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Susanna Tamaro: Scuola,  boomerang promuovere tutti.

Un pamphlet in forma di lettera a una professoressa. Non bocciare i negligenti è solo un rinvio: la resa dei conti arriverà…..Il rischio è  di benedire il montante andamento verso una meritocrazia definita e gestita da enti esterni, estranei, stranieri rispetto alla realtà scolastica.

Nel Vocabolario Treccani si legge la seguente definizione del verbo  “bocciare”: “Nel gioco delle bocce, colpire con una bocciata una palla dell’avversario. Analogamente, nel gioco delle boccette, colpire con la propria palla la palla dell’avversario o il pallino per atterrare i birilli.” A scuola si dovrebbe giocare a bocce per atterrare i discenti come birilli?

Su diversi siti ai primi di settembre viene annunciato un imminente evento editoriale: Susanna Tamaro, Alzare lo sguardo. Il diritto di crescere, il dovere di educare, Solferino, 2019. Sul sito corriere.it  2019 se ne dà notizia sotto il titolo “Susanna Tamaro, il nuovo libro – Scuola,  boomerang promuovere tutti”, seguìto dal sottotitolo o sommario “Esce il 5 settembre Alzare lo sguardo (Solferino), pamphlet in forma di lettera a una professoressa. Non bocciare i negligenti è solo un rinvio: la resa dei conti arriverà”.

“Se si risvegliasse don Milani, che cosa direbbe della scuola di oggi? I «Gianni» che all’epoca venivano ripetutamente bocciati ora non incorrono più in quell’onta, in quello stigma sociale. Tutti promossi, ma con una promozione che ha l’effetto di un boomerang. Colpisce e torna indietro lasciando a terra il corpo inerte. La parte importante del suo metodo — il lavorare insieme creando un sapere che nasce dalle domande, dunque maieutico — è stata rapidamente archiviata. Travisato e manipolato, è rimasto soltanto il diktat: non bocciare i Gianni!”

La scrittrice intende stigmatizzare una certa tendenza a promuovere anche alunni non meritevoli, senza aver profuso adeguato impegno per coinvolgerli in un serio progetto formativo, venendo meno in tal modo  alla responsabilità deontologica inerente alla funzione di chi è investito del compito di esprimere un giudizio. Il suo intervento rischia però  di avallare un discredito generalizzato nei confronti dei docenti e di benedire il montante andamento verso una meritocrazia definita e gestita da enti esterni, estranei, stranieri rispetto alla realtà scolastica vissuta sul campo. Enti che si pongono come terapeuti nel momento stesso in cui paiono assumere le sembianze di un germe patogeno, indirizzato a generare automi sulla base di competenze arbitrariamente definite, astratte sia rispetto al saper fare che al saper essere.

Non abbiamo bisogno di un Don Milani alla rovescia, impegnato a centrare e abbattere birilli. Perciò il libro in forma di nuova lettera a una professoressa non intendiamo leggerlo, confortati in questa decisione da quanto ebbe a dire in una passata occasione a proposito di altra opera dell’autrice un critico letterario della statura di Geno Pampaloni.  Peraltro non possiamo negare a Susanna Tamaro il nostro ringraziamento: il tempo così risparmiato ci consente di dedicarci ad opere estranee alla letteratura di massa, giustamente sgradita al nostro altro grande critico Alberto Asor Rosa.

Preferiamo opere che costituiscano una testimonianza della condizione reale della scuola italiana, come, ad esempio,  Giovanni Floris,  Ultimo banco. Perché insegnanti e studenti possono salvare l’Italia, Solferino, 2018. Il giornalista, noto anche per una sua fortunata  rubrica televisiva, si esprime in materia con cognizione di causa sulla base di un’ampia raccolta di testimonianze sul campo. Così vengono messi in rilievo fra l’altro i tanti fenomeni odierni di mancanza di rispetto nei confronti dei docenti sia da parte di studenti che da parte di genitori. E viene stigmatizzata una carenza di esempi positivi, per non dire una sovrabbondanza di esibizioni diseducative, perfino in ambito politico. Ecco dove attecchiscono per Giovanni Floris i fenomeni lamentati, da affrontare con una seria analisi multifattoriale:

“Nel modo in cui è strutturata la scuola stessa, innanzitutto, e come vedremo, più in generale, la società italiana.” La forma letteraria della lettera indirizzata a una Professoressa (e a un Professore) sta ritornando in voga. Ad essa ricorre anche Alberto Melloni, che ha curato e introdotto il Meridiano Mondadori dedicato per l’appunto a Don Lorenzo Milani, con un intervento su “la Repubblica” in data 8 settembre 2019 sotto il titolo redazionale “Cara Professoressa, le dico solo grazie”:

“Lei deve smontare il bullo e insegnare la grammatica […] Gestire i disturbi dell’apprendimento ed essere attore della rivoluzione digitale. Vigilare sul razzismo e sulle equazioni di secondo grado […]”

Sul medesimo quotidiano in pari data la rubrica Invece Concita  di Concita De Gregorio ospita la testimonianza di una studentessa diciottenne che indirizza a sua volta una lettera agli alunni e ai genitori, oltre che ai professori e alle professoresse:

“Alunni, sta per ricominciare la scuola, non pensate mai che (scilicet  gli insegnanti)  vogliano il vostro male, anzi, salvo qualche rara eccezione, sono lì per dare un senso alla vostra esistenza e darvi una mano a crescere sia per quanto riguarda il vostro bagaglio culturale, sia a farvi capire quanto è importante avere una buona educazione ed essere brave persone. […] Genitori, i vostri figli sono la cosa più preziosa che avete, non dategli sempre ragione […],   se l’insegnante vi vuole parlare è perché ha bisogno di farvi capire quanto sia più o meno grave una situazione […].”

Il detto latino “serit arbores quae alteri saeclo prosint” trova in  questa lettera una sua diversa corrispondenza, nel senso che la semina degli alberi darà i suoi frutti, prima ancora che in una successiva generazione, nella coscienza di allievi resisi conto, anche se non immediatamente, dell’abnegazione dei docenti: “Quindi, cari professori e professoresse, grazie per tutto quello che fate e mi dispiace non avervi capito e ringraziato prima.”

In precedenza  la studentessa aveva evocato con crudo realismo e dolente  partecipazione l’infiltrarsi della violenza anche nel tempio sacro  all’educazione: “C’è un tempo, in  cui gli insegnanti non possono fare il loro lavoro e vengono picchiati dai genitori, vengono mandati all’ospedale perché hanno fatto bene il loro lavoro.”

Simili fenomeni, anche se non vanno generalizzati, non devono nemmeno essere sottovalutati. Viviamo in una situazione di montante degrado civile, che giunge a contemplare nuove forme di devianza nel mondo minorile e adolescenziale e nel mondo adulto l’aggressione verbale e fisica a danno di chi con abnegazione si adopera in settori di fondamentale importanza: sociale, educativo, sanitario, dei trasporti … Per non parlare poi della violenza domestica. Sono allarmanti fenomeni che la scuola non può essere chiamata ad affrontare da sola e che devono essere fronteggiati a diversi  livelli, non ultimo il livello politico.

La realtà sociale, nel cui interno si colloca il problema scolastico, va indagata anche nei suoi più inquietanti aspetti psicopatologici, se è vero, come afferma lo psichiatra Vittorino Andreoli, membro della New York Academy of Sciences, che dobbiamo fare i conti con l’Homo non più Sapiens Sapiens, bensì Stupidus Stupidus,  proprio ora che può vantarsi di avere a portata di mano il  “cervello (scilicet cervello  digitale) in tasca”.  Purtroppo dobbiamo fare i conti con i danni cerebrali della rivoluzione digitale, dovuti anche alla mancata introduzione di una nuova materia di studio: Educazione (non Istruzione!) Informatica, che avrebbe dovuto essere inserita nei curricoli scolastici diversi decenni fa. Quindi da bocciare sarebbero piuttosto le politiche educative, affette come sono  da cronici ritardi nella lettura della realtà scolastica in movimento: di qui la mancata possibilità di adozione di  misure davvero atte a tutelare la dignità del corpo docente e a contrastare la tendenza al disimpegno affiorante fra gli studenti, soprattutto fra quelli appartenenti a ceti sociali meno privilegiati.

Sul sito ilfattoquotidiano.it  del 6 settembre 2019 Anna Maria Pasetti riferisce queste parole del cantautore Roger Waters dei  Pink Floyd a proposito dei migranti:

“Oggi loro e non solo sono disperati e si trovano a fluttuare raminghi per questi mari come fossero liquidi osmotici nella speranza di una salvezza.” Il medesimo, pronunciandosi sulle giovani generazioni, afferma:  “[…] Abbiamo disperatamente bisogno che i giovani siano contagiati da buone idee”.

