Il libro è: Le mani sulla scuola. La crisi della libertà di insegnare e imparare . Gli autori sono Anna Angelucci e Giuseppe Aragno. L’editore è Castelvecchi (febbraio 2020).
Anna Angelucci e Giuseppe Aragno sono docenti di materie letterarie intellettualmente impegnati nella difesa della scuola alla luce della sua storia. Si ripropone così la preventiva denuncia sporta a suo tempo da Emilio Ambrisi e dallo scrivente sulla rivista Nord e Sud col saggio intitolato appunto Le mani sulla scuola (1998).
In sede introduttiva Pino Bevilacqua focalizza importanti aspetti dei contributi dell’autrice e dell’autore.
Angelucci passa in rassegna i modi in cui man mano chi insegna e chi apprende vengono espropriati del diritto di formarsi liberamente. Il modo principale discende da un neoliberismo orientato al profitto a scapito della persona umana. L’avvento dell’autonomia scolastica è il momento cruciale di rottura rispetto alla ricostruzione culturale avviata nel secondo dopoguerra.
Alla rovinosa tappa successiva nel processo di degrado, ossia la legge denominata eufemisticamente buona scuola, ha fatto seguito un’ulteriore esasperazione dell’autonomia. L’autonomia aspira ad essere “differenziata”, funzionale quindi alla totale espropriazione dei poteri dello Stato in fatto di istruzione, fagocitati dalle Regioni.
Intanto il concetto di “persona” si va disgregando.
Le “intelligenze critiche” vengono mortificate. La scolarizzazione diventa sempre più indirizzata a un condizionamento voluto per non lasciare margini di libertà nel crearsi del Sé. Tutto ciò in nome di un utilitarismo tutto teso al solo profitto.
Angelucci con Aragno stigmatizza “managerialismo autonomistico” e “aziendalismo”. Viene messo in risalto il vergognoso trattamento riservato ai “docenti mortificati a livello di retribuzione, carriera e ruolo sociale”. Denaro e mercato sono le sole cose che contano
Aragno apporta un importante contributo alla storia della scuola. Mette in luce fra l’altro i fattori politici dello storico ritardo nell’alfabetizzazione del Mezzogiorno. Ritardo che, favorendo la criminalità organizzata, ha arrecato danno alla crescita civile dell’intero Paese. Sulla base di ricerche d’archivio Aragno individua attacchi alla scuola pubblica già negli ultimi decenni dell’Ottocento. Disadattamento, devianza, delinquenza minorile sono oggetto di attenzione per la giustizia. I minori vengono giudicati in appositi tribunali. Dalle carte processuali risulta che si procede per sentenze. Tutto si svolge sul piano della repressione. Si giunge all’assurdo di voler riadattare i disadattati all’ambiente che li disadatta.
La politica viene meno al suo dovere nei confronti della società civile.
Questa carenza ha radici lontane nello Stato unitario. Attraversa l’era fascista e riemerge in forme nuove nella società democratica. Una ricognizione dei lavori dell’Assemblea Costituente evidenzia peraltro la presenza di personalità orientate alla trasformazione dei sudditi in cittadini.
La scuola avrebbe dovuto assicurare all’uopo la sua formazione culturale. Non mancavano prospettive di progresso in tal senso. Ma si deve rilevare purtroppo il mancato sviluppo di questi spunti positivi, ispirati dal dettato costituzionale. La scuola resterà classista. Intorno alla metà del Novecento sussistono ancora due Italie. Non mancano giudizi sprezzanti sul Sud. La questione meridionale non trova ancora soluzione. Sul piano nazionale retribuzione dei docenti e edilizia scolastica continuano a ristagnare. Aragno documenta puntualmente tutto ciò con una serie di esaustivi quadri statistici.
Alla luce di tale inquadramento storico risaltano ancor più gli sviluppi recenti.
Un percorso di crescita civile e sociale viene interrotto dalla “regressione neoliberista”. Si va affermando “l’Europa delle banche e dei mercati”. Gli industriali premono. Le multinazionali incalzano. Una sorta di “etica imprenditoriale” contrappone la “mercificazione” ai “percorsi formativi strutturati”. Una “torsione economicistica” esalta non meglio definite “competenze”, la cui acquisizione dovrebbe essere valutata da organismi quali l’OCSE-PISA e l’INVALSI (eppure Valutare senza Invalsi si può, come recita il titolo di un volume di Renata Puleo edito da Anicia, 2019).
Angelucci e Aragno ripercorrono puntualmente le tappe che conducono al traguardo del docente “impiegato” e del preside “datore di lavoro”. Si va consolidando l’asse “economico-aziendalistico” a scapito della “funzione paideutica, spirituale, sociale e civile”. L’economista Milton Friedman esalta una “visione mercatocentrica” che si traduce in una vera e propria “religione del capitale”. Siamo di fronte ad una “mercificazione” che è “disintegrazione” e “disgregazione” del sapere. La fallimentare alternanza scuola-lavoro è lo specchio di questo disastro.
La denuncia di Angelucci e Aragno trova riscontro in altre pubblicazioni che lamentano una “scuola distrutta”.
Si può vedere, ad esempio, Stefano D’Errico, La scuola distrutta. Trent’anni di svalutazione sistematica dell’educazione pubblica e del Paese, Mimesis, 2019. Lo stesso Ernesto Galli della Loggia interviene sul disastro, seppure da un diverso angolo visuale, con L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, Marsilio, 2019. Siamo ben lontani dalla pretesa di obiettività di Nicola D’Amico, Storia e storie della scuola italiana. Dalle origini ai giorni nostri, Zanichelli, 2010, opera monumentale, il cui autore però non ritiene suo compito esprimere giudizi. Non si sa come avrebbe presentato la legge 177/2015 e in particolare l’alternanza scuola-lavoro, le prove standardizzate, la didattica a distanza.
Quest’ultima nel clima pandemico del 2020 ha incontrato aspre critiche e furibonde difese. La politica sembra orientata a finanziarla nel momento stesso in cui ribadisce l’importanza della scuola in presenza. Ovviamente a quest’ultima saranno sottratti i finanziamenti da erogare per la didattica a istanza. Divenuta, quest’ultima, uno slogan da pubblicizzare senza alcun approfondimento critico.
Maurizio Montanari, psicoanalista, non esita a sostenere che combattere la didattica a distanza “vuol dire aver perso contatto con la realtà” (ilfattoquotidiano.it, 3.6.2020). Non si sa che cosa egli intenda per “realtà”. La “realtà” è che il ritardo culturale del Paese non consentirà di integrare proficuamente la didattica a distanza con la didattica in presenza. Gli intellettuali sono latitanti. Il giornalismo tende a scadere a retorica ciarliera o volgare. La classe politica difetta di formazione. In questo quadro non mancano eccezioni positive. Ma vengono scoraggiate.
Integrare la didattica a distanza è un compito non facile.
Anche se lo fosse, non risolverebbe affatto i problemi che Angelucci e Aragno, D’Errico, Galli della Loggia evidenziano. Lo scrivente ritiene che il primo passo da compiere sarebbe cancellare la legge denominata “buona scuola” dalla lavagna. Il resto ad altra occasione. Ma sul resto si potrà intanto vedere anche l’utile bibliografia riportata a corredo del volume qui recensito.
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