Zenone di Elea (495–435 a.C)
Zenone era un amico del filosofo Parmenide; quando visitò Atene con lui, urtò i filosofi di quella città perché si compiacque di inventare quattro innocenti paradossi che essi non poterono respingere. Noi ci contenteremo di enunciare i suoi paradossi, senza indagare qual era il suo scopo nell’inventarli (…).
Prima di tutto [ il paradosso della] dicotomia: qualsiasi movimento è impossibile perché tutto ciò che si muove deve raggiungere la metà del tragitto prima di raggiungere l’estremità; ma prima di raggiungere la metà deve essere raggiunto il quarto, e così di seguito all’infinito. Dunque il movimento non può mai cominciare.
In secondo luogo l’Achille. Questi correndo per raggiungere una tartaruga che cammina davanti a lui, non arriverà mai, perché anzitutto deve raggiungere il posto da cui essa è partita; quando vi si troverà, la tartaruga l’avrà lasciato e sarà già avanti.
La freccia: una freccia lanciata è in ogni momento nello stato di riposo o nello stato di non riposo, cioè in movimento; se l’istante è indivisibile, la freccia non si può muovere, altrimenti l’istante potrebbe immediatamente dividersi. Ora il tempo è fatto d’istanti; siccome la freccia non può muoversi in nessun istante, non può muoversi mai. Essa resta sempre in riposo(…).
Euclide (verso il 295 a.C)
Si sa molto poco sulla sua vita. Probabilmente studiò ad Atene e fu il fondatore della scuola matematica di Alessandria. Euclide sta fra i grandi nomi della storia della matematica essenzialmente per aver scritto gli Elementi.
Quest’opera ha avuto un’influenza enorme su tutto il pensiero occidentale.
E’ stata studiata, analizzata e commentata secolo dopo secolo, fino all’epoca moderna. Di tutti i libri della civiltà occidentale solo la Bibbia, s’è detto, è stata studiata più a fondo del testo di Euclide. I tanto celebrati Elementi non sono altro, in realtà, che una enorme raccolta ( divisa in 13 libri) di 465 proposizioni di geometria, piana e solida, e di teoria dei numeri. In generale oggi si ritiene che solo pochi di questi teoremi siano dovuti personalmente a Euclide. Il suo grande merito fu piuttosto quello di organizzare tutto il sapere matematico del tempo in un trattato così ben progettato e di così grande successo da oscurare ogni precedente opera dello stesso genere.
Gli Elementi, sia chiaro, non sono semplicemente una raccolta di teoremi con le relative dimostrazioni: dopo tutto, fin dai tempi di Talete i matematici hanno sempre dimostrato i loro teoremi.
Euclide fece di più: ci diede un ammirevole sviluppo assiomatico della materia, e questa è una differenza cruciale.
Gli Elementi iniziano con poche asserzioni di base: 23 definizioni, 5 postulati e 5 ” nozioni comuni” o assiomi generali. Questi erano i fondamenti, i “dati” del suo sistema, ed egli poteva usarli ogni volta che ne aveva bisogno. Partendo da questi fondamenti, dimostrò la sua prima proposizione. Fatto ciò, ancora una volta sulla base delle sue definizioni, postulati e nozioni comuni, con l’aggiunta della prima proposizione, poté dimostrare la seconda. E così via. Euclide, insomma, non si limitò a fornire delle dimostrazioni: le fornì all’interno di questo quadro assiomatico. Certamente Euclide non sempre riuscì a seguire scrupolosamente il proprio metodo e i suoi ragionamenti non sono esenti da difetti; tuttavia gli Elementi, per l’alto livello di argomentazione logica raggiunto e per il loro successo nello sviluppare la matematica in un tessuto continuo, dagli assunti di base fino alle conclusioni più sofisticate, rappresentarono un modello per tutto il lavoro matematico successivo.
Il Libro Primo
Il libro I comincia senza indugi con una lista di 23 definizioni della geometria piana. Seguono 5 postulati, 5 nozioni comuni e 48 proposizioni. Occorre soffermarsi sul quinto postulato: Se una linea retta cade su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa parte minori di due angoli retti, le due rette prolungate illimitatamente si incontreranno da quella parte in cui sono gli angoli minori di due angoli retti. Questo postulato, lo si vede subito, è differente dagli altri: la formulazione è più lunga, richiede una figura per essere ben compreso, e la sua verità sembra ben lungi dall’essere immediatamente evidente. E infatti molti matematici sentivano istintivamente che il quinto postulato, in realtà, era un teorema. Essi intuivano che Euclide non avrebbe dovuto assumerlo come vero: avrebbe dovuto semplicemente essere in grado di dedurlo dalle verità geometriche più elementari.
