I programmi del 1955

I programmi del 1955 portano la firma del ministro Ermini e del direttore generale Attilio Frajese.

D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503  (Abrogato e sostituito dal D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104)


Art. unico.

I programmi didattici e le relative istruzioni per le scuole elementari, pubbliche e private, stabiliti con il decreto luogotenenziale 24 maggio 1945, n. 459, e i programmi per l’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole elementari approvati con il decreto del Capo provvisorio dello Stato 8 novembre 1946, n. 383, sono sostituiti dai programmi annessi al presente decreto e vistati dal Ministro proponente.
I nuovi programmi entrano in vigore dall’1 ottobre 1955 per la parte relativa alla 1a classe e dall’1 ottobre 1956 per la parte relativa alle altre classi.

Premessa

I presenti programmi comprendono l’indicazione del fine assegnato alla istruzione primaria; la descrizione della via da seguire per raggiungere il fine stesso; un complesso di suggerimenti, desunti dalla migliore esperienza didattica e scolastica.

Sotto il primo riguardo (indicazione del fine dell’istruzione primaria) i programmi hanno carattere normativo e prescrivono il grado di preparazione che l’alunno deve raggiungere: ciò per assicurare alla totalità dei cittadini quella formazione basilare della intelligenza e del carattere, che è condizione per un’effettiva e consapevole partecipazione alla vita della società e dello Stato. Questa formazione, anteriore a qualunque finalità professionale, fa si che la scuola primaria sia elementare non solo in quanto fornisce gli elementi della cultura, ma soprattutto in quanto educa le capacità fondamentali dell’uomo; essa ha, per dettato esplicito della legge, come suo fondamento e coronamento l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica.

Le indicazioni attinenti al secondo aspetto dei programmi (la via o metodo da seguire per il raggiungimento degli scopi dell’istruzione primaria) non hanno il medesimo carattere normativo delle precedenti; poiché lo Stato, se ha il diritto e il dovere di richiedere l’istruzione obbligatoria, non ha una propria metodologia educativa. Va tuttavia osservato che le indicazioni di questo secondo gruppo sorgono come sintesi concorde e spontanea dalla meditazione sui problemi attuali dell’educazione e dell’insegnamento. Esse si riconducono anzitutto alla nostra tradizione educativa umanistica e cristiana: cioè al riconoscimento della dignità della persona umana; al rispetto dei valori che la fondano: spiritualità e libertà; all’istanza di una formazione integrale.

Da qui derivano:

la necessita di muovere dal mondo concreto del fanciullo, tutto intuizione, fantasia, sentimento; la sollecitudine di fare scaturire dall’alunno stesso l’interesse all’apprendere; la cura di svolgere gradualmente le attitudini all’osservazione, alla riflessione, all’espressione; la costante preoccupazione di aiutare in tutti i modi il processo formativo dell’alunno senza interventi che ne soffochino o ne forzino la spontanea fioritura e maturazione; la consapevolezza, finalmente, che scopo essenziale della scuola non è tanto quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia e il gusto di imparare e di fare da se, perché ne conservi l’abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita.

Queste esigenze capitali del processo educativo acquistano un accento di più diretta attualità, se vengono riconosciute in due istanze particolarmente vive nella scuola contemporanea: la globalità e l’aderenza all’ambiente dell’alunno.

Nella psicologia concreta del fanciullo l’intuizione del tutto è anteriore alla ricognizione analitica delle parti;

cosi la scuola ha il compito di agevolare questo processo naturale partendo dalle prime intuizioni globali per snodarle via via nelle articolazioni di un discorso riflesso. Il fanciullo scopre a poco a poco il significato delle proprie esperienze, e perciò conviene che con lenta gradualità scopra l’esistenza delle materie nelle quali il sapere scolastico tanto più variamente si diversifica, quanto più progredisce verso il sistema e la scienza.

Il criterio della globalità, più accentuato nei primi anni di scuola, viene via via attenuato e superato;

tuttavia il progressivo affiorare delle materie d’insegnamento non significa che esse possano sussistere isolate e indifferenti le une rispetto alle altre. Tutte, ancorché in misura di volta in volta diversa, si prestano sempre a scambievoli richiami e integrazioni che sorgono dalle loro molteplici correlazioni sul piano dell’unita della cultura.