Bocciare un alunno è come respingere un migrante.

Si può essere convinti che il demerito sia dello studente al cento per cento?  Perché non dovrebbe valere per uno studente il brocardo “in dubio pro reo”? Quale effetto positivo può mai avere una bocciatura? Lasceremo un giovane là, in alto mare, lontano dal porto dell’accoglienza, senza renderci conto del fatto che egli non sa nemmeno di poter sognare, perché le sue esperienze relazionali lo hanno condotto inconsciamente a disilludersi? Lo defrauderemo della speranza, che in modo confuso avverte.

Bocciandolo, se è stato negligente, non faremo altro che condannarlo definitivamente all’emarginazione. Lo studente svogliato, strafottente, asino vediamolo invece come un non credente da convertire alla religione dell’umanità. Facciamogli capire che noi  abbiamo cercato di accompagnarlo, tenendolo per mano,   nel suo cammino verso una presa di coscienza e che lui resta in  debito, prima ancora che con la scuola, con se stesso. Speriamo che questo debito senta al più presto, anche se non nel tempo scolastico, anche se non immediatamente, di doverlo onorare. Come Blaise Pascal scommetteva su Dio, scommettiamo che nell’adolescente attenda celatamente di sbocciare l’essere umano. Non “Deus absconditus”, ma “homo absconditus”.

Naturalmente, se poi si ha a che fare con deprecabili fenomeni di bullismo e cyberbullismo, caratterizzati dalla violenza di gruppo contro soggetti deboli e irrisione delle eventuali misure punitive in ragione della loro transitorietà, il discorso riguarda le responsabilità genitoriali ed esige l’intervento di specialisti nel trattamento delle devianze, non potendo i docenti da soli rimediare ai guasti psicosociali.

L’esaltazione del bocciare, a meno che non sia soltanto una provocatoria amplificazione retorica, si riduce a qualcosa di tanto semplicistico quanto controproducente, perché comporta il demotivare e il rendere privo di fiducia in se stesso l’allievo.  Le esternazioni intellettualistiche  di un Adolfo Scotto di Luzio o di un Ernesto Galli della Loggia sul cosiddetto degrado della scuola italiana, da contrastare con un autoritarismo presentato sotto sembianza di autorevolezza,   sono desolanti.  Imputare le colpe dei fallimenti giovanili alla sola scuola, non anche alla famiglia, alla politica, alla società intera significa esonerare dalle loro responsabilità la famiglia, la politica, la società intera. Per converso, è aberrante ignorare o denigrare chi all’interno di situazioni di degrado indotte dalla politica si assume il compito missionario di impegnarsi per cercare di rendere positivo l’altrui destino. Altro che competenze da testare per selezionare presunte eccellenze! Dire che l’esperienza pedagogica di Don Lorenzo Milani “è stata rapidamente archiviata” ed è rimasto solo il diktat “non bocciare” significa voler fare del sensazionalismo.

In definitiva, se non si tengono presenti le esperienze vissute, non si è legittimati a parlare di scuola.  Consideriamo, ad esempio, una fra le tante esperienze  vissute eroicamente, quella della  docente di matematica Loredana Scolarici (a lei è stata dedicata una trasmissione televisiva su Rai 3). La docente è dell’Istituto Superiore “F.Morano” di Caivano, diretto dalla “Preside coraggio” Eugenia Carfora (raccomandiamo, a chi non l’abbia fatto, di digitare in google Eugenia Carfora).  Insegnare matematica in contesti come quello assume un significato del tutto particolare, perché si tratta di una disciplina caratterizzata insieme da rigore e creatività. La positività affettiva dei rapporti interpersonali docente-allievi si estrinseca allora nel coniugare matematica ed etica. Anche attraverso la matematica si rende chiaramente visibile al  giovane la prospettiva di un suo positivo essere nel futuro.

Per immergersi virtualmente nell’ambiente evocato, si può visitare il sito www.ismorano.gov.it.

Per comunicare con la scuola della benemerita “Preside coraggio”,  si può ricorrere alla e-mail nais119003@istruzione.it.

 

Autore

  • Biagio Scognamiglio

    Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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