Segmenti e bastoncini
Lucio Russo docente di Calcolo delle Probabilità a Roma: “qualunque docente universitario di materie scientifiche con sufficiente anzianità – egli scrive – ha verificato che il livello medio delle conoscenze matematiche di chi si iscrive all’università è crollato negli ultimi decenni.”
La matricola ignora “spesso la differenza tra un postulato e un teorema” e non conosce “quasi mai una definizione di numero reale”.
L’insegnamento un secolo fa, nel 1900.
Il Prof. Giuseppe Brucchietti relazionò al Ministro – avendone avuto l’incarico – sullo stato dell’insegnamento scientifico nei licei.
La sua relazione, datata ottobre 1899, venne pubblicata sul B.U. delle circolari del M.P.I. nel gennaio del 1900.
La relazione:
Premessa L’incarico
Cap. I Il sovraccarico degli alunni (Programmi troppo ampi)
Cap. II Quali le discipline essenziali
Cap. III La matematica
Cap. IV Fisica e Matematica
Cap. V Questioni di metodo
Cap. VI Conclusioni
Dal 1900 ad oggi: cosa è cambiato. Una raccomandazione di un secolo fa.
La raccomandazione è del ministro Gallo – è il R.D. 24 ottobre 1900, n. 361 – ed è tratta da quel bellissimo libro “I programmi di matematica per le scuole secondarie dall’unità d’Italia al 1986” del compianto ispettore tecnico Vincenzo Vita, libro che dovrebbe figurare in una possibile lista di documenti che ogni docente o ricercatore in didattica della matematica dovrebbe conoscere.
La raccomandazione è la seguente:
«le disquisizioni sui fondamenti della scienza sono escluse dalla scuola, ma l’insegnante non mancherà di far notare agli allievi le analogie e le differenze che passano fra alcuni enti, a mano a mano che se ne svelano le proprietà……ed alla fine del terzo corso liceale potrà richiamare brevemente l’attenzione degli alunni sulla natura e sull’ufficio di alcune proposizioni elementari e sul nesso delle proprietà che appartengono ad una data teoria».
E non è chi non colga che l’analogia ha il suo corrispettivo in Analogie strutturali dei programmi del ‘79 della scuola media. Qualcuno dirà subito che l’ottica è diversa. Certamente, ma al fondo, il principio pedagogico è il medesimo e il medesimo spirito pedagogico si coglie nelle avvertenze contenute nei programmi Brocca.
Questo fa capire ancora una volta che il tempo funzione da setaccio: le idee vengono raffinate ma nella sostanza c’è qualcosa che si conserva, un nucleo fondamentale che si trasmette di generazione in generazione e ciò che si trasmette inalterata è, prima di tutto, l’aspirazione più importante e legittima: favorire la comprensione della matematica. Questo rafforza sostanzialmente ciò che è nella storia: l’insegnamento della matematica è stato un problema di sempre e con molta probabilità sarà sempre così.
Cosa cambierà è in stretta correlazione a ciò che è cambiato nelle impostazioni e negli strumenti; i cambiamenti sono lenti nell’arco di un secolo; è cambiato appunto che il concetto di struttura sia più familiare, che le assiomatiche siano più mature; anzi il secolo si è aperto ed ha portato a maturazione proprio questi due aspetti. Ed in Geometria è cambiata l’impostazione, la visione. E anche nella didattica dal globalismo del programma di Klein che consiste nel vedere la geometria o una geometria come l’insieme delle proprietà che rimangono invariate rispetto a particolari gruppi di trasformazioni si è passati a impostazioni “locali” più adatte a veicolare il metodo e più rapidi ed efficaci nel giungere ai risultati prescelti, quelli fissati quale oggetto dell’insegnamento/ apprendimento. Ma in tutto questo il cambiamento che si avverte è pur esso qualitativo di una generalizzazione ad una geometria delle forme ad una geometria che ha in sé la conquista della spazialità, del muoversi negli spazi e delle trasformazioni che su tali forme possono apportare modifiche rilevanti. (E. Ambrisi)
Il problema didattico del III millennio (da intervento di Bruno Fadini)
La matematica ha due componenti fondamentali: una formativa e l’altra algoritmica. La prima è quella dei concetti e dell’astrazione, del processo logico e del linguaggio matematico, della metodologia del misurare e classificare e così via. La seconda è strumentale e consiste nella decomposizione di operazioni “complesse” in sequenze di operazioni più elementari, tali da consentire la soluzione pratica di un problema. La prima componente è la matematica del “cosa”, la seconda è quella del “come”.