D’altra parte, la consapevolezza delle fondamentali caratteristiche dell’anima infantile pone la scuola su una linea di naturale continuità con quanto l’alunno ha già imparato, inteso e sentito nel cerchio della famiglia, del suo ambiente naturale e sociale, delle istituzioni educative che abbia frequentato; perciò l’insegnante non può dimenticare l’aderenza e la partecipazione alla vita dell’ambiente nella varietà delle sue manifestazioni e nell’ispirazione morale e religiosa che la anima.

In tal modo il principio della libertà trova una reale attuazione;

come il maestro non deve mai dimenticare che l’educazione dell’alunno non comincia dalla scuola e non si esaurisce in essa, cosi i presenti programmi non intendono creare l’istruzione dal nulla o dal vuoto, bensì intendono stimolare il costume scolastico già in atto, perché dia una misura sempre più piena delle proprie energie interiori, orientandolo al conseguimento delle finalità civili e sociali dell’istruzione pubblica.

Anche il terzo aspetto dei programmi (suggerimenti più particolari desunti dalla migliore esperienza scolastica e didattica) va considerato nello spirito della libertà e nel rispetto della funzione autonoma della scuola.

Non si è seguita nella elaborazione dei presenti programmi la distinzione tradizionale tra le prescrizioni programmatiche e le avvertenze poiché le une e le altre vengono ricondotte al processo della ricerca pedagogica e didattica e all’atto vivo dell’insegnamento.

Dopo il rinnovamento operato dai programmi del 1923 e da quelli del 1945, la formulazione di questi nuovi programmi è stata sollecitata più direttamente da due esigenze: far aderire maggiormente il piano didattico alla struttura psicologica del fanciullo e tenere conto che per precetto della Costituzione l’istruzione inferiore obbligatoria ha per tutti la durata di almeno otto anni.

Per rendere questi intenti praticamente attuabili,

è stato alleggerito il carico delle nozioni rispetto ai programmi quinquennali precedenti e sono stati elaborati programmi graduati per cicli didattici. Tali cicli rispettano per la loro durata le fasi dello sviluppo dell’alunno e rendono meglio possibile un insegnamento individualizzato in relazione alle capacita di ciascuno, così che in un periodo di tempo a più largo respiro ogni alunno possa giungere, maturando secondo le proprie possibilità, al comune traguardo.

D’altra parte, ciò consente che vengano adottati quei procedimenti saggiamente attivi che spronano il fanciullo nell’operosa ricerca e nell’approfondimento della consapevolezza di quanto viene imparando.

Spetta naturalmente all’insegnante, in base alle accertate possibilità dei singoli alunni, di formulare un suo personale piano di lavoro, distribuito nel tempo, che egli potrà eventualmente aggiornare alla luce di una sempre più approfondita conoscenza della scolaresca.

Una vecchia opinione popolare considerava la scuola elementare come la scuola del leggere, dello scrivere e del far di conto.

Si può intenderla ancora oggi così, salvo una accurata determinazione del significato di queste parole.

Nell’auspicare una scuola che insegni per davvero a leggere si esige che da essa escano ragazzi che ragionino con la propria testa, giacché saper leggere è ben anche aver imparato a misurare i limiti del proprio sapere e ad esercitare l’arte di documentarsi. Analogamente saper scrivere vale saper mettere ordine nelle proprie idee, saper esporre correttamente le proprie ragioni. Quanto a far di conto, nel nostro secolo, che è il secolo dell’organizzazione e delle statistiche, è chiaro che una persona è tanto più libera quanto più sa misurare e commisurarsi.

Non ci si dissimula l’importanza e la gravità del compito affidato al maestro.

Nessuno, dopo di lui, potrà forse riparare ad una mancata formazione essenziale, e in questo senso elementare, degli alunni che le famiglie e la Patria gli affidano. Ed è pur vero che il grado di civiltà di una Nazione si misura soprattutto dalla cultura di base del suo popolo.

