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Sorpresa, la matematica non è una nostra invenzione!

Recensione dell’articolo di  Piergiorgio Odifreddi:
Sorpresa, la matematica non è una nostra invenzione  la Repubblica del 21 Luglio 2000

 

Ispirandosi ad alcune argomentazioni di Georghe Gheverghese Joseph riportate in C’era una volta un numero (il Saggiatore 2000), Piergiorgio Odifreddi (d’ora in poi P.O.) afferma che

“tutte le grandi aree della matematica hanno avuto origine e sviluppi sostanziali in paesi extraeuropei: l’aritmetica, la geometria, la trigonometria, l’algebra, addirittura i calcoli combinatorio e infinitesimale ! “

contrariamente a quanto affermato dagli storici occidentali della matematica, a cominciare da Morris Kline secondo il quale i contributi alla matematica dei babilonesi ed egiziani sono solo “scarabocchi di bambini che stanno imparando a scrivere”.

 A sostegno di tale affermazioni P.O. ricorda che :

1) Le cifre cosiddette “arabe” in realtà sono indiane.  Così come lo zero: non era noto né ai greci né ai romani, ma è stato scoperto indipendentemente dai maya.Tra parentesi, gli indiani indicavano sia lo zero che le variabili con la parola sunya, che vuol dire “vuoto”, che si traduce con sifr in arabo. Da questa derivano direttamente “cifra”, e indirettamente “zero” (attraverso “zefiro”).

 Le cifre “arabe”, introdotte in Europa da Fibonacci da Pisa nel 1202, vi rimasero a  lungo avversate: ancora alla fine del secolo XV un’ordinanza del sindaco di Francoforte cercò di impedirne l’uso ufficiale.

    2) I babilonesi furono i primi ad assegnare valori diversi a una cifra a seconda della sua posizione. Il cosiddetto sistema posizionale  fu poi ritrovato da cinesi, indiani e maya.

  3) I numeri negativi furono introdotti per registrare debiti, da indiani e cinesi. Questi ultimi indicavano  i numeri positivi in rosso e quelli negativi in nero. Una associazione cromatica che si è tramandata (invertita) fino ai nostri giorni.

  4) L’uso della virgola per separare le cifre decimali da quelle intere risale invece agli arabi. Seicento anni prima che Simon Stevin e  John Napier la reinventassero!

 5) La famosa formula di risoluzione dell’equazione di secondo grado era già nota ai babilonesi. Il teorema di Pitagora porta il nome sbagliato. Gli egizi lo conoscevano sin dal 2000 a.C., e fu poi riscoperto indipendentemente da indiani e cinesi.

    6) Il seno di un angolo fu definito dagli indiani. Si chiama così per un errore. La parola araba per “mezza corda” che traduceva correttamente l’originale indiano, ha le stesse consonanti della parola “seno” e confuse un traduttore inesperto. Forse distratto dalla sinuosa curva del grafico.

 7) Altre due parole che derivano dall’arabo sono algebra e algoritmo. La seconda è la translitterazione del nome di Al Khwarizmi, bibliotecario del califfato di Bagdad, che scrisse un libro su al-jabr, la scienza della “ricostruzione”.

   8) Nel calcolo combinatorio, il famoso triangolo di Pascal fu pubblicato in India verso il 1000 e in Cina nel !303, con tanto di figure.

 9) Quanto al calcolo infinitesimale, trecento anni prima di Newton e Leibnitz il matematico indiano Madhava aveva già ottenuto le loro serie infinite che calcolano le funzioni trigonometriche e lo sviluppo di pi greco.

10) Gli egizi moltiplicavano i numeri secondo un sistema binario simile a quello usato oggi dai computer. I babilonesi adottarono un sistema sessagesimale del quale rimane una traccia nella divisione dell’ora in sessanta minuti e dei minuti in sessanta secondi.

11) Mentre il numero più grande per il quale i greci avevano un nome era la miriade (diecimila), in India i jain    ne avevano uno per la distanza coperta in sei mesi da un dio che viaggia alla velocità di un milione di chilometri in un batter d’occhio (circa un anno luce), e distinguevano perfino tra i vari tipi di infinito.

12) I cinesi, infine, svilupparono un gusto particolare per aspetti numerologici quali i quadrati magici, che sono ancor oggi usati a fini astrologici.

  L’articolo termina con una citazione (rincuorante per noi matematici) del poeta indiano Vedanga Jyotisa, un poeta indiano del 500 a.C. :

“Come la cresta del pavone, come gli occhiali del cobra, così la matematica è la corona della conoscenza”

a cura di Cesare Palmisani

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