Si può discutere se serva o non la matematica del “cosa” (secondo me, molto!) o piuttosto quali dosi di essa possano o debbano essere trasmesse ai bambini della scuola media (secondo me, una dose “controllata”), ma credo che su un fatto tutti debbano concordare: la matematica del “come”, in quanto strumentale, è utile nei limiti in cui essa costituisca effettivamente uno strumento pratico.
Ebbene, gli algoritmi della matematica del “come” sono strettamente condizionati dagli strumenti disponibili per la realizzazione delle operazioni elementari componenti l’algoritmo medesimo, quali pallottoliere, calcolo mnemonico, penna e carta, calcolatrice o calcolatore: un algoritmo ottimale per uno strumento potrebbe non esserlo per uno diverso. L’avvento dell’informatica e la diffusione dei calcolatori ha reso obsoleti vecchi algoritmi (che conservano esclusivamente un valore storico) lanciandone o rilanciandone dei nuovi: basti pensare al prevalere negli ultimi decenni di algoritmi numerici a fronte di procedimenti classici “analitici”.
Invero, la rivoluzione della Società dell’informazione che viviamo (ci piaccia o non) è andata oltre: gli algoritmi (vecchi, nuovi o rinnovati) sono stati programmati nei calcolatori ed oggi spesso non si pone il problema di “impararli per applicarli”, ma al più quello di impararli per capire il processo programmato nelle macchine ed evitare di deificarle. Ovviamente, entro certi limiti: ritengo ancora utile imparare gli algoritmi “penna e carta” per la moltiplicazione o la divisione, almeno secondo i canoni di quest’ultimo secolo del secondo millennio….ma questo è un altro discorso. Il problema nuovo che si pone per il terzo millennio è un altro (ma anche questo è un altro discorso): assumere come “primitive” le operazioni che le macchine sanno fare meglio di noi ed imparare a risolvere con esse problemi più complessi.
Come redigere nuovi programmi. Il parere dei Saggi, dal documento di sintesi (Marzo 1998)
Si deve sviluppare una nuova modalità di organizzazione e stesura dei programmi che preveda l’indicazione dei traguardi irrinunciabili e una serie succinta di tematiche portanti.
E’ necessario operare un forte alleggerimento dei contenuti disciplinari.
In questa ottica in matematica bisognerebbe impegnarsi per dire:
quali sono i traguardi irrinunciabili ?
quali tematiche portanti possiamo indicare ?
Nel documento si colgono i seguenti traguardi :
· “La necessità di insegnare agli studenti ad usare idee e tecniche di tipo matematico nella soluzione di problemi diversi ( sia di scienze fisico-naturali, sia di scienze sociali)”
· fare in modo che “bambini e ragazzi non perdano il piacere del matematizzare, non siano demotivati da eccessi di formalismo”
· il problem solving
· il calcolo approssimato.
Dall’Editoriale Mathesis
Periodico di Matematiche
……………….L’insegnamento della matematica non può essere pensato – a livello di organizzazione e di “scrittura” di programmi ministeriali – in modo lineare: un segmento che ha un inizio e una conclusione per un determinato ciclo di studi e che poi per il ciclo successivo ricominci eventualmente d’accapo. Non lo consiglia la pedagogia, non lo consente la matematica che non ha una struttura e una organizzazione ben definite, atte a riconoscere oggettivamente ciò che viene prima e ciò che viene dopo nella costruzione matematica: una lista di concetti può essere considerata primitiva in una data organizzazione e gli stessi concetti essere ritenuti secondari in un’altra. Manca cioè una organizzazione standard o canonica della matematica da tutti riconosciuta che possa costituire il riferimento forte e sicuro per una linea pedagogica altrettanto chiara e condivisa.
Il problema non è nuovo.
Per circa un ventennio, dai programmi della scuola media del 1979 ai programmi “Brocca” la questione è stata affrontata e risolta conferendo ai programmi ministeriali una struttura per temi : ambiti abbastanza ampi e consolidati della matematica (aritmetica e algebra geometria, analisi, ecc.) ove indicare gli argomenti di programma ( normativamente prescrittivi ).
L’itinerario didattico, la scelta sequenziale degli argomenti, l’organizzazione lineare dell’insegnamento si è lasciata alla libertà del docente.
Questa soluzione non è però più perseguibile soprattutto per gli eccessi cui ha condotto.
I programmi “Brocca” – in toto, non solo quelli di matematica – hanno riprodotto lo schema dell’Enciclopedia: “tutto” di “tutto” dichiarando di fatto non solo la caduta della prescrittività (valida invece de iure) ma facendo venir meno finanche il ruolo di guida e di riferimento per ciò che deve essere trattato o svolto.
