Valutare senza Invalsi si può. Meglio ancora: valutare senza Invalsi si deve. L’ossimoro della valutazione formativa ma standardizzata e l’infanzia che diventa un prodotto da smerciare
Il libro: Renata Puleo, Valutare senza Invalsi si può. Muri a secco e colate di cemento, Editoriale Anicia, 2019
Dante e i banchieri
Lo spirito del volume di Renata Puleo è in sintonia con questa digressione anticipata. Intervistato da Severino Colombo per il Corriere della Sera, il presidente di Abi-Associazione bancaria italiana Antonio Patuelli si è detto entusiasmato per il Dantedì. Ciò perché “Dante richiama in prima istanza l’importanza della lingua italiana […] L’idea è quella della massima comprensibilità tra banche e famiglie, e tra banche e imprese”. E pensare che per Dante l’esempio da seguire era San Francesco. Figlio di un mercante, Francesco si innamorò non del denaro, ma della povertà:
Ma perch’io non proceda troppo chiuso
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso (Paradiso, XI, 72-75)
Preparare l’infanzia al mercato
Come recita il titolo, valutare senza Invalsi si può. Meglio ancora: valutare senza Invalsi si deve. Altrimenti faremmo dei piccoli alunni altrettanti prodotti da supermercato. La copertina è di per sé eloquente. Il volto stravolto di un bambino con un codice a barre impresso sulla fronte. L’Invalsi tende a operare senza ritegno né rispetto, per fare di quel codice a barre un marchio cerebrale. Si scivola sulla scia dell’impudente progetto del Baby Pisa. C’è un’intera inciviltà da interiorizzare. L’inciviltà del neocapitalismo. Si veda quanto Renata Puleo osserva sul sito www.roars.it in L’ossimoro INVALSI: valutazione formativa ma standardizzata:
“La storia dei test INVALSI, da sperimentazione a estensione dell’obbligo di somministrazione, fino a ruolo dell’Istituto come Perito di Stato – a spese del contribuente – è una storia di minuziosa elaborazione di consenso, veicolato dai Dirigenti Scolastici di rango manageriale e pseudo autonomi, cullato dalla pigrizia degli insegnanti, viziato dalla spocchiosa indifferenza di una larga fetta di docenti e sindacati – che ritengono i test inutili ma non dannosi – favorito dalla stampa compiacente, da alcuni intellettuali, editorialisti e dai gruppi di potere”
Il linguaggio globale del business
Dal sito www.gs1it.org stralciamo qualche passo sul codice a barre:
“Il codice a barre Gs1(ean) è un linguaggio globale, adottato da un milione di imprese in tutto il mondo per identificare, leggere e condividere informazioni su prodotti, luoghi, spedizioni, magazzini, ordini, vendite […] Il barcode Gs1 più diffuso è formato da una serie numerica di 13 cifre (ean-13) tradotta graficamente da barre verticali, necessarie per la lettura ottica […] Le prime cifre del codice a barre Gs1(ean) indicano in quale paese del mondo l’azienda proprietaria del marchio di quel prodotto ha ottenuto il suo prefisso aziendale Gs1, da cui ha generato quel codice a barre per il suo prodotto […] Oggi Gs1 Italy riunisce 35 mila imprese di beni di lago consumo, una parte dei due milioni di aziende grandi e piccole che nel mondo utilizzano gli standard Gs1”
Si dirà che tutto questo è utile, perché il codice a barre velocizza il check-out dei prodotti. Così anche l’infanzia diventa un prodotto da smerciare. Siamo di fronte a un esempio del linguaggio del business a cui si vuole addestrare ogni pargolo. Però l’attività commerciale è solo un aspetto della cultura. La cultura è formazione della persona. I pargoli hanno il diritto di crescere come persone. Irreggimentarli come futuri militi del profitto è pari a un avviamento verso una sorta di oscenità etica.
Esami e problema valutativo
Nel clima mercantilistico sorge la problematica degli esami. Il compito di esaminare si complica. Occorre pertanto ripensare a fondo ciò che debba intendersi per esaminare. Renata Puleo con questo libro offre l’occasione di collocare la riflessione sull’argomento oltre gli eventi contingenti. Fornisce lo spunto per rivendicare la libertà di valutare. Libertà della quale si corre il rischio di essere espropriati. È in agguato l’Invalsi che non nasconde l’intento di subordinare ogni processo valutativo alle sue cosiddette misurazioni.
