Edgar Morin, Cambiamo strada. Le 15 lezioni del coronavirus, Raffaello Cortina Editore, 2020 (Changeons de voie. Les leçons du coronavirus, Éditions Denoël, 2020). Recensione
Il preambolo
Edgar Morin nacque per miracolo. Sua madre e lui nascituro erano in punto di morte. Nell’istante estremo la salvezza. Lo racconta quel neonato divenuto ormai centenario nel preambolo di Cambiamo strada (1). Ripercorre eventi memorabili avvenuti nell’arco di tempo della sua esistenza (2). La sua è storia vissuta. Testimone dell’epoca, non si limita ad osservare, ma si impegna politicamente. Comunista, resta disilluso dal regime staliniano. Prende posizione contro il calcolo e il profitto del neoliberismo all’origine del degrado di biosfera e antroposfera. Depreca la barbarie del dominio e dell’odio. Figlio di tutte le crisi, lancia “l’allarme per la possibilità di cataclisma storico”. Di fronte a ciò avverte un forte desiderio di risvegliare le coscienze, acuito dall’evento pandemico.
L’introduzione
Compiuto il centesimo anno di età l’otto luglio 2021, continua a riflettere sulla enorme crisi del Coronavirus. Si chiede quale possa essere il mondo una volta cessata l’emergenza della pandemia (ammesso che non si passi a una situazione endemica). Staziona nell’incertezza. Non sa se si andrà incontro a un’ulteriore disgregazione della comunità umana oppure alla nascita della coscienza di una universale comunità di destino. Diventa così interprete di un diffuso stato d’animo. Di fronte ad esso riesce ancora ad assurgere a maestro. Dalla situazione contingente gli deriva l’impulso a impartire le sue lezioni per superarla. (3).
Le lezioni
In questa sezione il maestro assurge alla statura di un pontefice che emani una vera e propria enciclica. Affida all’umanità la summa del suo pensiero. Riflette sulla precarietà dell’esistenza individuale, sul destino della civiltà, sulla crisi dell’intelligenza e sulle carenze del pensiero e dell’azione in politica. Il tutto alla luce della situazione venuta a crearsi con la pandemia.
Purtroppo al pari delle encicliche papali tanta saggezza sembra destinata a restare inascoltata o quasi.
Sfide del post-Corona
Vi è però una differenza fondamentale del suo discorso rispetto alle encicliche papali. La sua è una sorta di enciclica laica. Vi manca una componente religiosa dogmatica. Per lui l’umanità può aspirare ad essere divina, sennonché resta un oggetto di adorazione ambiguo, enigmatico, pronto a deludere, da cui non emergono certezze, ma scaturisce una serie di interrogativi. Gli stessi, d’altronde, che qualsiasi essere umano dotato di una certa ragionevolezza può porsi. Mentre prova a immaginare il futuro, il nostro maestro sa bene che la situazione su scala planetaria si evolverà a seconda del modo in cui sarà affrontata una serie di sfide (4). Il pericolo da scongiurare è quello “di un grande processo regressivo” che sfoci in una “barbarie planetaria”.
Cambiare strada
Si rende quindi necessario e urgente imboccare una nuova via che conduca alla “vita vera”. La via di un “umanesimo rigenerato”. Via da percorrere attraverso una serie di riforme, fra le quali è prioritaria la riforma del pensiero. Qui Edgar Morin riepiloga gli insegnamenti da lui impartiti in una serie di contributi classici (5). In particolare riprende il contenuto della nota opera sui sette saperi (6). Già in essa, partendo dalla cecità della conoscenza, intende stabilire i principi di una conoscenza pertinente, che si fondi innanzitutto sul pensare il pensiero, cioè nel riflettere preliminarmente sui modi in cui pensiamo. Tale “conoscenza della conoscenza” può avviarci ad insegnare la condizione umana, l’identità terrestre, la comprensione reciproca, insomma l’etica del genere umano. Oggi più che mai il cambiare strada esige una “rieducazione dell’educazione”.
Conclusione dell’opera
In definitiva, il centenario maestro in cattedra prospetta la necessità di una “avventura umanizzante”, che possa rendere davvero l’umanità un “grande essere” (7). Risulta commovente questa fiducia nella possibilità che tutti gli esseri umani sul globo terrestre, o almeno la maggior parte di essi, si sentano partecipi di una simile avventura.
Falso e vero realismo nel pensiero di Edgar Morin
Il pensiero di Edgar Morin delinea quindi una possibile comunità planetaria, la cui realizzazione è da affidare alla responsabilità di ciascun umano individuo. Lui sa bene con Blaise Pascal che l’essere umano è un “groviglio da sbrogliare”. Eppure pensa che sia possibile districare i fili e comporli in un nuovo intreccio, a patto che ci si impegni a voler diventare davvero umani:
“In sintesi, i fini dell’umanesimo devono realizzarsi in ciascuno di noi”.
In questa prospettiva l’Io con le sue umane finalità dovrebbe risolversi nel Noi delle umane finalità universalmente condivise. Per un così nobile scopo, ciascuno dovrebbe rifiutare il calcolo e integrare in sé l’amore. A ciò dovrebbe condurre una vera riforma del pensiero. Quella che il nostro maestro ha proposto e perseguito nell’intero arco del suo impegno sia intellettuale che politico. Lui viene così a trovarsi di fronte al problema del realismo. Ci sono, argomenta, due realismi: il falso e il vero. Il falso è quello di chi crede che la realtà sia stabile e di conseguenza che il presente sia immodificabile. Il vero è quello di chi riconosce la realtà del divenire e la possibilità di una “rigenerazione permanente”:
“Il vero realismo sa che l’improbabile è possibile e che la cosa più importante e frequente è il sopraggiungere dell’inatteso nel reale”.
