Si discute molto sul livello culturale e professionale di presidi e docenti e con tanti verdetti contrastanti. Il tema affrontato e analizzato anche in un quaderno degli Annali della PI del 1984.
Noi vorremmo che la scuola, ogni scuola, fosse, prima di ogni altra cosa, l’ambiente di vita e di lavoro di persone in armonia tra loro e all’altezza del compito; vorremmo soprattutto presidi di valore e insegnanti degni del nome, che amino stare in classe.
Oggi si discute molto degli uni e degli altri; e sulla adeguatezza della maggioranza di loro a svolgere, come si dovrebbe, il compito, si esprimono forti riserve. Sui docenti, c’è stato chi ha ipotizzato che 1 su 20 dovrebbe essere licenziato ( si veda La Tecnica della Scuola); una percentuale cioè del 5%, che in effetti non sembra così penalizzante, se comparata ad altri settori professionali (medici, docenti universitari o magistrati o gli stessi presidi) per i quali ciascuno è realisticamente portato ad aumentare almeno di qualche unità il dato percentuale degli inadeguati.
Se ne discute oggi, ma se ne discuteva anche ieri e con grande attenzione e preoccupazione. Una prova è nel passo seguente, che descrive «la situazione di fatto» come vista e analizzata nelle cause dai dirigenti della allora esistente Direzione generale per l’istruzione classica scientifica e magistrale in un Quaderno del 1984.
Nessuno può negare che l’attuale livello culturale e professionale dei docenti è, mediamente, sotto il livello di guardia. La gravità della situazione di fatto dipende da vari fattori tra cui:
- le carenze dell’Università, che non ha saputo far fronte alla esplosione quantitativa della richiesta di sapere nell’ultimo ventennio, e la conseguente crisi strutturale, che tuttora le impedisce di attendere non solo alla funzione di centro di ricerca scientifica, ma anche a quella rivolta a preparare culturalmente e professionalmente gli aspiranti all’insegnamento;
- l’insufficienza selettiva degli strumenti di reclutamento degli insegnanti (inflazione delle «leggi assistenziali» che hanno immesso nei ruoli, senza concorsi, la maggior parte dei docenti, oggi, in servizio);
- lo scadimento economico e sociale della professione docente, che determina una carenza qualitativa in coloro che detta professione intraprendono;
- l’eccessivo tempo che si richiede, oggi, all’insegnante per attività collaterali, partecipative o parascolastiche, tempo che egli non può destinare allo studio e all’autoaggiornamento;
- il progresso del sapere, sempre più vertiginoso, che mette la scuola (e, di riflesso, i docenti) in condizioni di arretratezza e di instabilità;
- le riforme di strutture e di contenuti che sono state operate nella scuola media dell’obbligo e quelle più importanti che si stanno delineando per la scuola secondaria superiore e per le scuole elementari.Annali della PI, L'istruzione classica scientifica e magistrale in Italia, 1984
A distanza di quarant’anni, la situazione di fatto, è notevolmente cambiata. Ciascuno può dire la sua, ma sulle cause manca ad analizzarle e indicarle un lavoro autorevole come quello riportato nel Quaderno del 1984. C’è anche, oggettivamente, più di un elemento a complicare la realizzazione di un lavoro simile che presenti la situazione attuale che è molto più complessa a livello normativo ed è piena di contraddizioni; ad esempio, la più lampante: aumenta il numero dei formatori, di coloro cioè che per definizione insegnano ad insegnare e si propongono sempre più per farlo, e diminuisce il numero di quelli che amano insegnare, che vogliono stare nelle classi e che sono incoraggiati a farlo!
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