Programmi per la prima e la seconda classe

L’insegnante, fin dall’inizio, orienti la sua azione educativa a promuovere la formazione integrale della personalità dell’alunno attraverso l’educazione religiosa, morale, civile, fisica e le altre forme di attività spirituali e pratiche corrispondenti agli interessi, ai gradi, ai modi dell’apprendere e del conoscere propri dell’età.[…]

La conoscenza del numero parta dalle attività di gioco e dal bisogno di osservare e di fare del fanciullo, e si svolga per lenti gradi di sviluppo.

L’insegnante addestri l’alunno nella numerazione progressiva e regressiva, nella scomposizione e ricomposizione dei numeri, nei relativi esercizi intuitivi e pratici di riunire, togliere, replicare, distribuire, attività che sono alla base delle quattro operazioni.

E’ opportuno che in un primo tempo non si oltrepassi il 10 e che si giunga al 20 alla fine del primo anno del ciclo.

I calcoli pratici sulle quattro operazioni verranno compiuti dapprima solo oralmente, poi anche per iscritto.

Soltanto nel secondo anno si passera, di decina in decina, all’ambito numerico compreso entro il 100, continuando a dare la dovuta importanza al calcolo mentale.

L’apprendimento della tavola pitagorica sia una conquista intuitiva e costruttiva;

pertanto il suo spedito e sicuro uso mnemonico sarà rinviato al ciclo successivo. Si cerchi di evitare alcune operazioni scritte meno facili, quali la sottrazione che richieda il cosiddetto prestito l’addizione con più di tre addendi, la divisione che lasci resto. Naturalmente nella divisione ci si limiterà al divisore di una sola cifra.

L’occasione ad eseguire operazioni verrà prevalentemente data da facilissimi quesiti tratti dalla vita pratica e dai giochi infantili: quesiti che richiedano una sola operazione.

Dall’osservazione degli oggetti più comuni si farà derivare la conoscenza intuitiva di qualche solido geometrico e di qualche figura piana, possibilmente intesa come limite del solido.

L’insegnante avrà cura di interpretare tale scrittura, che procede e si perfeziona per gradi e che rispecchia lo sviluppo spirituale di ogni fanciullo.

Egli dovrà favorire con simpatia le spontanee manifestazioni grafiche e pittoriche degli alunni, lasciandoli liberi di esprimersi a loro modo sugli argomenti che più li interessano, coi mezzi a loro più graditi (matite nere e colorate, pastelli, gessetti colorati, acquerelli, carte colorate a strappo e a ritaglio, ecc.). Li inviterà di volta in volta a spiegare con la parola, e appena possibile anche con lo scritto, il significato delle loro espressioni grafiche e pittoriche.

L’eventuale correzione dei disegni si ottenga non con cancellature o rifacimenti, oppure con suggerimenti intempestivi e inopportuni che scoraggerebbero il piccolo disegnatore, ma per processo di chiarificazione interiore, cioè col guidare ogni alunno all’amorosa e sempre più attenta osservazione, alla riflessione e all’auto-correzione in riferimento a quanto egli ha inteso esprimere. Sono da evitare i ricalchi e le copie perché soffocano la spontaneità infantile e favoriscono la insincerità e il cattivo gusto.

Partendo dalle diverse attività sinora accennate, si incoraggi al massimo la conversazione con l’insegnante e degli alunni tra di loro per abituarli a parlare quanto più chiaramente e correttamente b possibile. L’insegnante dia sempre l’esempio del corretto uso della lingua nazionale e, pur accogliendo le prime spontanee espressioni dialettali degli alunni, si astenga dal rivolgere loro la parola in dialetto.

L’acquisizione della scrittura e della lettura sia il risultato di una personale scoperta dello scolaro.

A tal fine dovranno essergli offerti in libero uso, e sotto forma di gioco, tutti quei comuni sussidi didattici (alfabetieri murali e mobili, cartelloni con disegni, schede illustrate, ecc.), che favoriscono l’interesse per l’iniziale distinzione e il possesso degli elementi grafici essenziali .

Dai primi ideogrammi o disegni spontanei lo scolaro passi alla formulazione di pensieri (frasi e parole) e li trascriva a integrazione ed illustrazione di quanto ha voluto esprimere col disegno. Le prime letture e le prime spontanee esercitazioni scritte concluderanno questa fase fondamentale .