L’inatteso per Edgar Morin è ciò che è oggetto di speranza. Possiamo obiettare che l’inatteso può consistere anche nel peggioramento dell’esistente con la conseguente disperazione.

Edgar Morin ritratto da B. Scognamiglio
Cattiva e buona utopia nel pensiero di Edgar Morin
Anche per quanto concerne l’utopia dovremmo distinguerne, secondo il nostro maestro, due specie: buona e cattiva. La cattiva consiste nel credere alla possibilità di realizzare una società perfetta. La buona consiste nel credere alla possibilità di realizzare quei miglioramenti della realtà che appaiono irrealizzabili nel presente:
“L’utopia del migliore dei mondi deve far posto alla speranza di un mondo migliore.”
Sorge a questo punto l’obiezione che così viene a crearsi una confusione fra utopia e speranza. Comunque rientrano nella cosiddetta buona utopia lo stabilirsi di un ordine internazionale per la pace tra le nazioni, l’abbandono del neoliberismo e il controllo dell’iper-capitalismo, la realizzazione del programma di sfamare tutti gli abitanti della Terra. Insomma ciascuno dovrebbe riconoscersi membro della “comunità di destino planetaria”. Anche per Erich Fromm, studioso della “patologia della normalità”, ci si deve adoperare affinché “i cosiddetti sani” diventino soggetti in grado di contribuire positivamente al miglioramento del reale. In altri termini, si dovrebbe giungere ad assicurare il funzionamento ottimale di tutti i cervelli o almeno della stragrande maggioranza di essi su scala planetaria.
Per la convalida di questa speranza dovremmo ottenere responsi incoraggianti dai neuropsichiatri e dai neuroscienziati. Ma siamo sicuri che l’umanità possa liberarsi una volta per sempre dalla follia?
Fra ottimismo e pessimismo
Anche se Edgar Morin non crede nell’irreversibilità, questa esiste. In una prospettiva pessimistica, avviata ormai a combaciare col realismo comunemente inteso, le sue aspirazioni si assimilano a mere illusioni, essendosi ormai attivati processi irreversibili. Tanto per citarne uno, assistiamo al degrado della biosfera come principio di distruzione dell’antroposfera. Ebbene, di fronte a questo drammatico fenomeno ci si prepara alla colonizzazione di un altro pianeta. Senza che ci si preoccupi di risolvere prima i problemi di questo. Che fare dunque? Affidarsi al vero realismo e alla buona utopia di Edgar Morin? Con tutto il rispetto dovuto al grande vecchio, riconoscerei piuttosto la necessità di disperare e nello stesso tempo di adoperarci per la realizzazione di ciò che si sa irrealizzabile. Con una sola eccezione: avere fede nella possibilità di trasmettere alle giovani generazioni il senso di questa disperata necessità di pensare e agire eticamente. Viene in mente l’aforisma di Walter Benjamin ricordato da Herbert Marcuse:
“Nur um der Hoffnungslosen willen ist uns die Hoffnung gegeben.”
La speranza ci è data per il bene dei disperati. Ci ricolleghiamo in tal modo a Immanuel Kant. Inverando la legge morale in noi sotto il cielo trapunto di stelle:
“Der Sternenhimmel über mir, das moralische Gesetz in mir”.
Un cielo non ancora inquinato dai rifiuti industriali che Jeff Bezos vorrebbe spostare nello spazio.
NOTE
- Il volumetto, 123 pagine, edito da Raffaello Cortina Editore nel 2020, reca la traduzione italiana di Changeons de voie, edito in pari data dalle Éditions Denoël. Il sottotitolo di Cambiamo strada è Le 15 lezioni del Coronavirus. Il sottotitolo di Changeons de voie è Les leçons du coronavirus.
- Eventi: la crisi del 1929; il “ciclone del decennio 1930-1940”; la seconda guerra mondiale; gli avvenimenti degli anni 1956-1958; il maggio sessantottino; l’emergenza ecologica denunciata dal Rapporto Meadows sui limiti dello sviluppo fin dal 1972.
- Argomenti: le nostre esistenze; la condizione umana; l’incertezza delle nostre vite; il nostro rapporto con la morte; la nostra civiltà; il risveglio della solidarietà; l’uguaglianza sociale nel confinamento; la diversità delle situazioni e della gestione dell’epidemia nel mondo; la natura di una crisi; la scienza e la medicina; una crisi dell’intelligenza; le carenze di pensiero e di azione politica; la delocalizzazione e la dipendenza nazionale; la crisi dell’Europa; il pianeta in crisi.
- Sfide: dell’esistenza; della politica; della globalizzazione in crisi; della crisi della democrazia; del digitale; dell’ecologia; della crisi economica; delle incertezze.
- Contributi: Cultura e barbarie europee; Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione; 7 lezioni sul pensiero globale; Educare per l’era planetaria; I sette saperi necessari all’educazione del futuro.
- Saperi: le cecità della conoscenza; i principi di una conoscenza pertinente; insegnare la condizione umana; insegnare l’identità terrestre; affrontare le incertezze; insegnare la comprensione; l’etica del genere umano.
- Si può vedere in proposito Edgar Morin, Il metodo. Ordine disordine organizzazione, Feltrinelli, 1983. È la traduzione del primo volume, edito nel 1977, della monumentale opera La Méthode. A questo proposito, riteniamo che non si possa escludere un influsso di Auguste Comte sulla sua concezione del metodo. Ciò con riguardo al “pensiero complesso”, ossia il pensiero che vede concorrere verso un sapere unitario tutte le discipline, pur riconoscendo a ciascuna di esse la propria specificità. Inoltre è allo stesso Auguste Comte che si deve la concezione dell’umanità come “grande essere”.
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