[gp_col class=”col-sm-6″] “Gottes recht verstandene Göttlichkeit
schließe seine Menschlichkeit ein.”
“La divinità di Dio, ben compresa,
racchiude in sé la sua umanità.”
Karl Barth
[/gp_col][gp_col class=”col-sm-6″] “Et inquietum est cor nostrum
donec requiescat in te”
“E inquieto è il nostro cuore
finché non riposi in te”
Aurelio Agostino di Ippona
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Lorenzo Fioramonti, Ministro dell’Istruzione, nell’ottobre 2019 ha riacceso la polemica sull’annosa questione del crocifisso nelle aule scolastiche con questa dichiarazione: “Io credo in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche e permettere a tutte le culture di esprimersi. Non esporrei un simbolo in particolare, ed eviterei l’accozzaglia, altrimenti diventa un mercato.”
Così si era espresso sulla questione il filosofo Massimo Cacciari in un’intervista a cura di Carlo Brambilla per il quotidiano “La Repubblica” nel 2016: “A chi può dare fastidio quella povera figura? Quali libertà può ledere? Ma vogliamo scherzare? Via, un po’ di ragionevolezza… Non ha nessun senso voler togliere il crocifisso dalle aule scolastiche, dai luoghi pubblici. Perché sollevare questa questione allora? Dovremmo essere abbastanza maturi per capire che quell’ immagine è stata posta sui muri suo malgrado. Se Gesù tornasse tra di noi, il primo a togliere quell’effigie dalle aule certamente sarebbe lui. Ma adesso che è lì, cosa andiamo a togliere noi dai muri? La laicità di uno Stato non si misura dai crocifissi appesi o tolti.”
Più avanti il medesimo filosofo soggiunge che invece “un cartellone con l’immagine di tutti i papi” al posto della “povera figura” del crocifisso gli darebbe fastidio e vorrebbe che quel cartellone, quello sì, venisse tolto: “Ma il crocifisso no. Non mi dà nessun fastidio.”
Quindi il filosofo dichiara di tollerare quella presenza del crocifisso che Cristo stesso, se tornasse fra noi, non tollererebbe.
Su “la Repubblica” del 9 ottobre 2019 Corrado Augias nella sua rubrica delle lettere sotto il titolo Quel che resta del crocifisso così si esprime: “Più che la vera tradizione cristiana i crocifissi richiamano l’epoca in cui non si era ancora riusciti a districare il potere politico da quello religioso e l’Italia assomigliava per molti aspetti a una teocrazia.”
Dagli estratti degli interventi giornalistici sopra riportati possono essere desunti gli aspetti salienti del dibattito sulla presenza del crocifisso nelle scuole italiane. Dibattito in cui risultano quasi mai presenti il richiamo alla problematica teologica relativa all’esegesi biblica e il richiamo alla storia del cristianesimo. Eppure sia i credenti che i non credenti sarebbero tenuti a confrontarsi con le diverse interpretazioni dei testi sacri e delle vicende storiche attraverso cui in nome della fede cristiana la Chiesa è andata imponendo il suo potere terreno.
Per quanto riguarda l’esegesi biblica, è sulla sua base che il problema della duplice natura, divina e umana, di Dio viene affrontato dal teologo Karl Barth nell’opera fondamentale Die Menschlichkeit Gottes. L’umanità di Dio, racchiusa nella sua divinità, può dare facilmente origine a quelli che sembrano fraintendimenti, come è accaduto a Eugenio Scalfari, cui è stato rimproverato di avere attribuito all’odierno Pontefice su “la Repubblica” del 9 ottobre 2019 quanto segue: “Una volta incarnato Gesù cessa di essere un Dio e diventa fino alla sua morte in croce un uomo”.
È quel cessare di Cristo di essere un Dio che la religione cristiana non ammette. Al contrario, non è escluso che il non credente, a meno che non appartenga alla corrente storiografica scettica sulla storicità di Cristo, possa vedere in Gesù un personaggio storico umilmente eroico.
Per quanto riguarda il richiamo alla storia del cristianesimo, è interessante ricordare il fenomeno dell’iconoclastia, a proposito della quale così leggiamo nell’Enciclopedia Treccani on line: “La dottrina e l’azione di coloro che nell’Impero bizantino, nel sec. 8° e 9°, avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre. […] In Occidente, con la Riforma, si manifestarono opposizioni al culto delle immagini che in talune località portarono alla loro distruzione.”
