Il ruolo della dimostrazione, gli insegnanti assolutisti e umanisti. Chi sono gli insegnanti che dimostrano.
Le dimostrazioni sono essenziali, ci devono essere. Quale il giusto ruolo? E quale il dosaggio?
In premessa può essere interessante riportare quanto scrive ancora Reuben Hersh circa la classificazione dei docenti in assolutisti e umanisti. I primi sono i docenti che ritengono che nell’insegnamento bisogna fare dimostrazioni. Se non si dimostra nulla, non è matematica. Se la dimostrazione è matematica e la matematica è dimostrazione, durante una lezione di matematica è obbligatorio dimostrare.
Più si dimostra, più onesta e rigorosa sarà la lezione.
Questo modo di vedere (nonostante le infelici associazioni di idee che il termine «assolutista» richiama: monarchia assoluta, zero assoluto, ecc.) può avere conseguenze più emotive che intellettuali. Se la matematica è un sistema di verità assolute, indipendenti dall’operare e dalla conoscenza degli esseri umani, allora le dimostrazioni matematiche sono eterne ed esterne. Devono essere ammirate.
L’insegnante assolutista vuole parlare solo di ciò che intende dimostrare (o far dimostrare agli studenti). In genere sceglie la dimostrazione più breve o la più generale. Lo scopo principale della dimostrazione che propone non è la spiegazione: è la certificazione. Il teorema riceve un visto di ingresso nel catalogo delle verità assolute.
Il punto di vista alternativo è l’umanista.
Per l’umanista la dimostrazione diventa spiegazione completa, da fornire quando è appropriato fornirla piuttosto che non fornire spiegazioni o fornirle incomplete. L’insegnante umanista cerca dimostrazioni illuminanti, non necessariamente le più generali o le più brevi. Alcune dimostrazioni, infatti, non spiegano un granché: di esse si usa dire che si basano su un trucco, o che tirano fuori la conclusione come un coniglio dal cappello. “E questo tipo di dimostrazione va bene quando volete che i vostri allievi vedano saltellare conigli sulla lavagna”. Ma, in generale, l’umanista vuole dare dimostrazioni che spieghino.
“Se la sola dimostrazione che riuscite a escogitare è immotivata e truccata, se i vostri studenti non impareranno un granché da essa, dovete farla lo stesso per scrupolo di coscienza? Questo scrupolo di «onestà» è una finzione, un fardello autoimposto. Meglio cercare di essere chiari, di riuscire a motivare gli allievi, a ispirarli, persino.”
Per l’umanista, lo scopo della dimostrazione — lo scopo di tutto il suo insegnamento, anzi — è la comprensione.
Che fornisca una dimostrazione completa, che l’elabori, che l’abbrevi, dipende da quanto pensa che sia utile per sviluppare fra i suoi studenti la comprensione dei concetti, dei metodi e delle applicazioni.
Questa politica utilizza il concetto di «comprensione» che non è un concetto preciso, né può essere reso tale. Sappiamo forse, con precisione univoca, cosa vuol dire «comprendere»? No. Possiamo insegnare in modo da stimolare la comprensione? Sì. Sappiamo riconoscere la comprensione, anche se non possiamo dire in che cosa precisamente essa consista.
In uno stimolante scritto di Un Leron (1983) viene utilizzata un’idea ripresa dall’informatica: «dimostrazione strutturata». Una dimostrazione strutturata è come un programma strutturato. Invece di cominciare con dei lemmi il cui significato sarà chiaro solo alla fine, si comincia a suddividere in tanti pezzi il compito globale della dimostrazione. Poi, si suddividono questi pezzi in sotto-pezzi. I lemmi misteriosi, ma fondamentali faranno così la loro comparsa solo alla fine, quando se ne potrà apprezzare appieno la necessità.
Negli attuali corsi di matematica il motto è: «La dimostrazione è uno strumento al servizio dell’insegnante, non una pastoia per incatenarlo». Nei corsi del futuro sarà: «La dimostrazione è uno strumento al servizio della ricerca, non una pastoia per imbrigliare l’immaginazione del matematico».
Nell’insegnare matematica nella scuola secondaria la dimostrazione è soprattutto spiegazione. Deve servire per spiegare e far comprendere. Per far vedere agli studenti il perché della verità di un teorema, ma soprattutto per fare matematica, per riflettere, ragionare, comprendere e liberare la mente, prepararla a connettere pezzi di matematica appresa, porsi nuovi problemi.
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