La scuola italiana lamenta il suo triste stato, sempre più negletta e sconsolata.

Composizione di Mariangela Cacace
Ahimè! Eccomi sempre più negletta e sconsolata. Ad ogni alba attendo che accorra in mio aiuto un valente soccorritore. Ogni sera mi ritrovo incompresa. Non mi giunge alcun cenno di conforto da un sempre più misterioso ministero.
Tanti sono i motivi di questa mia triste sorte. Eccone alcuni.
Gli attuali concorsi a cattedre.
Non mancano le lamentele dovute a ritardi, confusione, inadeguatezza di essi dal punto di vista sindacale. Quasi nessuno però ne focalizza la reale carenza. Sono del tutto inadatti a garantire su vasta scala una valida scelta dei miei docenti. Viene effettuata con quesiti nozionistici che niente hanno a che vedere con l’auspicabile profilo di un autentico educatore. Si badi che io non sono per l’ope legis. Mi necessitano concorsi con un crisma di serietà.
Il sistema dei test per accertare le cosiddette competenze dei miei discenti.
C’è un istituto apposito per elaborare i quesiti. Uno spreco di risorse che potrebbero essere allocate diversamente con autentici benefici. Una soluzione potrebbe essere data dall’abolizione di siffatto ente. Se non si vuole abolirlo, lo si riconverta, visto che in esso opera un personale da impiegare in qualche modo. Basterebbe riqualificare il personale con appositi corsi di formazione, che lo mettano in grado di dialogare in modo proficuo con me, partendo dal riconoscimento dello studente come persona e dal ripudio di una meritocrazia funzionale agli appetiti delle industrie. La valutazione delle carenze in italiano e in matematica venga riaffidata agli insegnanti per essere reinserita nei contesti.
La legge della buona scuola.
Venne illustrata in televisione da un politico che ne delineò i tratti col gesso su una lavagna. Mai una legge fu così cattiva. Continua a ferirmi. Non so fino a quando potrò resistere. Attendo da tempo che una spugna parlamentare cancelli quei freghi e sulla lavagna ritornata vergine si ritragga la mia fisionomia di nuova Venere. Si mobilitino unanimi i politici e procedano ipso facto ad abrogare così infelici disposizioni. Il superpreside manager è stato concepito come una figura aziendale. Io non posso essere una scuola azienda. La scuola azienda è un’usurpatrice. Si avvia a perdere il carattere pubblico con detrimento per la democrazia.
L’alternanza scuola-lavoro.
Fa venire in mente una frase attribuita in passato a un politico che smentì di averla pronunciata. Frase comunque suggestiva, secondo la quale con la cultura non si mangia. È l’ispirazione per l’alternanza con meno cultura e più lavoro. La parola lavoro però è manomessa. Resta un flatus vocis. Tutta la documentazione sul lavoro come sfruttamento resta ignorata. Né si comprende quale correlazione vi sia fra l’impiego del tempo scolastico per attività non mie e gli sbocchi professionali. A me non va che mi si sottragga tempo per formare i giovani culturalmente, quindi umanamente. A me non va che i giovani vengano avviati ad essere manodopera subalterna. A me non va che li si mandi a sprecare energie in compiti avvilenti o addirittura ad aumentare il numero degli operai che ogni giorno muoiono sul lavoro.
All’inizio di queste mie doglianze mi sono detta vedova e sola, simile a quella Roma poetica che dì e notte invoca Cesare affinché voglia accompagnarla. In realtà sono vedova e sola nel senso che non ho al mio fianco qualcuno che in alto loco riconosca la mia vera essenza. Attualmente c’è una distanza abissale che mi divide da chi è chiamato a decidere politicamente il mio futuro.
Diverso è il discorso nelle aule che contano, quelle scolastiche.
Ivi io sono in compagnia di quanti ogni giorno mi amano e mi animano. In loro esisto e resisto. Sono nei loro cuori. Cuori di docenti che si prodigano a beneficio degli allievi. Allievi che possono deviare dalla retta via, non tanto però da non poter essere riportati nella giusta direzione.
Le famiglie non sempre mi aiutano. Questo è un problema di civiltà. Aggiungo che per civilizzare gli incivili molto può il positivo esempio. Intanto mi dispiace la supponenza di chi deplora questa mia querela e si schiera dalla parte di chi a certi livelli si dà da fare per affossarmi. Si parla tanto di educazione civica. Io, che sono la scuola, non esito a dire che di educazione civica hanno bisogno innanzitutto gli adulti.
O voi che mi ascoltate con affetto, è per voi che nel mio dolore ancora sorrido.
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