Euclide stesso, probabilmente, provava un senso di disagio al proposito: infatti, nel corso del Libro I, evitò accuratamente , finché gli fu possibile, di far ricorso al postulato delle parallele.
Mentre usava con disinvoltura e parsimonia gli altri postulati ogni volta che ne aveva bisogno, per tutte le prime 28 proposizioni non utilizzò mai il quinto postulato.
I Libri II – VI
Il Libro II esplora quella che oggi si chiamerebbe ” algebra applicata alla geometria”; infatti vi vengono presentati in termini geometrici relazioni che oggi sono trattate più rapidamente e facilmente come equazioni algebriche.
Il terzo Libro contiene 37 proposizioni su circonferenze e cerchi. (…) Euclide dimostra le proprietà fondamentali di corde, tangenti e angoli alla circonferenza.
Il Libro IV degli Elementi affronta il problema di come inscrivere e circoscrivere a una circonferenza certe figure geometriche. Euclide nel quarto Libro costruisce i poligoni regolari, cioè i poligoni i cui lati hanno tutti la stessa lunghezza e i cui angoli sono tutti uguali. Negli Elementi Euclide non dice altro sui poligoni regolari, ma era chiaramente consapevole che, una volta costruiti tali poligoni usando la procedura di dimezzamento delineata prima, si potevano costruire poligoni regolari con un numero doppio di lati. Era davvero una bella galleria di poligoni regolari costruibili, ma, come si vede, non li conteneva proprio tutti. Per esempio Euclide non parla mai della costruzione di un poligono regolare di 7 lati, né di 9, né di 17, poiché essi non si adattano al modello di duplicazione visto sopra.(…) Così molti matematici , nei secoli successivi, formularono esplicitamente l’ipotesi che Euclide non aveva mai espresso: forse i poligoni regolari presentati negli Elementi erano gli unici effettivamente costruibili mentre tutti gli altri erano fuori dalla portata di riga e compasso. A questo punto Euclide aveva esaurito tutta la geometria possibile senza il ricorso al concetto di similitudine.
Euclide dedica tutto il Libro V a sviluppare le idee di Eudosso.
Nel Libro VI Euclide intraprende lo studio vero e proprio delle figure simili nella geometria piana.
I libri VII, VII, e IX sono dedicati alla teoria dei numeri.
Il Libro VII comincia con una lista di 22 definizioni riguardanti le proprietà dei numeri naturali e prosegue con la descrizione dell’algoritmo euclideo , una tecnica per trovare in modo sicuro e semplice il M.C.D di due interi. Nel Libro IX Euclide dimostra il Teorema fondamentale dell’aritmetica. Importantissima la proposizione 20 del Libro IX: Esistono [sempre] numeri primi in numero maggiore di quanti numeri primi si voglia proporre. Dal Libro VII al IX, Euclide ha dimostrato in tutto 102 proposizioni sui numeri interi.
I libri X, XI, e XII sono dedicati alla geometria solida.
Con il Libro X, il più lungo e, a parere di molti studiosi, il più matematicamente raffinato dell’intera opera, Euclide cambia bruscamente direzione. Dedica 115 teoremi alla investigazione del problema delle grandezze incommensurabili. Il Libro XI è dedicato alla geometria solida elementare, il successivo approfondisce l’argomento ed Euclide vi utilizza il metodo di esaustione introdotto da Eudosso per affrontare problemi come quello del volume di un cono. Arriviamo così al XIII ed ultimo libro degli Elementi. In 18 proposizioni vi si considerano i cosiddetti ” solidi regolari” della geometria spaziale e le loro relazioni.
