Fare matematica ragionando è già dimostrare! L’importanza delle dimostrazioni e il genio di Riemann
Reuben Hersh racconta (in Che cos’è davvero la Matematica, 2003) di aver sentito dire « Riemann, in fin dei conti, non dimostrò niente». Stupito, da quella affermazione che gli appariva limitativa di un genio universalmente ammirato come uno più grandi matematici di tutti i tempi, chiese di avere maggiori dettagli. Dall’interlocutore ebbe la seguente risposta: «Chiaramente, non è vero che non dimostrò nulla, non prendermi alla lettera. Ciò che è vero è che la sua fama non deriva tanto dalle cose che ha dimostrato quanto da altri suoi contributi. Li classificherei, questi, in varie categorie. Tanto per cominciare:
Le congetture.
la più famosa di tutte è l’ipotesi-di Riemann sulla distribuzione degli zeri della funzione zeta.
La seconda categoria è costituita da definizioni.
L’integrale di Riemann, la definizione di funzione analitica mediante le condizioni di Cauchy-Riemann (invece che tramite gli sviluppi in serie), il tensore di curvatura di Riemann e la definizione, per mezzo delle sezioni, di curvatura in geometria riemanniana.
La terza categoria è collegata alla seconda, ma è leggermente diversa, e consiste di concetti nuovi.
Quello di superficie di Riemann o di varietà riemanniana (che comporta un radicale ripensamento di nozioni fondamentali), quello di sfera di Riemann, o piano complesso esteso, e alcuni concetti fondamentali relativi alle curve algebriche.
La quarta categoria comprende la costruzione di nuovi e importanti esempi.
La superficie di Riemann minima, immersa, completa e periodica; ciò che chiamiamo spazio iperbolico, utilizzando ciò che oggi chiamiamo “metrica di Poincaré”, ma che Riemann scrisse esplicitamente.
Infine, c’è il teorema di Riemann
il teorema fondamentale della rappresentazione conforme, (che è di una generalità mozzafiato, e richiede, una volta di più, una grande profondità di visione) la cui dimostrazione fu stabilita solo molti anni dopo, dato che quella originale di Riemann era difettosa. Forse si può mettere tutto insieme dicendo che Riemann fu un pensatore molto profondo la cui capacità di visione ebbe un impatto radicale sul futuro della matematica».
Hersh aggiunge: molti lettori non avranno forse mai sentito parlare di tutti questi contributi di Riemann. Ma l’esempio basti per confutare le frasi fatte:
«Un matematico è uno che dimostra teoremi» e «La matematica non è niente senza dimostrazione».
Ovviamente il racconto di Hersh se c’è una cosa che confuta sono le esagerazioni, le concezioni estreme, esclusive ed esaustive non congeniali peraltro alla natura della matematica. Un’esagerazione è pensare che la matematica debba essere scritta, insegnata e studiata come una collezione bene ordinata di premesse, di enunciati e dimostrazioni. Non c’è alcun imperativo categorico e di ricette didattiche ce ne sono tante, ma nessuna è la migliore. Quelli che ci hanno riflettuto, se ne sono ben accorti: non c’è una via regia in matematica. C’è sempre un misto di algoritmico e di dialettico, di intuizione e riflessione, di continuità e salto, di lampo interpretativo e di logico paziente lavoro di comprensione.
Segue paragrafo 2: La dimostrazione come strumento per riconoscere il talento matematico.
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