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L’uso della parola è problema primario dell’educazione

Un problema allarmante e la necessità di un’educazione interdisciplinare all’uso della parola, antidoto alla deriva linguistica.

Lorenza Ambrisi, La lingua dell’odio. Deriva linguistica dell’italiano contemporaneo, Guida Editori, 2021

Vayomer Elohim yehi-or vayehi-or (Genesi)

Lorenza Ambrisi si è cimentata con un  problema allarmante della nostra società. Problema non nuovo. È il problema dell’uso della parola. Fin dalle origini della civiltà l’uso della parola ha rivelato la sua ambivalenza. La parola può essere creatrice di luce come si legge nel libro della Genesi: “Dio disse sia fatta la luce e la luce fu“. Oppure  si degrada in una confusione babelica che non è fatta soltanto di diverse lingue, ma si annida, cova e si diffonde nel ricettacolo di ogni  lingua.

Perché problema allarmante?

Perché riguarda i rapporti interpersonali, che si fondano essenzialmente sulla comunicazione. E la società a sua volta non può sussistere, se i suoi membri non comunicano correttamente. Comunicare in modo distorto la mina alla radice. In questo volume viene effettuata una diagnosi della patologia del linguaggio e si prospettano antidoti per neutralizzare il veleno comunicativo, come sottolinea nell’introdurre l’opera anche l’italianista e ispettore dell’istruzione Biagio Scognamiglio.

L’andamento dell’esposizione si snoda verticalmente lungo un asse diacronico, che parte dalla lingua dell’odio del totalitarismo,  per disporsi poi in senso orizzontale, sondando in sincronia quegli abissi interiori da cui affiorano e giungono ad esiti rovinosi le parole dell’inimicizia, dell’avversione, del rancore come prodromi della violenza. Veniamo così a trovarci di fronte a una vera e propria semantica dell’odio.

Il terreno esplorato è quello della pragmatica della comunicazione umana, studiata da Paul Watzlawick et alii.

Nello studiare i modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, i ricercatori fra l’altro pongono a confronto il linguaggio matematico con il linguaggio verbale, notando che questi diversi linguaggi dispongono di diversi simbolismi, il primo esente da compromessi, il secondo suscettibile di invischiarsi in labirinti di aberrazione.

Sappiamo che il 27 gennaio di ogni anno si celebra la ricorrenza internazionale del  Giorno della memoria. Vengono ricordati e condannati gli orrori della Shoah. Progettati e compiuti con aberrante razionalità e alimentati dalla lingua dell’odio. Si pensi agli insulti che continua a ricevere Liliana Segre. Giorno della memoria deve essere ogni giorno. Nel primo capitolo, dedicato ai momenti della lingua di regime, vengono esplorati i rapporti fra politica e linguaggio. Inculcare l’odio nei confronti dei dissidenti e dei diversi è prassi tipica dell’antidemocrazia. Ciò ovviamente  non significa che l’odio linguistico sia assente nei regimi democratici. Tutt’altro.

La violenza verbale non è certo estranea ai rapporti politici.

La società tende a disporsi a specchio di essa. Di qui la necessità di trovare modi e mezzi atti a rimediare alla deriva linguistica. Deriva che significa decadenza morale e civile. La metafora della nave in balia delle onde è un τόπος letterario. Lo troviamo, ad esempio,  in Orazio, “O navis, referent in mare te novi –  fluctus …”, dove la navis è la respublica Romanorum in crisi. Lo troviamo, ad esempio, in Dante, “Ahi serva Italia, di dolore ostello, – nave sanza nocchiero in gran tempesta …”, dove il poeta sommo esprime scoramento e indignazione per la mala politica del tempo.

Ma come scampare al naufragio?

Umberto Galimberti, docente di Filosofia della storia e Psicologia dinamica all’Università di Venezia, in Parole nomadi ha posto l’accento sull’attenzione da rivolgere all’emotività in ambito scolastico:

“Espulsa dalla scuola l’educazione emotiva, l’emozione vaga senza contenuti a cui applicarsi, ciondolando pericolosamente tra istituti di rivolta, che sempre accompagnano ciò che non può esprimersi, e tentazioni d’abbandono in quelle derive di cui il mondo della discoteca, dell’alcol e della droga sono esempi neppure troppo estremi”.

Su questa scia l’autrice considera la scuola un luogo privilegiato per aggiustare la rotta.

Ella stessa si è cimentata in un’analisi sperimentale in una classe scolastica, essendo ben consapevole fra l’altro dei danni che il cosiddetto hate speech in rete può arrecare ed arreca alle giovani generazioni. La didattica della lingua è il vaccino per debellare il virus dell’intolleranza. Le parole possono salvarci, purché si educhi l’altro all’ascolto, come ribadisce lo psichiatria Eugenio Borgna in Le parole che ci salvano e I grandi pensieri vengono dal cuore. Ebbene, proprio nella scuola si può e si deve realizzare un’educazione alla cittadinanza che trovi il suo fulcro nell’educazione linguistica. Altrimenti ci potrà sempre essere chi prorompa in un’apostrofe a Dio come nel Prologo  di Federico Garcia Lorca: “Le nostre bestemmie non hanno fatto – babeli senza mattoni – per ferirti, o ti piacciono – i gridi?”

Piace qui citare un significativo brano della Lettera enciclica Fratelli tutti del Santo Padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale:

“Proprio mentre difendono il proprio isolamento consumistico e comodo, le persone scelgono di legarsi in maniera costante e ossessiva. Questo favorisce il pullulare di forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro, con una sfrenatezza che non potrebbe esistere nel contatto corpo a corpo perché finiremmo per distruggerci tutti a vicenda. L’aggressività sociale trova nei dispositivi mobili e nei computer uno spazio di diffusione senza uguali”.

Uno spirito analogo anima la presente ricerca di Lorenza Ambrisi.

Lingua ed etica devono coniugarsi in presenza e nella realtà virtuale. In quest’opera i lettori troveranno spunti quanto mai adatti per far comprendere come l’uso della lingua comporti una enorme responsabilità: l’odio lo si combatte, per usare un’espressione di Lucreziodictis, non armis. E i detti devono essere contraddistinti dalla virtù che si contrappone all’odio forse ancor più dell’amore: la gentilezza.

 

 

 

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