Sugli aspetti inquietanti della degenerazione docimologica
I pericoli li sintetizza un motto in epigrafe, tratto da un sonetto di Giuseppe Gioacchino Belli: è in atto un movimento che mira a tramutare gli “scervelli” dei discenti, e forse anche dei docenti, in “cucuzze”. Lo mette in chiaro l’autrice. Maestra elementare, Direttrice didattica, Dirigente scolastica, Renata Puleo è membro del gruppo noINVALSI. Del medesimo gruppo fra parte Mario Sanguinetti, che introduce il volume. Si parte in medias res con la discussione sui significati di valore.
Il valore in pedagogia e il valore in economia
L’autrice mette subito in chiaro il legame fra INVALSI e interessi economico-finanziari. Legame da cui derivano effetti deleteri sui valori pedagogici. Il valore inteso in senso economicistico e non etico diviene funzionale alla frammentazione e frantumazione dei saperi. Si pretende di assicurare equità mediante il sistema dei test. Sistema da cui derivano invece effetti iniqui. Effetti inevitabili, a partire dal fatto che si tratta di test giustamente criticati per la loro inadeguatezza. Formulati male e pericolosi. Pericolosi lo sarebbero anche se fossero formulati bene. In ogni caso rappresentano l’esatto contrario di ciò che si dovrebbe stimolare in ogni sistema politico: lo spirito critico nei confronti del potere, per scongiurare una servitù volontaria o involontaria che sia.
Docenti e valutazione
È in atto una serie di manovre anche occulte per espropriare i docenti del compito di valutare. Processo di espropriazione, più o meno palese, non compensato attualmente da contributi pedagogicamente utili alle scuole. La stessa nozione di pedagogia è sottoposta a una sorta di oscuramento. In auge è il mito delle competenze. L’INVALSI, subentrato dal 1999 al CEDE, è affetto dalla sindrome PISA, che consiste nella “crescente importanza attribuita ai dati sulle competenze degli alunni dai valutatori e dagli economisti, in stretto rapporto con la misurazione del PIL nazionale”.
Prove standardizzate e responsabilità politiche
È evidente che l’autrice intende mettere in luce le responsabilità politiche soggiacenti al fenomeno. L’operato dei Ministri dell’Istruzione nel loro succedersi viene giudicato niente affatto costruttivo. Essi non hanno contrastato con efficacia un teaching to test che privilegia la quantità contro la qualità e ostacola il pensiero divergente. L’autrice scende nel merito. Procede a un esame campionario di prove di comprensione della lettura. Dimostra come l’allestimento delle prove consista nel fare a pezzi i testi, proponendoli senza riguardo per i diversi livelli linguistico-semantici afferenti alle diverse età. Inconveniente derivante da scarsa dimestichezza con i moderni studi linguistici in ambito internazionale. E non solo con gli studi linguistici. Restano tagliate fuori le scienze umane e esatte nel loro progredire. La cultura europea risulta assente.
Il controverso significato di “competenza”
Nel volume sono inseriti due capitoli dovuti a Rossella Latempa, docente di Matematica e Fisica alle Superiori, membro della redazione ROARS. La coautrice affronta il problema del significato di “competenza”, sorta di parola magica funzionale alla mistificazione linguistica. Nonostante la nebulosità del termine, è in atto il tentativo di proporre un “curricolo delle competenze”. Questo, costituito da UDA – Unità Didattiche di Apprendimento, comporterebbe un progressivo svilimento della funzione docente. La valutazione formativa resterebbe inevitabilmente tagliata fuori. Come si potrebbe insegnare seriamente, se i docenti fossero espropriati in via definitiva della prerogativa di elaborare essi stessi le modalità di valutazione?