Eudosso di Cnido (circa 408 – 355 a.C )
Nacque a Cnido, e giunse ad Atene circa all’epoca in cui l’Accademia veniva fondata; egli frequentò le lezioni di Platone ; anche se la sua povertà lo costringeva a vivere al Pireo, nei sobborghi di Atene, e a spostarsi avanti e indietro ogni giorno ( facendone così uno dei primi pendolari della storia). Più tardi viaggiò in Egitto e tornò alla nativa Cnido, sempre attento però alle scoperte della scienza e teso ad allargarne i confini. Particolarmente interessato all’astronomia, egli formulò complesse spiegazioni dei moti lunari e planetari che conservarono la loro importanza fino alla rivoluzione copernicana del sedicesimo secolo. Per nulla disposto ad accettare spiegazioni metafisiche, cercò sempre di sottoporre i fenomeni naturali all’osservazione e all’analisi della ragione.
I principali contributi di Eudosso alla scienza matematica sono due : la sua teoria delle proporzioni e il cosiddetto metodo di esaustione. La prima teoria permise di superare, in modo logicamente rigoroso, la difficoltà creata dalla scoperta pitagorica delle grandezze incommensurabili. Difficoltà che si manifestava particolarmente nei teoremi sui triangoli simili, inizialmente dimostrati in base all’assunto che due grandezze qualsiasi fossero sempre commensurabili. La scoperta delle grandezze incommensurabili aveva demolito, infatti, insieme a questo assunto le dimostrazioni di alcuni dei più importanti teoremi geometrici. Ebbe così origine ciò che talvolta viene chiamato lo ” scandalo logico” della geometria greca: i matematici continuavano a essere convinti della verità di quei teoremi, ma non disponevano più di dimostrazioni valide a sostegno della loro convinzione. Fu Eudosso a trovare una via d’uscita. Con il presumibile sollievo di tutta la comunità scientifica dell’epoca, egli riuscì a sviluppare una corretta teoria delle proporzioni, che per l’essenziale è esposta nel Libro V degli Elementi di Euclide.
Il secondo importante contributo di Eudosso, il metodo di esaustione, trovò immediata applicazione nel calcolo di aree e volumi delle più complesse figure geometriche. La strategia generale di questo metodo consisteva nell’avvicinarsi a una figura irregolare con una successione di figure elementari note, ognuna delle quali forniva un’approssimazione migliore di quella precedente
Archimede ( 287 -212 a.C)
Archimede nacque a Siracusa. In gioventù trascorse qualche tempo in Egitto, dove sembra che abbia studiato alla grande Biblioteca di Alessandria; è del tutto probabile che abbia ricevuto il proprio addestramento matematico nella tradizione euclidea. Tornò a Siracusa quando i Romani, guidati dal generale Marcello, attaccarono la città e progettò una serie di armi di grande efficacia. Fu ucciso nel corso dell’assedio della città da parte dei Romani. Archimede non è stato l’autore di un capolavoro, ma di moltissimi capolavori. Scoprì i principi fondamentali dell’idrostatica. Il trattato Sul galleggiamento dei corpi espone le sue idee sull’argomento. Attorno al 225 a.C. scrisse un breve trattato dal titolo Misura del cerchio contenente solo tre proposizioni: nella prima egli dimostra la famosissima formula dell’area del cerchio, e nella terza fornisce un’ottima valutazione del valore di p.
Dunham ritiene che il più grande capolavoro di Archimede è un’opera in due volumi intitolata Sulla sfera e sul cilindro, dove vengono determinati i volumi e le superfici di sfere e solidi ad essi collegati. L’opera di Archimede è la più importante dell’antichità, e fa di Archimede un precursore diretto del calcolo infinitesimale.
E’ significativa l’affermazione di Plutarco: ” In tutta la geometria non è dato incontrare argomenti più difficili e profondi di quelli affrontati da Archimede, espressi in termini più semplici e puri. (…)Per quanto uno cerchi, non potrebbe mai arrivare da solo alle dimostrazioni che egli dà; eppure appena le ha apprese da lui, ha la sensazione che sarebbe riuscito egli pure a trovarle, tento liscia e rapida la strada per cui conduce a ciò che vuole dimostrare“.
Descartes Renè du Perron ( Renatus Cartesius) ( 1596 – 1650)
Cartesio nacque a La Haye in Francia, si diplomò in diritto all’Università di Poietiers, e studiò matematica a Parigi sotto la guida di Mydorge e di Mersenne . Imparò nel 1617 il mestiere delle armi sotto la guida del brillante principe d’Orange, e per nove anni alternativamente prestò servizio in diversi eserciti e fece baldoria a Parigi.