Che fare allora?
La riflessione pedagogica ha generato le didattiche brevi e poi quelle modulari e ancora le isole didattiche e le unità di lavoro mentre quella più generale si è rivolta ai saperi essenziali. Quali sono le conoscenze che si richiede ai giovani di conseguire e di possedere?
Per la matematica dunque, quali le conoscenze che un alunno deve sapere al termine di un determinato ciclo di studi o, più semplicemente, di un anno scolastico?
Esistono dei concetti, risultati, procedure rilevanti che possiamo selezionare e fissare?
Se io fisso il teorema di Pitagora o quello di Taleteciò equivale a dire che il mio percorso didattico non mira a raggiungere l’acquisizione di tali risultati come mete finali, punti terminali. Esso piuttosto sarà costruito sulla base di una acquisizione ed una utilizzazione immediata di essi, come “fatti” illuminanti per altri concetti e risultati; in definitiva, per una attività di rilievo.
Il lavoro di redazione di programmi ufficiali certamente non si risolverà e non impegnerà a riempire di argomenti ambiti già fissati, importanti di per sé in una organizzazione della matematica, ma di delineare o indicare un insieme di “fatti” matematici che si ritiene che l’alunno debba acquisire e possedere. A dirsi sembra facile ma non lo è. Eppure è un’operazione necessaria; dovremo pure saper dire: se ci sarà una scuola di base cosa vorremmo che al termine di questo ciclo gli alunni sappiano di matematica?
Il “che cosa”, ovviamente, andrebbe detto con la massima chiarezza e distinto per anni scolastici.
Deve su questo aprirsi un profondo ed ampio dibattito: il Periodico di Matematiche e la Mathesis devono stimolarlo e condurlo. Secondo alcuni esperti, ad esempio. a fissare ciò che è importante che il cittadino sappia di matematica e che quindi la scuola deve insegnare, non dovrebbero essere i matematici. E’ questa un’idea non solo da rispettare ma da favorire; in ogni caso non da osteggiare. Penso che possa essere prezioso per i matematici avere una lista di cose importanti da insegnare ed apprendere, una lista di “gemme di sapere” stilata da persone di cultura, pedagogisti filosofi letterati o gente comune (come le persone della strada a cui Hilbert avrebbe voluto spiegare i problemi più significativi). Allo stesso tempo i matematici potrebbero riflettere ed analizzare anche ciò che può ritenersi “non” importante, ovvero la selezione direi naturale che c’è stata nel corso degli anni e che ha portato a tagli e modifiche da tenere presenti: ad esempio, le equazioni binomie e quelle reciproche, le costruzioni con riga e compasso, le tavole dei logaritmi, ecc?
Ma sulle tavole numeriche si spende ancora molto del tempo a disposizione e così ad esempio per il calcolo della radice quadrata di un numero con il metodo di Tolomeo come è stato messo in evidenza in un “Servizio” in Internet di recente realizzazione da parte del M.P.I.[1]. E ancora, su alcune regole e procedure di calcolo, quanto tempo si spende per trattarle? È importante ed essenziale conoscerle?
Questo sarà l’impegno pieno della Mathesis, su questo la Mathesis invocherà la mobilitazione delle sue strutture e risorse.
[1] Si tratta del Servizio per l’insegnamento/apprendimento della matematica il cui indirizzo è: http://matmedia.ing.unina.it ; una realizzazione molto importante per la quale la Mathesis ha non solo già espresso il proprio apprezzamento al Ministro e ai Direttori Generali interessati ma anche la disponibilità ed interesse a concorrere alla sua piena riuscita.
Quello che va insegnato
I NODI CONCETTUALI DELLA MATEMATICA
di Antonino Giambò
«……………….i nuclei concettuali su cui fondare una “Matematica per tutti” mi sembra che possano essere i seguenti:
– i numeri (naturale, intero, razionale);
– la valutazione approssimata;
– la probabilità;
– le relazioni e le funzioni;
– la rappresentazione grafica;
– l’idea di dimostrazione.
A quest’elenco si può aggiungere quest’altro per chi decide di proseguire gli studi in corsi universitari in cui di fatto non c’è Matematica:
– l’idea di numero reale;
– proprietà delle figure che rimangono invarianti per gruppi di trasformazioni (isometrie, similitudini);
– il calcolo numerico.