Non appena possibile gli alunni siano avviati alle libere letture, all’autodettatura, all’apprendimento e recitazione di facili artistiche poesie, alla spontanea drammatizzazione di favole, raccontini, scherzi, giochi.

L’insegnante accerti sempre che ogni alunno abbia chiaramente compreso il significato delle parole e delle frasi, incoraggiando le necessarie richieste di spiegazioni.

L’usuale esercizio del parlare corretto, del leggere e dello scrivere, anche sotto dettatura, miri ad assicurare, senza esercizi artificiosi, la padronanza delle più comuni norme ortografiche. Sia diligentemente curata l’ortoepia, anche per le sue naturali connessioni con la correttezza dello scrivere.

La scrittura, fin da principio, non sia considerata un fatto meramente meccanico,

anche se implica talvolta l’adeguamento al modello, ma una delle espressioni della personalità. Essa deve quindi tendere alla semplicità, alla chiarezza, all’ordine, al decoro. Si consiglia di iniziare gli alunni anche alla lettura e scrittura dei caratteri lapidari nella loro forma più semplice e a fini pratici (intestazione di quaderni, cartelli e avvisi, biglietti di augurio, ecc.).

Molta importanza va data al canto corale all’unisono di facili motivi, in lingua o in dialetto, appropriati all’estensione vocale del fanciullo e accompagnati, se possibile, da interpretazioni mimiche o ritmiche. Scopo del canto b di contribuire all’elevazione spirituale e alla socialità all’educazione dell’orecchio, della voce, della retta pronuncia; all’addestramento motorio. Può inserirsi in questo insegnamento l’ascolto di brani musicali adatti all’età.

Le attività manuali e pratiche saranno incoraggiate come gioco-lavoro, per appagare anche questo naturale bisogno di esprimersi, di costruire, proprio dell’età. A tale scopo possono essere adoperate materie di facile lavorazione, come sabbia, plastilina, argilla, carta, rafia, ecc.

Il lavoro sarà anche rivolto a vantaggio della comunità scolastica,. con piccole prestazioni volontarie per il mantenimento dell’ordine e decoro dell’ambiente, per il giardinaggio, ecc.

Le bambine siano lasciate ai loro giochi preferiti (cura della bambola, sua pulizia, vestizione, acconciatura, ecc.) e vengano addestrate alle più semplici e più facili attività della casa.

 Programmi per le classi terza, quarta e quinta

Dalla globale intuizione del mondo circostante già suggerita per il primo ciclo didattico, e tenuta ancora a fondamento dell’attività scolastica durante il primo anno di questo secondo ciclo, il fanciullo sarà avviato ad una prima attenta analisi soprattutto attraverso l’esperienza episodica, prima base del sapere sistematico.

Sarà dunque ancora l’ambiente, nei suoi molteplici aspetti, il punto di riferimento per ogni ulteriore attività di osservazione, di ricerca, di riflessione, di espressione; ma, in progresso di tempo, l’alunno si renderà conto delle molteplici connessioni e correlazioni esistenti tra gli argomenti di studio. Ciò gli darà sempre maggiore consapevolezza dell’unita della cultura di base su cui si va formando e della possibilità di articolarla anche attraverso lo studio di singole discipline. Tutto questo va tenuto presente per la migliore interpretazione del programma che segue, dove le materie d’insegnamento affiorano, senza peraltro essere separate, dal contesto delle indicate attività che l’alunno dovrà svolgere, e sulle quali fondamentalmente si deve far leva per bandire dalla scuola primaria ogni ingombrante nozionismo e ogni pretesa di prematura sistematicità del sapere.

Aritmetica e geometria

Anche l’insegnamento della matematica andrà in questo ciclo differenziandosi sempre più, ma senza perdere il collegamento con gli altri insegnamenti è quindi sempre a strettissimo contatto con la vita pratica, e in relazione agli interessi del fanciullo. Si darà per questo massima importanza ai problemi, che andranno proposti con la naturalezza che deriva dalle effettive occasioni pratiche, ma al tempo stesso con rigorosa costante gradualità.

Occorre soprattutto concretezza e aderenza alla realtà quotidiana, ricorrendo anche al casi più comuni della contabilità familiare e commerciale.