Tutto ciò che il cervello di Descartes aveva immagazzinato e creato doveva essere affidato a un trattato voluminoso: Le Monde, che nel 1634 fu sottoposto ad una revisione finale. Nell’opera Cartesio aveva esposto il sistema di Copernico per cui egli rimandò la pubblicazione del libro dopo aver appreso che Galileo era comparso davanti al tribunale dell’Inquisizione ed era stato obbligato ad abiurare in ginocchio la dottrina di Copernico. Cartesio decise che Le Monde sarebbe stato pubblicato dopo la sua morte. Nel 1637 Cartesio pubblica la sua opera Discorso sul metodo: una pietra miliare della filosofia. E’ un trattato sulla “scienza universale” che al tempo stesso anticipa e stimola la grande esplosione scientifica che avrebbe caratterizzato il prosieguo del secolo. Fu un appendice, intitolata La geometria, che più direttamente influenzò lo sviluppo della matematica. In essa Cartesio forniva la prima anticipazione di quella che oggi chiamiamo geometria analitica. Nel 1649 accetta un invito della regina Cristina di Svezia e muore di polmonite poco dopo il suo arrivo.
Significative le parole di E.T. Bell riguardo all’opera di Cartesio: “E’ concesso a ben pochi uomini di rinnovare completamente tutto un reparto del pensiero umano! Descartes fu uno di questi. (…)Si tratta di una creazione di immenso valore, caratterizzata dalla sublime semplicità di una mezza dozzina appena di idee che costituiscono il contributo più grande che sia mai stato dato alla matematica. Descartes ha rifatto la geometria e ha reso possibile la geometria moderna“.
Fermat Pierre de ( 1601 – 1665)
Nasce a Beaumont ; il padre negoziante di pelli, è abbastanza ricco da consentire a Pierre di studiare diritto all’Università di Tolosa. La vita di Fermat fu calma, laboriosa, senza avvenimenti importanti, ma egli seppe trarne un notevole profitto. Ecco i soli avvenimenti notevoli della sua vita materiale: la sua istallazione a Tolosa, all’età di trent’anni (14 Maggio 1631) come commissario relatore; il suo matrimonio il primo Giugno dello stesso anno con Luisa de Long, sua cugina materna, che gli dette cinque figli: tre maschi dei quali uno, Clemente Samuele, diventò l’esecutore delle opere scientifiche del padre, e due femmine che presero il velo; infine la sua promozione, nel 1648, alla carica di Consigliere del Re al Parlamento di Tolosa, che ricoprì per diciassette anni con dignità, integrità e grande capacità; i suoi trentaquattro anni di vita attiva furono consacrati al servizio scrupoloso dello Stato. Morì a Castres il 12 Gennaio 1665.
Fermat fece notevoli scoperte in molti campi della matematica. Creò un proprio sistema di geometria analitica indipendentemente da Descartes, e forse anche prima di lui. Fu poi una vivace corrispondenza tra Fermat e Pascal a porre le basi della teoria della probabilità attorno al 1650. E, come se non bastasse, Fermat mosse anche dei consistenti passi in direzione di ciò che oggi chiamiamo calcolo differenziale. Ma è stato nel campo della teoria dei numeri che Fermat ha dato i suoi contributi più importanti.
Spesso egli concepiva un teorema e affermava di averne una dimostrazione valida, ma raramente la esponeva. I più interessanti teoremi di Fermat si appoggiano quasi sempre all’opera di Diofanto. Nella sua copia personale della Arithmetica di Diofanto , Fermat scarabocchiò una nota in margine alla Proposizione II.8, che riguardava la possibilità di esprimere un quadrato perfetto come somma di altri due quadrati perfetti ( per esempio ). In alcune righe egli afferma che non è possibile trovare dei numeri naturali a, b, c e un esponente n ³ 3 per cui si abbia
Come al solito, non c’è dimostrazione. Il compito di riscoprirla passava invece, come in molti altri casi alla posterità. Lo stesso Eulero, che in tanti altri casi aveva risolto i misteriosi “teoremi” del suo predecessore francese, riuscì a provare questa asserzione solo per n =3 e n =4.
Concludiamo con le parole di E.T. Bell: ” Quest’uomo pacifico, onesto, equilibrato, scrupolosamente equo, scrisse uno dei più bei capitoli della matematica. (…) L’opera di questo re dei dilettanti in matematica ha esercitato su costoro un’irresistibile attrazione durante i tre ultimi secoli in tutti i paesi civilizzati(…)”.
