La scuola in decadenza nel paese di distopia che è utopia negativa dove il peggio è già realizzato e quindi sicuro e la scuola è sul mercato.
Utopia e Distopia

Il ministro Valditara visto da B.S.
Utopia per Tommaso Moro è un’isola immaginaria presentata come una realtà positiva, come uno Stato ideale realmente esistente, non da realizzare nel futuro, abitato dagli Utopii o Utopiensi. Tommaso Moro non poteva sapere che sarebbe esistita questa Distopia peninsulare separata nell’estremo Sud da un’isola in zona sismica, dove è stato costruito un ponte destinato a crollare. Distopia smentisce l’insigne studioso Edgar Morin che conclude il volume da lui dedicato all’identità umana nel mondo d’oggi con questo aforisma: “Niente è sicuro, neanche il peggio.” Invece in Distopia, che è un’utopia negativa, il peggio è già realizzato, quindi è sicuro.
I Distopii o Distopiensi sanno bene che nel loro paese vige l’utopia negativa, avendolo appreso dal Vocabolario Treccani on line che la definisce così: “Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi”. Questo stato di cose futuro, l’abbiamo già detto, in Distopia è già presente. Lo Stato di Distopia, come ogni Stato, consiste di tre elementi: popolo, sovranità, territorio. Però questa unità statale vi si trova frammentata. Fatta a pezzi, direbbe Papa Francesco. Vi sono tante regioni, ciascuna delle quali forma uno Stato a sé stante.
La scuola in Distopia
In Distopia tra i tanti problemi c’è quello della scuola in decadenza. Una decadenza cominciata con la legge della cosiddetta buona scuola. La buona scuola era una e una sola, mentre ora vi sono tante buone scuole quante sono le regioni. Ciascuna regione si avvale di suoi specifici programmi di studio e stabilisce i propri criteri per gli esami. Nel campo della didattica e della valutazione vige però un vincolo: l’intera tradizione pedagogica deve essere ignorata e gli studenti non possono essere valutati se non mediante i test, escogitati per selezionare i meritevoli, quelli meglio addestrati piuttosto che meglio formati, da avviare come manovalanza verso lavori sottopagati soprattutto nei settori tecnici e informatici.
Le retribuzioni del personale scolastico variano da regione a regione. Anche qui però c’è una soglia da non superare: il tetto retributivo non può essere alto per tutti, perché la ricchezza da distribuire resta scarsa. Pauperismo ritenuto inevitabile da Gianluca Argentin, docente di Teorie sociologiche e mutamento sociale all’Università degli studi di Milano-Bicocca, come si può vedere nel suo volume Nostra scuola quotidiana. Il cambiamento necessario, Il Mulino, 2021, in cui non si accenna alla possibilità che lo Stato una buona volta si decida ad investire massicciamente in istruzione nella direzione giusta. Solo pochi eletti, i super-professori, sono da remunerare lautamente.
Quindi la scuola risulta subordinata a una progettualità economico-finanziaria che non tiene conto delle esigenze educative.
Progettualità in cui è rientrato il ridimensionamento degli istituti scolastici, che per effetto degli accorpamenti sono sovraffollati, mentre un congruo numero di operatori è stato soppresso. È aumentato invece il numero degli individui operanti in istituti privati che forniscono servizi sostitutivi. Insomma in Distopia la scuola è sul mercato. Intanto problemi di gravità estrema restano privi di efficaci soluzioni. Si pensi alla crisi dell’autorità familiare e alle trasgressioni dei soggetti da educare spinte fino a comportamenti devianti a scuola e a forme di delinquenza di gruppo negli ambienti cittadini.
Il residuo senso di responsabilità
In Distopia la sostanza della formazione culturale, civile e umana delle giovani generazioni continua a restare estranea a chi istituzionalmente dovrebbe curarla. La speranza resta affidata al senso di responsabilità da cui nonostante tutto continua ad essere animata la maggioranza degli educatori. Depositari misconosciuti, questi ultimi, dello spirito civico evocato dall’aureo precetto di Tommaso Moro:
“Se non puoi al tutto estirpare le sinistre opinioni, nè provvedere ai vizii già posti in uso, non però si debbe abbandonare la repubblica, siccome neanche la nave agitata dalla fortuna, quantunque tu non potessi raffrenare il furor dei venti.”
Come si è giunti a questo punto?
Per capire meglio come si sia giunti al regime distopico, potrebbero essere utili fra le tante le argomentazioni di Stefano Fassina sul sito dell’huffingtonpost [VEDI]
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