In questo ciclo didattico occorre fissare definitivamente il significato essenziale di ciascuna delle quattro operazioni aritmetiche in relazione ai problemi fondamentali che esse risolvono. A tale scopo si svolgeranno ampiamente e ripetutamente problemi, soprattutto orali, con dati numerici semplicissimi; e solo gradualmente si introdurranno, nei problemi da eseguire per iscritto, dati più complessi usando numeri interi più alti o numeri decimali, e ricordando che per tali numeri in molti casi non soccorre più direttamente l’intuizione.

Solo in un secondo momento (ad esempio, nel secondo anno del ciclo) si passera a problemi richiedenti più di una operazione, usando dapprima sistematicamente una o più domande ausiliarie intermedie, le quali spezzino sostanzialmente il problema nella somma di due o più problemi. Ad ogni modo non si proporranno problemi, anche alla fine del ciclo, che richiedano più di tre, o eccezionalmente quattro operazioni: anzi si raccomanda di giungere a tali problemi solo nell’ultimo anno del ciclo.

Così l’insegnamento del sistema metrico deve appunto essere elemento di concretezza e non di astratta artificiosità: va quindi compiuto con la massima rispondenza alla effettiva pratica della vita.

Dovranno essere banditi, ad esempio, quei multipli di unità di misura che, come il miriametro e il miriagrammo, non vengono usati mai o quasi mai in pratica. Si darà invece rilievo alle misure di valore, a quelle non decimali del tempo ed anche a talune misure locali, pur limitandosi a semplicissime esercitazioni.

Si riduca al minimo o si sopprima del tutto l’uso per le riduzioni della famosa “scala” coi suoi gradini: è essenziale che l’alunno sappia, per esperienza e per ragionamento, e non per operazione meccanica, che ad esempio cinque metri equivalgono a cinquecento centimetri o che tre chilometri equivalgono a tremila metri.

Si evitino quindi i virtuosismi inutili e, di regola, si evitino le riduzioni dirette da multipli a sottomultipli dell’unita di misura e viceversa. Anche in questo campo si seguirà una bene intesa gradualità, riservando ad esempio al secondo anno del ciclo le misure di superficie ed all’ultimo anno le misure di volume.

Alla fine del ciclo didattico, l’alunno dovrà possedere in modo organico e completo la tecnica delle quattro operazioni sui numeri interi e decimali (non oltre i millesimi):

perciò l’insegnante potrà proporre anche svariati esercizi di calcolo, pure non sostenuti da problemi. Ricordi ad ogni modo che in mancanza di meglio è preferibile far eseguire operazioni a titolo di esercizio anziché proporre problemi artificiosi, astrusi, non rispondenti a realtà. In particolare, si raccomanda di dare grande importanza al calcolo mentale, anche con procedimenti di approssimazione.

Il possesso della tavola pitagorica dovrà essere sicuro e completo alla fine del primo anno del ciclo.

Per dare una sicura gradualità allo studio delle operazioni aritmetiche si raccomanda di rinviare al secondo anno del ciclo la divisione col divisore di due cifre e le operazioni sui numeri decimali. Non si dovranno in alcun modo, in questo ciclo, introdurre operazioni sulle frazioni: ci si limiterà a dare l’intuizione di frazione a fini pratici.

Per la geometria l’alunno verrà condotto in via naturale a riconoscere le principali figure piane e solide:

ciò attraverso il disegno e le più evidenti proprietà, mai attraverso la definizione, spesso non compresa, sempre dannoso sforzo mnemonico.

Non si facciano recitare a memoria regole di misura: basta che l’alunno le sappia applicare praticamente.

Ci si limiti a semplici calcoli di perimetri (poligoni, circonferenza del cerchio), di aree (rettangolo, quadrato, triangolo, cerchio, un cenno appena sui poligoni regolari), del volume del parallelepipedo rettangolo e del cubo.

Sarà bene riservare all’ultimo anno del ciclo i calcoli riguardanti il cerchio. Si evitino i problemi inversi, quando essi non sorgano da una pratica necessita e non presentino una evidente eseguibilità.

Tanto nel campo dell’aritmetica quanto in quello della geometria, sarà utile abituare gli alunni stessi a proporre e a formulare problemi pratici ricavati dalla propria esperienza.

 

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