Pascal Blaise (1623-1662)
Nacque a Clermont – Ferrand, si trasferisce a Parigi con il padre nel 1631 e frequenta dal 1635 in poi l’Accademia fondata a Parigi da Mersenne. Nel 1640 segue il padre a Rouen, dove tutta la famiglia si converte al Cristianesimo austero di Port – Royal. Malato, Pascal torna nel 1647 a Parigi e segue allora il periodo detto “mondano” ricco di intensa attività scientifica, seguito da una seconda ” conversione”. Dal 1654 si consacra a una vita cristiana attiva e assiste i giansenisti nella loro battaglia contro i Gesuiti. Dal 1658 è gravemente ammalato; morì nel 1662, all’età di 39 anni. Si conoscono soprattutto le opere classiche di Pascal, i Pensieri e Le Lettere scritte da Luigi di Montalto ad un suo amico provinciale, quest’ultima chiamata comunemente le Provinciali.
In matematica, Pascal è forse il più fra tutti quelli che avrebbero potuto lasciare il loro nome nella storia. Nel 1641 Pascal inventò una macchina calcolatrice che viene annoverata come uno dei primi, remoti antenati del moderno computer. All’età di 35 anni, colpito da un dolorosissimo mal di denti, egli lasciò vagare di nuovo i suoi pensieri lungo i sentieri matematici e il dolore scomparve. Pascal lesse l’episodio come un segno del cielo e fece un breve ma intenso ritorno alla ricerca matematica. In una settimana appena riuscì a scoprire le proprietà fondamentali della curva cicloide.
La sua opera più nuova, la creazione della teoria matematica della probabilità, deve essere divisa con Fermat, che avrebbe potuto facilmente crearla da solo. La creazione della geometria, che lo ha reso celebre come fanciullo prodigio, gli fu ispirata da Desargues. A soli sedici anni nel suo Saggio sulle coniche, Pascal ha dimostrato il suo Grande Teorema ed ha esposto non meno di 400 enunciati sulle sezioni coniche, riunendo l’opera di Apollonio e di altri. L’enunciato del teorema di Pascal è il seguente: Consideriamo un’ellisse e sul suo contorno prendiamo sei punti A, B, C, D, E, F e uniamoli a due a due, in quest’ordine, con linee rette . Otterremo un poligono di sei lati inscritto in una sezione conica, nel quale AB e DE, BC ed EF, CD ed FA sono coppie di lati opposti. Le due linee, in ognuna di queste tre coppie, si intersecano in un punto; i tre punti d’intersezione si trovano su una linea retta.
Il genere di geometria che Pascal studia nella sua opera differisce sostanzialmente dal genere di geometria dei Greci: non è metrica ma descrittiva o proiettiva.(…) Le proprietà metriche delle figure studiate in geometria elementare ordinaria non sono delle invarianti in proiezione: per esempio, l’ombra di un angolo retto non è più un angolo retto per tutte le proiezioni della seconda lamina.
Nella scienza sperimentale, Pascal ha avuto una visione più chiara di quella di Descartes, dal punto di vista moderno, del metodo scientifico, ma gli è mancata l’unità dello scopo perseguita invece da Descartes e, benché la sua opera sia di prim’ordine, egli si lasciò distogliere dal lavoro che avrebbe potuto compiere, dalla sua passione per le sottigliezze religiose.