Ancora sull’allarmante disegno di espropriazione dell’infanzia
Tocca alla stessa Rossella Latempa azionare un segnale di estremo allarme nel capitolo sulla “metrica dell’infanzia”. Da una rassegna di documenti di Enti orientati a formare, anzi deformare l’infanzia in nome della value for money emerge una nuova idea di bambino. È in nome di questa idea che i bimbi dovrebbero essere espropriati della loro infanzia. L’intento consiste infatti nel “ripensare i percorsi educativi al fine di ottimizzare la convenienza economica”. Intento che viene dichiarato senza alcuna remora. La pretesa di misurare le non meglio definite competenze si concretizza nei test BABY PISA. Da questi discendono i test INVALSI VIPS – Test per la Valutazione Iniziale Prontezza Scolastica. Vien fatto di osservare che l’acronimo VIPS contiene in sé l’altro acronimo VIP – Very Important Person. In tale ottica distorta sono VIP soltanto gli elementi per lo più subalterni da inserire a suo tempo nel mercato del lavoro.
Incidenza di una malintesa docimologia sulla vita delle persone
Le informazioni fornite nel volume in corso di recensione sono tali da dover allarmare e mobilitare genitori e insegnanti. A meno che non vogliano rassegnarsi ad assistere inerti alla mercificazione dell’infanzia. Per genitori e insegnanti leggere questo libro significherà capire quanto sia drammatica la metafora dei “muri a secco” e delle “colate di cemento” del sottotitolo. È qualcosa che riguarda non solo la scuola. Riguarda la vita delle persone. Riguarda la società. Riguarda la civiltà.
Considerazioni a margine
- Sia lode alle autrici.
- Nella bibliografia a corredo del volume troviamo citati autori di rilievo. È importante ricordare nomi quali Giorgio Agamben, Gregory Bateson, Walter Benjamin, Noam Chomsky, Gilles Deleuze, Michel Foucault, Louis Hjelmslev, Karl Marx, Lev Vygotskij. Altri se ne potrebbero aggiungere. Penso a Zygmunt Bauman. Penso a Miguel Benasayag, a Edgar Morin, a Martha Nussbaum. Penso a Amartya Sen. Purtroppo la cultura italiana è in cronico ritardo e gli intellettuali continuano a latitare.
- Nel mondo globalizzato un neoliberismo senza correttivi aizza a preoccupanti competizioni. Non mancano economisti che possono aiutare a capire la gravità della situazione. Penso a Alan Friedman. Penso a Joseph Stiglitz e a Thomas Piketty. È più che mai in fermento il secolare dibattito sui rapporti fra etica ed economia. Esistono individui per i quali l’umanità è solo strumento. Vivono per il profitto. Godono nell’accumulare ricchezza. Non si accorgono di essere alienati. Non hanno orizzonte oltre la morte e non si curano delle future generazioni. È a loro estraneo il detto di Stazio ricordato da Cicerone: “Serit arbores quae alteri saeculo prosint”.
- La nozione di soggetto è stata costruita storicamente in forme diverse. La civiltà occidentale è giunta a concepirlo come persona. Oggi siamo in una fase di destrutturazione del soggetto stesso. Mentre si va facendo del robot un umanoide, l’io viene disumanizzato. Si profila così una crisi epocale dei rapporti interpersonali. Questi al mercato non interessano. Al mercato importa una quantità sovrabbondante di individui da formare in serie come allevati in batterie. Bisogna opporsi a questa pretesa. Non dobbiamo lasciarci espropriare della nostra identità.
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Riporto qui il passo conclusivo di un tema di un candidato all’Abitur Prüfung:
“Quando abbiamo scelto la professione nella quale possiamo maggiormente operare per l’umanità, allora gli oneri non possono più schiacciarci, perché essi sono soltanto un sacrificio per il bene di tutti; allora non gustiamo una gioia povera, limitata ed egoistica, ma la nostra felicità appartiene a milioni, le nostre imprese vivono silenziose, ma eternamente operanti, e le nostre ceneri saranno bagnate dalle lacrime ardenti di uomini nobili”.
Il candidato era Karl Marx.
Il passo è tratto dal tema di tedesco da lui svolto all’esame sulla seguente traccia: “Considerazioni di un giovane in occasione della scelta di una professione”. Così si può meglio comprendere perché Karl Marx figuri fra gli autori citati nella bibliografia a corredo di Valutare senza INVALSI si può. Il passo citato non è retorico. Rispetto a un qualsiasi questionario a scelta multipla risolto al cento per cento il suo valore è inestimabile.
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