I fascicoli del 1921. L’Aritmetica fa le corna e il decalogo dell’insegnante.
Quello del 1921 è il volume che segna la ripresa della pubblicazione della rivista. Dopo tre anni di pausa, nella nuova impostazione impressa dalla direzione di Federigo Enriques e Giulio Lazzeri.
In tutto, 384 pagine che si scorrono piacevolmente.
Una stimolante rassegna di problemi e di vicende – didattiche, culturali, umane – che invitano a continui confronti e parallelismi con quelle attuali. Una prova che la storia non ama le discontinuità profonde, i tagli e le lacerazioni al suo interno e, di converso, non abbandona nulla di ciò che è stato. Anzi, tutto riprende per proseguire senza perdite. Una storia della matematica cioè che tende a divenire essa stessa matematica assumendone i caratteri: universale, cumulativa, direzionale, nel senso espresso da Francis Fukuyama.
Quelle pagine dei volumetti del 1921, risuonano delle voci di Giuseppe Peano e di Enrico Bompiani, di Giovanni Sansone, Gino Loria, Oscar Chisini, Roberto Marcolongo, Giulio Vivanti, Salvatore Pincherle per citarne solo alcuni.
Si parte con “l’insegnamento dinamico” di Enriques.
L’articolo diventa pietra miliare per il successivo cammino della storia della didattica della matematica. L’annata si chiude con la cronaca del Congresso Mathesis di Napoli, celebrato nella prestigiosa aula De Sanctis dell’Università, dal 13 al 16 ottobre, e avente come tema centrale la formazione dei docenti di matematica della scuola secondaria.
Nelle 384 pagine, i pregevoli articoli e le tante rubriche a più voci:
“Recensioni e note bibliografiche”, “Noterelle di terminologia matematica”, “Varietà e Questioni proposte”, “Definizioni”.
Ma anche la polemica sulla logica tra Enriques e Cesare Burali Forte e le prime critiche alle mode didattiche.
Già allora! Critiche alle esagerazioni cui esse possono condurre come già si stava verificando nella tendenza alla ricerca del rigore logico che aveva portato a cercare
“l’errore dove esso non era; si arrivò al punto di rinunziare a dei procedimenti semplici ed eleganti (perchè a torto ritenuti difettosi), sostituendoli con altri assai lunghi e complicati”.
Nello stesso ambito di considerazioni è la dichiarazione della “preferenza da darsi alla dimostrazione del teorema contrario invece che a quella dell’inverso”. Un’opinione che non può non portare il lettore alla considerazione delle propensioni attuali che vedono “teoremi” e “dimostrazioni” collocati in una dimensione diversa, aver perso molto del ruolo e della speciale presenza che avevano nella didattica e più in generale nella tecnica della spiegazione.
In ogni caso un ricordo utile per riaffermare l’opportunità nella didattica di evitare gli eccessi e non dimenticare che anche la formulazione di un teorema inverso o contrario può rivelarsi un efficace esercizio.
Ancora, non può non suscitare interesse leggere quanto scrive Peano delle definizioni (Ogni definizione è una uguaglianza, ha la forma definito=definiente) o Chisini sui problemi di massimo e di minimo o ancora Vivanti sui paradossi dell’infinito o ancora quanto scrive Enriques del latino sine flexione di Peano.
Agli stimoli didattici si accompagnano quelli più generali normativi e di sistema
Interessant sono le notizie dei concorsi per l’insegnamento banditi in quell’anno. Essi segnarono un cambiamento politico e sociale notevoli e che impegnarono nelle commissioni giudicatrici: Roberto Marcolongo, Luigi Berzolari, Ugo Amaldi, Gabriele Torelli, Luigi Bianchi, Ernesto Pascal, Giulio Pittarelli, Ettore Bortolotti, Francesco Severi, Carlo Rosati. Cioè una rappresentanza del meglio della matematica italiana di quel periodo, una prova di quanto la comunità scientifica fosse attenta alla “preparazione degli insegnanti medi” e a quanto avveniva anche all’estero e utilissime sono al riguardo le descrizioni e i commenti che se ne danno.
Belle pagine! Un volume dunque che è una miniera di gemme in cui ciascuno può attingere secondo i suoi gusti e interessi.
Ad esempio tra le note più simpatiche da ricordare e raccontare, quella che ha per autore Ettore Bortolotti: l’Aritmetica fa le corna. Essa fa riferimento alla raffigurazione dell’Aritmetica presente nel bassorilievo del campanile del Duomo di Firenze. La formella di Andrea Pisano trae spunto dall’antica pratica del fare i conti con le mani ovvero il contar su le dita, una vera e propria arte che i romani chiamavano indigitatio ed insegnavano nelle scuole. Una pratica e un’allegoria presenti in tante altre raffigurazioni artistiche anche dei secoli successivi.
Ancora: il decalogo dell’insegnante. È noto quello pensato da George Polya (si veda nell’Antologia di Matmedia).
Ma, prima di Polya, a comprovare che l’indagine storica non cessa mai di fornire di un’idea sempre nuove e più profonde radici, c’è il decalogo di Federico Amodeo.
Il matematico avellinese lo presentò ai colleghi nell’adunanza della sezione Mathesis di Napoli del 14 gennaio 1921 come decalogo delle norme d’ogni insegnante, autentica sorgente, ancora oggi, per riflessioni non banali.
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