Newton Isaac (1642 – 1727)
Nacque il giorno di Natale l’anno stesso della morte di Galileo, apparteneva ad una famiglia di piccoli fittavoli indipendenti che vivevano al castello del borgo di Woolsthorpe. Suo padre morì all’età di trent’anni , prima della nascita del figlio. Dal suo secondo matrimonio la madre di Newton ebbe tre figli, nessuno dei quali emerse in qualcosa. Non essendo Newton un bambino robusto, era obbligato a stare in disparte; invece di divertirsi come gli altri, inventava le sue distrazioni, nelle quali manifestava il suo genio: certi volanti forniti di lanterne per spaventare i contadini la notte, giocattoli metallici che fabbricava da se stesso. Nel 1661 Newton entrò nel Collegio della Trinità a Cambridge. Il professore di matematica di Newton fu il dottor Isacco Barrow, il quale riconobbe volentieri che il suo allievo lo superava e nel 1669, quando venne il momento di lasciare la cattedra di matematica, la cedette al suo incomparabile discepolo. L’epidemia di peste bubbonica che infierì nel 1664-1665 offrì a Newton un’occasione favorevole per darsi allo studio. Nel corso di quei due anni , inventò il metodo delle flussioni ( il calcolo differenziale ed integrale), scoprì la legge della gravitazione universale e dimostrò con l’esperienza che la luce bianca è il risultato della combinazione di tutti i colri; tutto ciò prima dei venticinque anni. Nel 1684 Edmund Halley, che in seguito avrebbe legato il suo nome a una famosa cometa, andò a trovare Newton e lo sollecitò a pubblicare alcune delle sue opere sul moto. Newton si mise al lavoro con grande entusiasmo per comporre l’opera che sarebbe stata il suo capolavoro scientifico, una descrizione delle ricerche sulle leggi del moto e i principi della gravitazione universale. Il libro uscì nel 1687 col titolo di Philosophiae naturalis principia mathematica. Conteneva un’esposizione del sistema dell’universo, una precisa descrizione matematica dei moti della Luna e dei pianeti dalla legge generale della gravitazione: era la rivelazione della precisione cronometrica del creato, che marciava al ritmo ordinato delle meravigliose equazioni di Newton. Dopo i Principia la scienza non sarebbe stata più la stessa.
Nel 1696 Newton lascia Cambridge per diventare direttore della Zecca a Londra. Nel 1699 entra a far parte del Consiglio della Royal Society e ne diventa presidente nel 1703, conservando la carica fino alla morte.
Una sua riflessione spesso citata suona così:
Non so come io appaia agli occhi del mondo: a me sembra di essere stato soltanto un ragazzo che gioca sulla spiaggia e si diverte a trovare qua e là un ciottolo più liscio o una conchiglia più graziosa del solito, mentre davanti a lui inesplorato si stende il grande oceano della verità.
Leibniz Gottfried Wilhelm (1646-1716)
Leibniz è descritto spesso come un genio universale. Si occupò, in effetti, di una quantità spaventosa di discipline e in ognuna di esse lasciò il segno. Bambino prodigio, avendo a disposizione la grande biblioteca del padre professore di filosofia morale, Gottfried sfruttò al massimo questa opportunità.
Studiò all’Università di Lipsia, la città dove era nato, e a quella di Jena. A partire dal 1667, consigliere alla corte suprema dell’elettorato di Magonza, fa viaggi a Parigi e a Londra. L’anno 1666 fu il grande anno per Leibniz. In quello che egli chiamò “un saggio di scolaro”, il De Arte Combinatoria, questo giovane di vent’anni dichiarò di voler creare ” un metodo generale nel quale tutte le verità della ragione fossero ridotte a una specie di calcolo”. Nel 1672 Leibniz venne invitato a Parigi con un importante incarico diplomatico. Successivi viaggi a Londra e in Olanda lo portarono a contatto con studiosi importanti come Hooke, Boyle, ecc. Aveva ventisei anni quando cominciò la sua vera educazione matematica sotto la direzione di Huyghens , che aveva incontrato a Parigi fra due intrighi diplomatici. Un problema che Huyghens suggerì a Leibniz fu determinare la somma dei reciproci dei numeri triangolari. Questi sono i numeri che corrispondono a configurazioni triangolari di oggetti. Leibniz vinse abilmente la sfida di Huyghens trovando che
Non fu che l’inizio delle intuizioni matematiche di Leibniz. Nel 1674 Leibniz scoprì che si poteva calcolare con buona approssimazione sommando tanti termini quanti si volevano della serie
Ben presto egli applicò il suo talento agli stessi problemi riguardanti le tangenti affrontati da Newton dieci anni prima e quando lasciò Parigi, nel 1676, anch’egli aveva scoperto i principi fondamentali del calcolo differenziale ed integrale. In quegli anni furono dunque poste le basi di una fama duratura, ma vi affondano anche le radici di una controversia altrettanto duratura. Fu così che, quando Leibniz pubblicò il suo nuovo sorprendente lavoro matematico, Newton protestò subito. Lo scritto aveva un lungo titolo: “Novo methodus pro maximis et minimis, itemque tangentibus, qua nec fractas, nec irrationales quantitates moratur, et singulare pro illis calculi genus “.Apparve nel 1684 sulla rivista Acta eruditorum, di cui Leibniz era direttore. Il mondo apprese dunque la teoria del “calcolo” da Leibniz e non da Newton. La controversia che ne seguì non è una delle pagine più edificanti della storia della matematica. Oggi che la polvere si è posata, a tre secoli di distanza, si riconosce a entrambi gli scienziati il merito di aver sviluppato indipendentemente le stesse idee. Nel 1700 , con l’appoggio dell’Elettore di Bradenburgo, fonda una Società delle Scienze a Berlino. Nominato consigliere privato di Pietro il Grande di Russia , vive due anni a Vienna (1712-1714) poi ritorna a Hannover, dove muore completamente isolato.