Quest’ultimo elenco completa poi la lista per coloro che decidono di proseguire gli studi in corsi universitari in cui la Matematica è disciplina caratterizzante o comunque fondamentale:
– proprietà delle figure che rimangono invarianti per affinità;
– il concetto di struttura e le analogie strutturali;
– l’inferenza statistica;
– i concetti di termine primitivo, assioma, teorema, dimostrazione;
– l’idea di teoria matematica.
Il nuovo esame di Stato: una proposta di modifica di Antonino Giambò
Premessa
L’esame di Stato ha visto da poco una riforma, ma tre anni di sperimentazione della nuova formula – che, a mio avviso, nell’insieme funziona – dovrebbero suggerire di apportare quei miglioramenti che possano renderlo più efficace, non solo per la cosa in sé ma per le ricadute che ciò può avere nella pratica didattica di tutti i giorni.
Anzitutto alcune considerazioni introduttive, di carattere generale, sulla seconda e la terza prova scritta.
Come si sa, la normativa vigente prescrive che la seconda prova scritta sia predisposta a livello centrale dal Ministero della Pubblica Istruzione mentre la terza sia preparata dalla Commissione d’esame. A suo tempo si è molto discusso su questa procedura e il Parlamento è giunto alla conclusione che sappiamo. Continuo a credere che non sia stata la soluzione migliore e mi confermo sempre di più in questo convincimento dopo tre anni di sperimentazione della nuova formula dell’esame e soprattutto dopo l’approvazione della legge sul riordino dei cicli.
Considerazioni sulla seconda e terza prova scritta.
La seconda prova scritta quasi mai trova il favore delle scuole poiché di solito le proposte ministeriali non coincidono con il programma effettivamente svolto da esse. Programma che spesso, soprattutto nelle scuole dell’area tecnica e professionale, è legato a realtà locali che l’estensore della prova può non conoscere, per cui di fatto la prova ministeriale delude le attese. Ho il timore che questa questione non troverà mai una soluzione veramente soddisfacente, neppure quando saranno definiti gli obiettivi del sistema nazionale d’istruzione, finché la prova sarà centralizzata. Gli esperti che elaborano le proposte, infatti, non possono che riferirsi ai programmi ufficiali dal momento che oggettivamente non sono nella possibilità di valutare i programmi che di fatto le singole scuole svolgono e che sovente sono tra loro molto dissimili.
La terza prova scritta, che tanti entusiasmi suscitò all’inizio, segna già il passo. Soprattutto per le difficoltà di elaborazione della stessa nel breve tempo di cui la Commissione dispone. Bisogna aggiungere che la modalità “quesiti a scelta multipla”, che apparentemente è la più semplice e comunque è la più diffusa, comporta difficoltà nella predisposizione della prova ancora maggiori poiché non è pensabile che i vari quesiti, per le loro caratteristiche, siano preparati alla vigilia della prova medesima: la Commissione dovrebbe poter attingere ad un archivio, ben fornito e facilmente accessibile, di quesiti già validati e anche questo potrebbe non risultare sufficiente, sempre per la scarsezza del tempo disponibile.
Con la definizione degli obiettivi del sistema nazionale d’istruzione si pone il problema di controllare se le scuole hanno conseguito o no tali obiettivi. Certamente l’Istituto per la valutazione (ex CEDE) attiverà iniziative opportune in merito, ma non sarebbe uno scandalo se il Ministero della Pubblica Istruzione trovasse la maniera di operare motu proprio un controllo sul conseguimento degli obiettivi dell’area cognitiva in uscita dalla scuola secondaria, anche fosse al solo livello statistico.
Ancora sulla seconda prova scritta. La normativa vigente stabilisce che essa abbia per oggetto una delle discipline caratterizzanti il corso di studi. E l’interpretazione che l’Amministrazione dà di questa disposizione è che la prova sia di tipo monodisciplinare; sostanzialmente senza possibilità di invasione di campo delle altre discipline, neanche di quelle cosiddette affini. Tanto per intenderci, per esempio, la prova di matematica non può contenere alcun riferimento, né implicito né esplicito, alla fisica o all’economia. Ecco, questo mi sembra veramente paradossale, soprattutto se si pensa all’impianto del nuovo esame che, per il resto, poggia tutto sulla pluridisciplinarità.
La proposta di cambiamento
Basta questo per convincermi – e mi auguro che con me altri lo siano altrettanto – della necessità di modificare la legge istitutiva del nuovo esame in alcuni suoi punti. In modo particolare:
· Occorre scambiare i ruoli tra la seconda e la terza prova scritta: la seconda prova scritta dovrebbe essere preparata dalla Commissione; la terza prova scritta predisposta dall’Amministrazione centrale del Ministero della Pubblica Istruzione.
