Prime risposte ai cinque perché di Matmedia sull’Invalsi. E, ancora: perché non è dato provare tenerezza o rispetto per l’Invalsi?
“Io sono il tuo nuovo capo”
Fabrizio de André
Proporre cinque quesiti come questi e fornire cinque risposte come queste può esporre a qualche recriminazione. Sembrerà forse a qualcuno che si sia poco teneri e forse anche irriverenti nelle critiche. Ed ecco un altro perché. Perché si dovrebbero provare un “senso di commozione, dolce e profonda”, quale è la tenerezza, e un “sentimento di profondo e quasi timoroso rispetto”, quale è la riverenza, nel momento in cui si esternano le proprie perplessità circa una prassi che collide con la necessità di non sottrarre tempo prezioso, fosse anche un solo minuto, all’insegnamento e all’apprendimento delle discipline? Ormai gli accertamenti mediante i test sono diventati ripetitivi, tautologici, superflui, dato che le carenze sono ben note ai docenti ed è a loro che compete adoperarsi per rimediare. L’Invalsi non è la scuola.
Quesiti
- L’Invalsi rilascia certificazioni agli studenti che concludono la scuola primaria, la secondaria di primo grado e quella di secondo grado. Perché deve farlo?
- Perché le prove Invalsi devono essere un requisito essenziale per essere ammessi a sostenere gli esami di Stato?
- Dei suoi test annuali, l’Invalsi pubblica solo alcune prove esemplificative, ma perché non deve pubblicare i test integralmente?
- Perché le nomine dei vertici dell’Invalsi (presidente, direttore generale …) non devono avere regole stabili, né indicazioni sulle particolari elevate competenze professionali richieste?
- Perché l’Invalsi ha instaurato la liturgia di luglio per la comunicazione dei suoi dati annuali?
RISPOSTE
Perché in Italia nel campo scolastico come in altri campi il dovere consiste per lo più nel dover fare ciò che è del tutto inutile. Figurarsi se quelle certificazioni servono a qualcosa. Sia consentito in assenza di evidenza il dubbio: servono o non servono? Chi le rilascia dovrebbe spiegare in modo convincente perché lo faccia.
- Perché l’Invalsi vorrebbe mostrare che le sue misurazioni siano valutazioni e che quelle cosiddette valutazioni concorrano ad accertare i gradi della maturità dei candidati, i quali di tali valutazioni se ne possono infischiare, avendo cose serie a cui pensare, mentre si vedono costretti a perdere tempo insieme coi loro docenti. A dire il vero, su un quotidiano nella rubrica delle lettere è stata pubblicata un giorno la lettera di uno studente, se era davvero tale o se lo era senza essere strumentalizzato, il quale cantava osanna in excelsis ai test. Ammettiamo che il testo non sia apocrifo: poveretto quel giovane, è andato a scuola inutilmente.
- Perché l’occultamento dei test integrali in un antro sibillino circonfonde l’ente di un alone di mistero, nel quale i miseri mortali si sforzano invano di scrutare, cosicché possono sentirsi sospinti a vedere in chi così si nasconde una inviolabile sacralità.
- Perché ovviamente chi valuta non ama essere valutato. Lo dicono i vertici stessi a proposito dei docenti. Però non lo dicono a proposito di loro stessi. Ciò vale anche per le regole. Le regole sono loro a gestirle, per la qual cosa se ne esentano.
- Perché un ente sacro ha bisogno per l’appunto di celebrazioni liturgiche, reiterate in un dato arco temporale a scadenze prefissate, come avviene per le processioni in onore della Madonna.
RIFERIMENTO:
I perché di Matmedia. Cinque interrogativi sull’Invalsi
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