Bernoulli Jacques (1654-1705)
Nato a Basilea, Jacques Bernoulli studia presso l’Università della città natale filosofia, teologia, matematica e astronomia, queste due ultime materie contro la volontà del padre. Dopo viaggi di studio in Francia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra, a partire dal dal 1683 è docente all’Università di Basilea.Fu un matematico di valore che diede importanti contributi al calcolo e in particolare alla somma delle serie infinite; ma ancora più importanti furono forse i suoi studi sulla teoria della probabilità.La pubblicazione della Ars conjectandi di Jacques Bernoulli, nel 1713, si pone come pietra miliare della teoria della probabilità.
Jacques e Jean Bernoulli sono sicuramente i più famosi fratelli della matematica, ma i loro rapporti furono tutt’altro che armoniosi. Nelle questioni matematiche diventavano l’uno il più fiero avversario dell’altro.
Nel 1689 la dimostrazione della divergenza della serie armonica apparve nel Tractatus de seriebus inifinitis di Jacques, sebbene questa dimostrazione fosse opera di Jean Bernoulli. Tuttavia Jacques, con inusuale affetto fraterno, fece precedere la dimostrazione da una nota in cui riconosceva i meriti del fratello ( “Id primus deprehendit Frater”). Nel trattato Jacques non mancò di sottolineare la conseguenza fondamentale, niente affatto intuitiva, che anche quando il termine generale tende a zero, la somma della serie può essere infinita e la serie armonica è l’esempio fondamentale di un comportamento del genere. Fu forse perché il risultato era così inatteso che Jacques si sentì spinto a scrivere questo commento poetico:
” (…) Che gioia discernere il piccolo nell’infinità! E percepire il vasto nel ristretto, che divinità“.
Bernoulli Jean (1667- 1748)
Fratello di Jacques, Jean Bernoulli, nasce anch’egli a Basilea. Inizia a studiare medicina, ma poi studia matematica con il fratello. Soggiorna, nel 1691-92, a Parigi; nel 1695 accetta la cattedra di matematica a Groningen, nei paesi Bassi. Nel 1705 succede al fratello all’Università di Basilea.
Uno dei contributi più importanti di Jean Bernoulli derivò dai suoi rapporti con il marchese de L’Hospital, un nobiluomo francese, matematico dilettante, desideroso di apprendere il nuovo rivoluzionario calcolo. La dimostrazione della divergenza della serie armonica fu opera di Jean, anche se essa apparve nel 1689 in un lavoro del fratello Jacques Bernoulli. Tuttavia la prima dimostrazione che la serie armonica diverge la troviamo nell’opera di Nicole Oresme ( circa 1323-1382), uno studioso francese del quattordicesimo secolo. In realtà Jean Bernoulli era stato preceduto anche da un altro matematico, l’italiano Pietro Mengoli (1625-1686): la dimostrazione di Mengoli è del 1647.
Nel 1696 Jean Bernoulli propose sulle pagine del giornale di Leibniz, Acta eruditorum, un problema da risolvere.
Bernoulli sfidava il mondo matematico a trovare la curva percorsa da una pallina nel tempo più breve. Chiamò questa curva Brachistocrona , dalle parole greche che significano, appunto, “più breve” e “tempo”. In Europa, all’avvicinarsi della Pasqua, giunsero a Bernoulli alcune soluzioni. La curva che tutti stavano cercando, una curva ben nota agli studiosi di geometria, altro non era che una cicloide rovesciata. In tutto Jean aveva ricevuto cinque soluzioni. C’erano la sua e quella di Leibniz. Suo fratello Jacques ne aveva mandata una e così il marchese de L’Hospital. Infine c’era un plico arrivato dall’Inghilterra. Jean lo aprì e vi trovo una soluzione giusta ma non firmata. Ma non c’era bisogno della firma per riconoscere l’impronta del genio di Isaac Newton.