Ciò che la voce citata non riporta è che l’iconoclastia era stata inaugurata dal cristianesimo nascente a danno del paganesimo, come dimostrato da Catherine Nixey in base a fonti storiche tanto attendibili quanto trascurate in Nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico, Bollati Boringhieri, 2018 (The Darkening Age. The Christian Destruction of the Classical World, Macmillan, 2017), Per Aurelio Agostino di Ippona era Dio stesso a volere la distruzione dei monumenti architettonici e artistici della civiltà classica, in quanto idoli pagani, ossia immagini false e ingannevoli, indegne di adorazione, come poi ribadito da Alessandro Manzoni con l’esortazione a convertirsi rivolta allo “adorator degli idoli” nell’inno sacro La pentecoste. Purtroppo nella storia della Chiesa era sorta un’altra forma di idolatria, quella della ricchezza terrena, la cui radice viene additata da Dante Alighieri nella cosiddetta “donazione di Costantino” al Papato (donazione peraltro inautentica, secondo la ricognizione di Lorenzo Valla in De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio):
“Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento:
e che altro è da voi all’idolatre,
se non ch’egli uno, e voi n’orate cento?” (Inferno, canto XIX, versi 112-114)
La vexata quaestio della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche assume una particolare connotazione storica, politica e giuridica. Tralasciando i riferimenti ai Regi Decreti del 1924 e del 1928, nonché le successive controversie giuridiche e amministrative periodicamente susseguitesi nel restante arco del Novecento, ci limiteremo qui a ricordare che una prima sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, promanata nel 2009, sfavorevole alla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, fu contestata dal Governo italiano di allora, che presentò ricorso, in seguito al quale si giunse entro breve termine alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2011, che andrebbe reperita in rete e letta integralmente da chi abbia particolare interesse a conoscerne le motivazioni.
La Corte, nel pronunciarsi in merito a ricorsi di genitori contrari all’esposizione del crocifisso nella aule scolastiche, da loro considerata lesiva della libertà religiosa e di coscienza perché suscettibile di influenzare i loro figli, sanciva alcuni principii che in questa sede pare utile stralciare: “Quanto al punto di vista del Governo sul significato del crocifisso, la Corte constata che il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione hanno delle posizioni divergenti in proposito e che la Corte Costituzionale non si è pronunciata. Ora non spetta alla Corte prendere posizione su un dibattito tra giurisdizioni interne.”
“Nel caso di specie la Corte ne deduce che la scelta della presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rientra in linea di principio nel margine di valutazione dello Stato convenuto. Inoltre, il fatto che non esista un consenso europeo sulla questione della presenza dei simboli religiosi nelle scuole pubbliche […] avvalora tutto sommato questo orientamento.”
“Non vi sono dinanzi alla Corte elementi che attestino l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo religioso sui muri delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni; non è quindi ragionevolmente possibile affermare che essa ha o no un effetto su persone giovani le cui convinzioni sono in fase di formazione.”
“Inoltre, il crocifisso appeso al muro è un simbolo essenzialmente passivo, e questo aspetto è importante agli occhi della Corte, tenuto conto soprattutto del principio di neutralità. […] In particolare non gli si può attribuire una influenza sugli allievi paragonabile a quella che può avere un discorso didattico o la partecipazione ad attività religiose. […]”
A proposito del crocifisso come “simbolo essenzialmente passivo”, quindi non suscettibile di influenzare gli allievi, va tenuto presente quanto sancito nel testo di revisione del Concordato, che parte in apertura dalla seguente statuizione programmatica:
“La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti e alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
Ciò definito, ne consegue che va riconosciuto “il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica assicurato dallo Stato”, diritto che “non deve determinare alcuna forma di discriminazione”.
Possiamo trarre altresì la conseguenza che non è ammissibile forma alcuna di strumentalizzazione del crocifisso per fini politici.
Considerando gli spunti di riflessione fin qui forniti, credenti e non credenti possono trarre le loro personali conclusioni in merito alla presa di posizione del Ministro Lorenzo Fioramonti.
A questo punto sia consentito anche allo scrivente esternare la propria personale opinione. Il non credente ben potrebbe vedere nel crocifisso il rinvio alla storia pregressa e in atto del cristianesimo con le sue luci e le sue ombre.
Dovrebbe essere invece il credente a restare perplesso sull’ostensione del crocifisso in ambito non ecclesiastico, non sussistendo ovunque il bisogno autenticamente religioso del conforto di tale immagine.
Ciò perché il vero dove del crocifisso è nel cuore.
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