beatitudine dalla quale sentirsi esiliato”, vale a dire che “per riuscire a pensare a un paradiso perduto bisogna prima immaginare un luogo edenico, che di per sé non ha nessun motivo di esistere, e poi rimpiangerlo come se mancasse”. Nel confronto fra l’esperienza religiosa e l’esperienza scientifica  risalta però un aspetto cruciale: la tentazione, presente in ambito religioso, è assente in ambito scientifico. L’idea di origine patristica del male inerente alla scienza del numero risulta inesatta.

La matematica in sé non si configura come instrumentum diaboli.

Non conosce il demonio. Belzebù, Berlicche,  Fistolo,  Lucifero,  Malacoda, Satana e quant’altri spiriti infernali le sono estranei. La matematica è insediata fin dalle origini nel suo Eden, senza che alcun frutto proibito riesca a insidiarla. La regina delle scienze ha il suo regno in un  paradiso come quello sognato da  Cantor, nella cui dimora interiore si realizzava il connubio fra religiosità e matematica come nell’ungarettiano “paese innocente”.

Forse nessun’altra creazione umana riesce ad eguagliare il privilegio del matematico, che contempla in sé  i numeri riflessi oltre il limpido cristallo della mente e si accorge che li sta sognando con l’ingenua sapienza  del bambino, così evocata da Federico del Sagrado Corazón de Jesús García Lorca in una sua  toccante conferenza sulle ninne nanne:

“Egli si trova ad essere. contemporaneamente, spettatore e creatore: quale meraviglioso creatore! È uno che possiede un senso poetico di prim’ordine.”

Nella creatività matematica rivive il mito delle origini.

Le è connaturata una sorta di trasparenza del mistero. La sua purezza affiora dalla profondità dell’inconscio e riscatta l’io cosciente da ogni peccaminoso allettamento. Il Deus absconditus con un suo linguaggio cosmico si cela forse nell’elaborazione inconscia della verità matematica?

Matematica e Religione – 1

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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