Gli aspetti della simbiosi tra ricerca della bellezza e ricerca della verità. L’Estetica della e nella scienza. Guardiamoci dal sopprimere il “senso estetico matematico nascente nei bambini”.
Negli ultimi decenni del Novecento il rapporto fra estetica e scienza è stato oggetto di rinnovato interesse sia dal versante estetico che da quello scientifico. Gli aspetti della simbiosi tra ricerca della bellezza e ricerca della verità hanno ricevuto in quel periodo interessanti contributi, seguiti da ulteriori sviluppi.
Subrahmanyan Chandrasekhar, premio Nobel per la Fisica, è autore fra l’altro di Truth and Beauty. Aesthetics and Motivations in Science (1987), poi pubblicato in italiano dalla casa editrice Garzanti (1990).
Libero Sosio su disf.org recensisce il saggio, intitolato nella traduzione italiana Verità e bellezza. Le ragioni dell’estetica nella scienza, osservando che è “dedicato principalmente alle motivazioni che spingono uno scienziato a dedicarsi all’attività di ricerca, tra le quali determinante è appunto la ricerca della bellezza nella scienza e il suo significato”.
L’estetica nella scienza è l’argomento di un corso coordinato dalla storica dell’arte Judith Wechsler presso il MIT – Massachusetts Institute of Technology.
I contributi degli scienziati partecipanti furono editi nel 1978 a cura del MIT col titolo On aesthetics in science, opera poi tradotta in italiano e pubblicata nel 1982 dalla casa editrice Editori Riuniti. I contributi, riguardanti l’inerenza dell’estetica alla scienza “nel suo farsi”, tendevano a dimostrare che sulla scelta delle ipotesi scientifiche influiscono fattori estetici, contribuendo a determinare i modelli stessi.
Nel caso di Subrahmanyan Chandrasekhar l’attenzione è rivolta alla bellezza come risultato dell’attività scientifica. Una data teoria viene considerata dal punto di vista estetico come un prodotto finito. Vale a dire che ci si pone di fronte a un’opera considerata staticamente. Si tratta perciò di estetica della scienza (diremmo dunque che un teorema brutto è una contraddizione in termini). Nel caso di Judith Wechsler ciò che interessa è invece l’apporto più o meno consapevole che l’estetica dà al dinamismo della ricerca scientifica: ad esempio, una “estetica delle relazioni matematiche pure” è inerente alla genesi delle forme simboliche. Queste non sarebbero frutto di mera razionalità, ma risentirebbero della sensibilità estetica di chi creativamente le elabora. Si tratta in questo caso di estetica nella scienza.
Dai contributi degli scienziati partecipanti al corso del MIT possiamo estrapolare diversi spunti.
Nel lavoro scientifico sono presenti interazioni strutturali di intuizioni, immagini, metafore, analogie, simmetrie integre o infrante proprio come nel lavoro artistico. Sarebbe interessante studiare i modi in cui lo scienziato usufruisce degli attrezzi creativi delle diverse arti. Sia nella scienza che nell’arte assistiamo storicamente a cambiamenti di paradigmi.
Pablo Picasso è innovatore nel campo delle arti figurative col cubismo.
Arnold Schönberg è innovatore nel campo musicale con la dodecafonia.
Albert Einstein è innovatore nel campo della fisica con le teorie della relatività.
Possiamo chiederci quali siano le eventuali relazioni fra le diverse innovazioni.
Oggi, Stuart Kauffmann suggerisce che l’innovazione in un dato campo scientifico, ad esempio in matematica, consista nell’inoltrarsi dalla luce di un dato ubi consistam nell’ombra di un “possibile adiacente” ancora da esplorare. Ciò, si può aggiungere, varrebbe anche per il “possibile adiacente” delle cosiddette arti belle.
Seymour A. Papert offre al dibattito un contributo particolarmente interessante dal titolo L’inconscio matematico. Considerando l’esperienza estetica in termini di piacere, egli scrive:
“Il piacere, ovviamente, è una cosa che si prova spesso nel lavoro matematico, ottenuto quasi a ricompensare sé stessi quando, dopo ardui sforzi, si è raggiunto lo scopo desiderato”.
Ma è un piacere che di regola non ci si propone coscientemente come scopo e si rivela tanto più gratificante dopo gli sforzi compiuti. Scrive ancora lo scienziato: “Poincaré è fortemente colpito dal modo in cui la soluzione di un problema su cui si è lavorato in una fase precedente, spesso venga alla coscienza senza preavviso, già quasi confezionata, come se fosse il prodotto di una parte celata della mente”.
In definitiva, esasperando l’aspetto logico nell’insegnamento delle scienze matematiche, si ignora la teoria dell’intelligenza emotiva di Daniel Goleman e si sottovaluta la componente inconscia, che concorre al godimento. La matematica così finisce col restare scissa dall’essere umano.
Francesco Alberoni ha scritto: “Che cos’è l’innamoramento? È lo stato nascente di un movimento collettivo a due”. A questo stato nascente nella scienza e nell’arte si deve la creazione cosciente e inconscia della bellezza della scienza e dell’arte. Ricordiamo che è inconsciamente matematica anche l’infanzia. Riponiamo la nostra fiducia nelle energie che nascono dall’inconscio.
Guardiamoci dal sopprimere il “senso estetico matematico nascente nei bambini”.
NEL SITO:
Biagio Scognamiglio, Matematica ed Estetica in Periodico di Matematiche 1/2017
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