· La seconda prova scritta dovrebbe poter controllare pure la capacità del candidato di utilizzare le conoscenze acquisite anche in ambiti esterni alla disciplina. E questo la normativa dovrebbe esplicitarlo con chiarezza e senza possibilità di equivoci. Anzi un’apposita norma dovrebbe indicare, per ogni disciplina oggetto della seconda prova scritta, quali abilità intende accertare e non limitarsi invece alle sole “conoscenze specifiche della disciplina”, com’è attualmente.
· Il ruolo della terza prova scritta sarebbe duplice: servirebbe a valutare conoscenze, competenze e capacità dei candidati, ma nel contempo a raccogliere elementi utili a giudicare se la scuola ha messo gli allievi in grado di raggiungere gli obiettivi (cognitivi) definiti a livello nazionale. Naturalmente quando questa definizione ci sarà.
· Ora le finalità del punto precedente non possono essere conseguite con tipologie variegate, ma con prove cosiddette oggettive. Per questa ragione la terza prova dovrebbe essere costituita da un elevato numero (da 100 a 120) di “quesiti a scelta multipla con quattro alternative ed una sola risposta corretta”, diversificati a seconda delle aree (classico – umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale), ma con una eventuale parte comune. Di tali quesiti – distribuiti in modo che per ogni disciplina (comprese quelle oggetto delle prime due prove scritte) ce ne sia un numero variabile da 9 a 12 – alcuni dovrebbero controllare le “conoscenze”, altri le “competenze”, altri infine le “capacità”. In ogni caso tutti strettamente correlati agli obiettivi di sistema, definiti in maniera chiara.
· Gli esiti, in sede d’esame, della terza prova scritta dovrebbero essere inviati all’Istituto per la valutazione delle scuole (ex CEDE) per l’elaborazione statistica e per le eventuali proposte di correzione da apportare al sistema degli obiettivi nazionali dell’area cognitiva: troppo ambiziosi? troppo deboli? le prove erano ben calibrate? Una copia di tali esiti dovrebbe però essere rimessa al dirigente scolastico. Egli, una volta pubblicati gli esiti medi nazionali, avrebbe così la possibilità di effettuare gli opportuni confronti: gli studenti della scuola che egli dirige hanno ottenuto esiti al di sopra della media nazionale? al di sotto? in quali discipline? Quindi, con la consulenza e la collaborazione degli organi competenti della scuola, potrebbe adoperarsi per i necessari interventi a seconda della situazione riscontrata.
Le riserve.
È proprio un’idea cervellotica? Forse no, ma non mancano le riserve mentali, soprattutto in merito allo scambio di ruoli fra la seconda e la terza prova scritta:
– Non si corre il rischio che per la 2a prova scritta, preparata dalla Commissione, non sia garantita la segretezza?
– Siamo sicuri che i quesiti a scelta multipla si adattino a tutte le discipline? E soprattutto siamo sicuri che possano essere costruiti quesiti che controllino qualcosa di diverso dalle conoscenze?
Relativamente alla prima domanda si potrebbero fare diverse considerazioni. Ci limitiamo a due soltanto:
– Un problema di segretezza, a onor del vero, c’è anche con l’attuale formula dell’esame che prevede che sia la terza prova scritta ad essere predisposta dalla Commissione. Perché non suscita allarme? Forse perché non ce n’è motivo.
– In ogni caso si potrebbe superare il problema imponendo che la scuola predisponga per la Commissione un numero elevato di temi relativi alla prova d’esame (per esempio un centinaio) e tra quelli sorteggiarne poi uno. Il fatto che i candidati possano conoscere con largo anticipo tali temi non solo è irrilevante ma è anzi positivo: si eserciteranno a lungo su di essi in modo da far bene agli esami. Ma si eserciteranno su 100 temi non su due o tre. Come dire che avranno molte possibilità di imparare la disciplina. Che è ciò che si vuole. O no?
Per quanto concerne il secondo punto credo che gli esperti siano in grado di preparare per tutte le discipline quesiti validi e significativi, cioè tali da controllare conoscenze, competenze e capacità. Soprattutto avendo a disposizione tutto il tempo che un’operazione di questo tipo richiede. In realtà la preoccupazione è soltanto di chi non si è mai cimentato con vero impegno nell’elaborazione di quesiti siffatti. Ricordo, se ce ne fosse bisogno, che tale prova non è la sola cui sono sottoposti i candidati in sede d’esame. E che, anzi, proprio i contenuti di questa prova e le risposte fornite dai candidati possono costituire una valida base su cui articolare il colloquio.
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