Per superare molte delle difficoltà della matematica può bastare un ambiente che aiuti a insegnarla meglio. Un ambiente in cui i docenti si ritrovino uniti.
L’articolo del test di Hersh dell’11 dicembre scorso ha suscitato un indubbio interesse. Le non poche letture su Matmedia sono state accompagnate, infatti, anche da vivaci discussioni nei gruppi di utenti sui social media. Le discussioni hanno riguardato per lo più alcuni punti del testo che nella sintesi avevo probabilmente sacrificato in chiarezza. Tra questi certamente il significato dell’intestardirsi dei docenti su determinati percorsi didattici e l’individualismo che ne consegue. Aspetti che separano i docenti anziché unirli. Sotto accusa, alla radice dell’intestardimento, pongo principalmente l’ordine sequenziale, il passo dopo passo dell’insegnare. Cioè uno dei primi e fondamentali ingredienti dell’insegnamento. Uno dei primi di cui la didattica della matematica s’è dovuta occupare e che ha dovuto studiare come qualcosa suscettibile di grande flessibilità.
Non c’è un ordine divino, né una via che sia più regia di un’altra in assoluto, a prescindere dal contesto.
La matematica è talmente connessa al suo interno che vi si possono stabilire reti di connessioni multiple e scegliere le inferenze a seconda dei bisogni didattici, del gusto e del lessico disponibile. Il fatto poi che nell’insegnamento ciascuno trovi del tutto naturale ricapitolare, sgomitolare, la sua linea di apprendimento è proprio legato allo stabilirsi in ciascuno di una linea privilegiata di legami e di germinazione logica di argomenti e concetti. In genere, cioè, si è portati a insegnare la matematica così come la si è appresa.
Ciascuno si mantiene legato alla sua catena deduttiva, al suo prima e dopo dei concetti, alla sua inferenza logica che diviene itinerario didattico da cui costa fatica allontanarsi. E questo è l’aspetto delicato, che può ingenerare individualismo.
Che cosa propone l’articolo?
Un programma di lavoro per superare l’individualismo e creare un ambiente sintonico al progetto educativo! Un programma che parte dalla interrogazione singola e collettiva sulla natura e sull’essenza di ciò che si va insegnando.
Nelle discussioni che ci sono state, in particolare nei gruppi social, qualcuno ha interpretato ch’io stessi proponendo un metodo di insegnamento. Devo dire che non è così. L’ho detto prima. In didattica direi che la mia posizione è di essere contro il metodo, al modo di Feyerabend ed altri. Purtuttavia è anche vero che un metodo io lo propongo! Non riguarda il come s’insegna. Riguarda piuttosto qualcosa che è a monte dell’insegnamento. Riguarda, se volete, lo spirito con cui s’insegna, la consapevolezza di ciò che si insegna e quanto l’ambiente in cui s’insegna è pieno di questo spirito e di questa consapevolezza. Spirito e consapevolezza che si conquistano interrogandosi appunto su natura e essenza di ciò che s’insegna.
L’obiettivo finale della strategia è dunque l’ambiente!
Con molta probabilità l’idea che l’apprendimento della matematica dipenda in una certa misura da una predisposizione genetica, innata nel soggetto, avrà sempre i suoi sostenitori. E questo non sembra impegnarci più di tanto! È certo però che l’idea che esso dipenda in massima parte dall’ambiente circostante è una realtà sempre più provata e condivisa. E questo ci impegna di più perché dell’ambiente circostante sono centri propulsivi le aule scolastiche e universitarie. Che siano cellule vitali di un ambiente matetico e mateloquente dipende molto dai docenti Un ambiente che li accomuni nella consapevolezza del comune destino della ricerca dell’essenza e della natura di ciò che insegnano. Dovrebbe essere questa, credo, la preoccupazione di ogni piano di formazione iniziale o in servizio dei docenti di cui pure attualmente si sta discutendo.
La questione è stata anche ben chiarita da Adriana Lanza che in un gruppo fb ha asserito:
«chi ha scritto l’articolo invita a discutere su alcuni argomenti, non va alla ricerca di un metodo universale. […]Nell’articolo non si fa altro che ripetere che bisogna superare l’individualismo tipico degli insegnanti che pensano solo al proprio metodo. Nella conclusione si avvia un dibattito, che poi è il vero scopo dell’articolo, invitando tutti a porsi e rispondere a 6 domande che l’autore chiama test di Hersh». Una delle domande la stessa Adriana Lanza l’ha affrontata in: Esiste l’infinito? E come?
Il programma di lavoro, ha stimolato comunque altri pregevoli suggerimenti che di seguito si riportano con l’autorizzazione degli autori che si ringraziano.
Aldo Cannas:
«Vale la pena porsi queste domande. Vale la pena sforzarsi di non ridurre l’insegnamento della matematica a tecniche di calcolo, vale la pena tentare di superare la frattura tra discipline umanistiche e scientifiche. Ma quanti sono i docenti in grado di gestire queste situazioni? A parte il fatto che tanti (troppi) docenti nelle scuole secondarie di secondo grado hanno svolto all’Università altri studi (e nella secondaria di primo grado quasi nessuno) ma anche chi ha studiato Matematica non sempre si è posto questi problemi.
Però può valere la pena iniziare anche se si tratta di minoranze.
Un problema grosso riguarda poi la formazione in servizio, che secondo me dopo l’Autonomia, anche quando viene svolta, non lo è con quella spinta propulsiva necessaria e che una iniziativa centralizzata garantirebbe meglio».
Silvio Maracchia:
«Per ogni tipo di insegnamento è necessario naturalmente che il docente conosca quello che insegna al di là delle cognizioni presenti nei libri di testo ed è necessario che egli sia consapevole dell’importanza della materia che insegna qualunque essa sia. Questo porta all’entusiasmo per il suo insegnamento, entusiasmo assolutamente contagioso nei suoi allievi.
Antonino Giambò:
«[…] A differenza di altre discipline, la Matematica è come il maiale: non si butta via niente. Per cui, con il passare degli anni c’è un tale accumulo di nozioni e concetti che, se non sono diventati parte di te (cosa assai rara), si corre il rischio di smarrirsi. […] La Matematica è una disciplina rigorosa. Ma io non credo che il rigore debba essere il punto di partenza».
Marinella Vastano:
«[…] interessanti le domande che tra l’altro mi pongo e cerco di porre ai miei ragazzi, talvolta. Mi rendo conto, però, che sarebbero interessanti le loro risposte in età più adulta, dopo aver affrontato argomenti più rilevanti. Comunque io inizio a farlo…perché penso sia importante abituarli ad uno studio diverso… Il confronto con i colleghi invece è più arduo…».
Nicola Fusco:
«Sicuramente riflettere su queste questioni non può che fare bene alla consapevolezza dell’insegnante, e questo non può che rendere migliore la sua azione didattica. Però non so quanto sia utile, o anche solo applicabile, anticipare così tanto l’astrattizzazione estrema che di solito si incontra nell’università. La mia esperienza mi dice che le difficoltà della matematica nascono proprio dalla poca dimestichezza con l’astrazione, a cui si deve essere abituati (e ci si deve voler abituare)».
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